Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Quirinale, si prolunga lo stato d’eccezione
Perché questa insistenza su Draghi al Quirinale? Perché Berlusconi si candida (e seriamente) al Colle? Perché non è solo in gioco la conquista della Presidenza della Repubblica, ma, io credo, soprattutto una specifica interpretazione di quello scranno. Al culmine della rincorsa leaderistica e disintermediante di certuni (a partire dalla destra e dal renzismo), c’è il Presidenzialismo. E questa elezione in molti la interpretano come un possibile viatico verso un’introduzione di fatto del concetto, ben oltre il dettato costituzionale. D’altra parte, se siamo in uno stato d’eccezione, se viviamo una fase di sospensione della democrazia rappresentativa, perché non insistere su questa strada, si saranno detti, e avviare una trasformazione surretizia dell’istituto della Presidenza, rivoltandone il guanto in senso presidenziale? C’è un’indubbia coerenza in questo ragionamento. Fila moltissimo. Viene naturale.
Chi tifa sfacciatamente per Draghi (e lo fa dando per scontata, naturale, la sua candidatura al soglio del Quirinale) ha certo in mente uno “slittamento” a saldo zero della sua funzione pontificale da Palazzo Chigi al Colle più alto, ossia senza modifiche sostanziali nella attuale linea di condotta del governo e senza, tantomeno, la necessità di nuove elezioni anticipate. Ancora stato d’eccezione, quindi, ancora un misto di tecnocrazia e oligarchia, ma stavolta con una ferma copertura (quasi una surroga) operata direttamente dal Quirinale. La destra, invece (e il berlusconismo in particolare), pensa più grossolanamente a un avvicendamento che “curvi” sostanzalmente il profilo della Presidenza della Repubblica alla modalità presidenzialista che dicevamo. Nulla di nuovo su quel fronte che pensa al presidenzialismo e al maggioritario come clave da scagliare sulle ordinarie procedure democratiche, scartabellando tutto a proprio vantaggio.
Si sappia che questa lettura dell’elezione del Presidente non sgorga dal nulla, non è la sorpresa dell’uovo di Pasqua, ma il portato naturale dell’attuale stato d’eccezione. Essa è il regalo che dovevamo attenderci dopo il dannato ribaltone di gennaio scorso, quando Conte è stato condotto alla porta quasi senza che la democrazia rappresentativa ne sapesse nulla, anzi. Tutto torna e tutto fila. I processi politici si richiamano l’un l’altro, si ingenerano secondo nessi di causalità o di finalità che solo ai buontemponi possono sfuggire. Se si apre uno stato d’eccezione, se si sceglie di congelare la lettera della Costituzione perché ci sono abbondanti risorse pubbliche su cui mettere le mani, si sappia che questo avvia una nuova fase degenerativa, secondo una linea di continuità che non può sfuggire ai più avveduti.