Massimo D’Alema: Quale mondo nuovo dopo la pandemia?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Massimo D'Alema
Quale mondo nuovo dopo la pandemia?
Massimo D’Alema
Presso la CGIL a l’Aquila
25 ottobre 2021
Trascrizione di Giovanna Ponti
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La pandemia, che noi in Italia abbiamo affrontato meglio di molti altri Paesi, ha rappresentato il segno che una lunga fase della vita internazionale, cioè quella dominata dall’egemonia neoliberale, si è conclusa. Sono venuti alla luce tutti i problemi che questa egemonia ha lasciato, due per tutti: la gravità dei problemi sociali e l’impoverimento dell’offerta pubblica.
In questo sistema la politica non aveva altri compiti se non quelli di eseguire i compiti che l’economia le assegnava. Occorreva rimuovere gli ostacoli, in particolare lo stato sociale, perché il capitalismo potesse liberare i suoi scopi.
Noi abbiamo erroneamente partecipato a questa ideologia. Solo da poco abbiamo scoperto la centralità della persona, posizione che deriva più dalla cultura cattolica che marxista.
Occorre ammettere che il cattolicesimo ha mantenuto uno sguardo critico sul capitalismo e il Papa conferma continuamente questa posizione.
Noi invece abbiamo da poco riscoperto la necessità di ritornare all’azione pubblica per contenere i danni del neoliberismo.
Anche l’Europa fino alla pandemia aveva mantenuto un’azione di sostegno al sistema capitalistico svolgendo un’ azione di controllo dei bilanci dello Stato, favorendo la concorrenza e facendo dell’austerità un fine.
Dopo l’arrivo del virus improvvisamente tutto questo è scomparso, anche quelli che sembravano i tabù intoccabili, e l’Europa lancia oggi grandi programmi di investimento per i quali fissa due finalità: la finalità di uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale, e quindi la necessità di una transizione ecologica dell’economia, e la necessità di una maggiore sostenibilità sociale della crisi.
Facendo ciò l’Europa determina un nuovo modo di intendere la propria funzione che richiama a una maggiore partecipazione dello Stato nell’economia.
Ciò avviene anche fuori dall’Europa . Infatti negli USA Biden rilancia una programmazione di interventi pubblici mai visti in precedenza negli ultimi 70 anni, anche nel senso di sviluppare una protezione sociale con lo sviluppo dell’welfare, a loro pressoché sconosciuto.
E’ quindi oggi riconosciuta la necessità che la politica debba guidare il mercato e questa è una svolta nuova, necessaria e matura da almeno 15 anni e che oggi avviene come reazione alla crisi determinata dalla pandemia.
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Noi abbiamo pensato che dopo la caduta del muro di Berlino la democrazia si sarebbe automaticamente estesa. Questo è avvenuto, ma solo in parte e il modello “democrazia” ha evidenziato i suoi problemi: si sono sviluppate grandi disuguaglianze sociali e la società non riesce più ad avere quel carattere di inclusività fondamentale in una democrazia compiuta.
Da questa crisi si è sviluppata l’ondata di populismo.
Noi dobbiamo capire che la democrazia regge se propone una effettiva inclusione sociale, se la democrazia favorisce la concentrazione della ricchezza e del potere in poche mani crea grandi disuguaglianze che determinano tensione nella popolazione.
Noi non siamo in grado di ridimensionare le grandi ricchezze e i grandi poteri economici.
Pensiamo ai grandi colossi del web, dei social, dei prodotti digitali: hanno enormi guadagni che l’occidente non è in grado di tassare come dovrebbe, Si parla di fare loro pagare un 10% sui guadagni quando un lavoratore ha una tassazione ben superiore sul proprio lavoro.
Nel confronto di questi colossi la Cina ottiene molto di più, poi si può ragionare sui modi con cui lo fa, ma ci riesce. Non dico che occorra seguirne le modalità, noi dobbiamo difendere i nostri valori, ma dobbiamo anche riuscire ad avviare una grande cooperazione per consentire di creare condizioni più eque.
Le democrazie infatti se agiscono separatamente non sono in grado di ottenere grandi risultati, ma una democrazia che non agisce sulla concentrazione della ricchezza fallisce la sua funzione. Solo attraverso una grande cooperazione internazionale fra tutti i Paesi democratici si potrebbero ottenere risultati in alcuni settori nevralgici.
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Sul lungo periodo non so se l’Europa sarà in grado di intervenire, però possiamo vedere che alcune scelte coraggiose le ha fatte.
Ora bisognerà capire lo scenario politico del futuro: se l’Europa sarà infettata di gente come Orban le speranze sono poche, se invece l’Europa produrrà una classe dirigente in grado di preparare una strategia di lungo periodo, questo periodo di crisi pandemica sarà servita ad aprire una nuova fase.
Tutto questo però sempre in un quadro di cooperazione internazionale
L’Europa è un pezzo di quadro che ha perso da un secolo la propria potenza mondiale.
Alla fine della prima guerra mondiale, l’Europa, dopo avere popolato l’America e il Canada, era il 25% dell’umanità, l’età media era di 26 anni e rappresentava più della metà dell’economia mondiale.
Oggi l’Europa è il 7% dell’umanità, ha un’età media di 45 anni e rappresenta il 13% dell’economia mondiale.
Rispetto a questa realtà in Europa c’è un grande movimento razzista che non vuole gli immigrati.
Noi in Italia, ad esempio, siamo in un calo demografico inesorabile, perdiamo circa 50mila abitanti all’anno. Se la popolazione diventa vecchia e il ricambio generazionale diminuisce, il rischio è che il sistema economico non regga, crolli, a meno che non arrivino ogni anno almeno 50mila giovani dal resto del mondo, disponibili ad aiutare il nostro sistema.
Noi siamo invasi dalla bugia enorme della invasione dei migranti. Mentre ci spopoliamo, gli italiani continuano a votare chi dice che siamo invasi.
L’Europa mantiene una grande risorsa che è quella della cultura della quale il mondo ha ancora grande bisogno e può svolgere un grande ruolo in questa fase di transizione.
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C’è un problema che riguarda la società.
Una parte della società, quella più evoluta, subisce la globalizzazione come un aumento di opportunità di carattere economico, ma anche esistenziale.
Questo mondo si riconosce nelle forze progressiste. Non è un caso che la sinistra, che pure è in gravi difficoltà, amministri tutte le grandi città europee.
Un’altra parte della società invece vive la globalizzazione come una minaccia, come perdita di status, di lavoro, di aiuti statali, e questa parte coincide con i più deboli cioè con quella parte che tradizionalmente era rappresentata dalla sinistra, ma che via via è diventata terreno di caccia del populismo.
Il divario è di carattere culturale. Il problema della sinistra è di tornare a parlare a questo mondo, innanzitutto dicendo “Noi vi difendiamo”.
Il PCI era una grande forza nazionale. La gente magari criticava il comunismo, ma sapeva che quel partito era la forza che difendeva concretamente i ceti più disagiati della società.
E’ molto importante che la sinistra recuperi questa capacità di rappresentanza, deve tornare a rendersi visibile nella difesa di interessi materiali della parte più debole della società.
Questa è la condizione perché la parte di società più impaurita, ignara, confusa non cada nelle mani del populismo.
Gramsci dice che il Partito, il novello Principe, innanzitutto è quello che garantisce un rapporto organico fra intellettuali e persone semplici.
Questo rapporto è spezzato, si sono distrutti i partiti, ci sono stati errori gravi della politica che hanno determinato una cultura dell’antipolitica.
I partiti erano un grande strumento di educazione del popolo.
Nelle sezioni del PCI ad esempio non si discuteva solo la linea del partito, ma anche di questioni complesse di tipo storico, economico, sociale. La forma di trasmissione orale avveniva in manifestazioni di massa e di partecipazione collettiva. Tutto questo è sparito.
Abbiamo teorizzato che erano finite le ideologie del ‘900 e così abbiamo consentito alla ideologia della fine delle ideologie di trionfare.
Mentre noi ci disarmavamo, la destra è tornata in campo con un messaggio ideologico forte.
Forze che dicono cose non vere e che non stanno nè in cielo né in terra ottengono grandi consensi perché hanno una grande forza ideologica. Di fronte alle varie crisi io ti propongo l’appartenenza alla terra, alla razza, alla religione. C’è un forte messaggio ideologico ed identitario nella destra populista, mentre il piano programmatico è il nulla.
Possiamo tornare al sovranismo nazionale come propone la destra? Un minuto dopo i Fondi internazionali non comprerebbero più i nostri bot e cct e l’Italia fallirebbe.
A sinistra non ci sono più gli iscritti, non ci sono più i funzionari e però abbiamo nuovi strumenti come le primarie che sono un meccanismo devastante.
Io non voglio fare il feticcio del marxismo, però io penso che la prima cosa da fare sarebbe quella di ricostruire un partito.
Un partito con chi ci sta, una forma di appartenenza collettiva perchè i partiti sono la condizione perché la democrazia sia inclusiva, sono lo strumento attraverso il quale la democrazia costruisce un rapporto con le masse, con il popolo.
La parte più debole della popolazione ha bisogno di un partito che la difenda, ma le dia anche un messaggio ideale.
Il tema dell’uguaglianza va declinato in termini concreti, ma anche in termini ideali.
Quello che si fa ora può essere sufficiente quando si vota nelle città, ma poi quando si arriva alle politiche si perde.
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L’informazione può dare un contributo.
Io trovo insopportabile l’atteggiamento di certi giornali che dopo avere demolito la casta per 20 anni, si lamentano perché il ceto politico non è di qualità.
Siamo l’unico Paese del mondo ad avere chiamato “casta” i rappresentanti politici democraticamente eletti. I primi ad usare questo termine furono le Brigate Rosse, ma questo non ebbe una grande eco.
Quando cominciò ad usarlo abitualmente anche il Corriere della Sera, ad esempio, allora il concetto di casta diventò un argomento devastante.
La stampa dovrebbe piantare la sua bandiera sulla rovina del nostro Paese.
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La legge elettorale agisce sul sistema politico, ma oggi agisce nel modo peggiore perché favorisce la disgregazione. Favorisce una forma di disgregazione pericolosa, perchè non regolata, di presidenzialismo, plebiscitarismo a partire dal fatto che i cittadini non sanno chi eleggono. Il rapporto fra elettori ed eletti non c’è più.
Le elezioni sono una specie di referendum fra due campi che sono accompagnati da una coorte di liste e tutto questo ha poco a che vedere con la democrazia.
Quindi dobbiamo cambiare la legge elettorale.
Il problema principale da risolvere è che questo sistema elettorale non favorisce la stabilità del governo perché spinge ad aggregazioni confuse che servono solo per vincere le elezioni, ma poi non sono in grado di funzionare come maggioranza di governo.
Io quindi dico che ci vuole un sistema proporzionale, con uno sbarramento diciamo al 5% e con le regole che ci sono in Germania.
La nomina del cancelliere è di esclusiva competenza del Parlamento. In caso di crisi ci vuole una sfiducia costruttiva per promuovere un nuovo governo.
Questo vuol dire fare le liste, avere un sistema di collegi elettorali e/o preferenze che consenta ai cittadini di scegliere i candidati da cui vogliono essere rappresentati, e poi si fondano i governi che garantiscono una stabilità.
In questo quadro io penso che abbia senso ricostruire un grande partito della sinistra.
Il Partito Democratico è nato a mio giudizio da una scelta sbagliata, a cui io sono stato partecipe, perché se il centro sinistra fosse stato articolato in un partito di sinistra e un partito democratico, sarebbe stato più forte.
Sarebbero stati due partiti radicati nella società e nella storia del Paese, con una grande tradizione alle spalle. Invece unendoli nel PD si è arrivati a un partito senza identità.
Purtroppo non si può rimettere il dentifricio nel tubetto però si può pensare che si ricostituisca un partito cambiandole regole interne sgangherate, stabilendo quali sono i diritti degli iscritti, stabilendo come si formano le liste: insomma ricostruendo la forma di un partito nuovo.
In qualche modo questo processo si sta aprendo, io sono positivo. Anche se si è aperto un dialogo che io ancora non ho capito bene cosa sia, ma mi pare di capire che il raggruppamento del quale io sono un militante di base, in quanto non sono in nessun organismo dirigente, ma del quale io sono un militante disciplinato, mi sembra si orienti verso un qualche tipo di incontro con il PD, non senza sofferenza da parte di molti perché il Pd visto da vicino induce qualche sofferenza.
Però una ragionevolezza c’è. In fondo la principale debolezza da cui il PD era afflitto, si è guarita da sola
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