RIFLESSIONI ALL’OMBRA DEL MELO DEL PRIMO ORTO

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: FILOTEO NICOLINI

RIFLESSIONI ALL’OMBRA DEL MELO DEL PRIMO ORTO

Ci muoviamo in città fantasmagoriche, tra agenti virali invisibili, teatro di censure informative e manipolazioni mediatiche, tra sospetti, accuse e incertezze. Ora avverto l’inesorabile trascorrere del tempo. Scrivo in un momento nel quale percepisco quell’invecchiare che merita attenzione serena. Adeguato ai giovani è il sentirsi immortali, noi anziani, giovanili con varie sfumature, ci dibattiamo tra desideri di continuare la vita normale, l’impegno a salvaguardare la salute e l’impulso a scoprire altre opportunità e nuovi compiti che corrispondano a ciò che ciascuno sa di sè e del suo passaggio terreno. Ma la cosiddetta vecchiaia è narrata come condizione poco amabile, ripugnante, egoista, codarde. Un compito onesto e giusto sarebbe quello di mostrare che la vecchiaia è il futuro che attende ogni giovane, che allora tanto vale conoscerla dalla viva voce di quelli che oggi transitano questa fase. Qui ogni intervistato darebbe la sua visione e versione, gli eventuali rimpianti, le gioie e i dolori, gli apprendimenti e le perdite. Tra tante opinioni e soggettività, vorrei dire la mia e caratterizzare l’età in cui mi trovo, dalla periferia su cui mi sono trovato.

La vita e’ stata un girovagare, tra indugi, avvii, slanci, cammini spiraleggianti, indecisioni e improvvise certezze.

I suggerimenti familiari e culturali che per educazione ho ricevuto da piccolo, piccolo patrimonio su cui basare l’orientamento negli anni giovanili, si sono intrecciati con tante opportunità apparse all’orizzonte che mi facevano scoprire un possibile cammino. Era l’età in cui ogni circostanza era occasione di scoperte ed arricchimenti. L’incontro col destino da scoprire cominciò presto, con lo studio, il conoscere e le sue regole, quando ebbi certe difficoltà con lo studio del latino. Mi era riservata dalla vita un appuntamento significativo nella rotta a seguire. Ci fu una anima gentile che mi insegnò regole e metodi di ragionamento. Credo che fu il risveglio di capacità addormentate che aspettavano l’opportunità. Se non fosse così, le lezioni e l’attenzione ricevuta, i ritmi e le sfide che sorsero, avrebbero dato risultati mediocri. Non fu così. Metodo e logica si impressero di forma impercettibile, e dettero buoni risultati col tempo quando passai ad altri studi e alle discipline scientifiche. Quasi senza sforzo, scrivevo e mi applicavo con risultati soddisfacenti. Mantenni vivo l’interesse per la scienza, mi sentivo sicuro nelle scelte, credo perché l’incontro con questa mia parte sconosciuta era un fatto assimilato, anche se di forma sub cosciente.

Come sfondo nell’anima e sotto traccia, ho avuto sempre l’anelito di comprendere gli enigmi della esistenza, che all’inizio avevano forma locale, storica e a corto raggio. Non ricordo domande specifiche e chiare, ma sempre una tensione per sapere più di quello che le narrazioni davano. Una inquietudine per la vita che andava al di là della scoperta delle semplici regole del gioco e narrazioni suggerite dalle tradizioni familiari. Una certa sana insoddisfazione che era alimentata dalla novità sull’orizzonte, un libro, una idea, una frase, una persona che attraesse la mia attenzione.

Ricordo un prete venuto a casa per la benedizione pasquale: alla vista di tanti libri sul tavolo stigmatizzò aspramente quella rincorsa per la conoscenza, disse che l’albero che si lascia torcere da giovane poi non sa ritrovare più la sua forma giusta verticale. All’ombra di un altro albero, il melo del primo orto, sono cresciuto. Sempre avevo l’impressione che mancasse qualcosa e che dovevo cercarlo. Era l’epoca delle prime incursione nella vita, le amicizie indissolubili, l’apparizione della morale coercitiva all’orizzonte. Il sentimento infantile che percepiva la spiritualità nel mondo cominciò a sfumarsi per lasciare campo all’indagine scientifica della realtà, in sintonia con gli studi. Mi seduceva l’aspirazione a poter comprendere il mondo mediante la scienza, era la scienza che guadagnava credito nella mia coscienza. La religione passò ad un secondo piano e finì per evaporarsi sempre più. Ora so che se ho studiato scienza e mi sono preparato lo devo a una ragione che proviene dal mio lontano passato.

Ognuno ha una diversa opinione e un atteggiamento sulle cose della vita, ciò dipende da quello che è già presente come sotto fondo in ognuno, da lì derivano decisioni e giudizi. E’ il nostro passato, è la necessità in noi. Deve essere successo qualcosa che si è depositata nell’anima e che continua ad agire come necessità. Ognuno trae con sé il suo passato, ognuno trae una necessità propria. Ma allo stesso tempo, quello che è si presenta ora non agisce come necessità, se fosse così non avremmo nel presente la possibilità della azione libera. Il passato quindi agisce nel presente e si unisce con la libertà. Per il fatto che il passato continui ad intervenire, nel presente si uniscono necessità e libertà. Il nostro divenire è una feconda interazione ininterrotta tra la necessità derivante dal passato e la libertà del presente.

Sempre ho avuto come aspirazione personale e ideale nella comunicazione la chiarezza della esposizione, un aspetto personale e soggettivo della ricerca della verità e del reale. Ho certa consapevolezza che nella mia vita quello che conta è questo desiderio di chiarezza, dove importa meno il risultato finale e più l’aspirazione. Cercare la verità mediante la chiarezza in qualche modo indica il mio sottomettermi ad una necessità interna spirituale, inerente alla ricerca della verità. Ma non è l’unico cammino, naturalmente, perché per esempio il poeta può con diritto rivendicare il suo singolare linguaggio per afferrare un altro aspetto della verità. Il poeta così facendo si sottomette alla propria necessità spirituale. Negli studi scientifici apparve il maggiore interesse per conoscere la metodologia e l’epistemologia, altro incontro con la mia parte sconosciuta, e mi fui orientando per la storia e la filosofia delle scienze, verso l’origine delle domande che gli scienziati si sono posti, derivandole dalla filosofia, dove sono confluite metafisica e teologia. Ma qualcosa mancava. La filosofia naturale spiegava fino ad un certo punto esterno la nascita della scienza moderna come legittima figlia, ma come la scienza fosse sorta suscitava in me delle altre domande relativa alla dinamica dell’evoluzione della coscienza e le profonde cause di ciò.

Pretendeva la scienza della materia spiegare sè stessa, spiegare la filosofia, il proprio essere umano? Va senza dire che le narrazioni tipiche già mi apparivano incredibili, non potevo avere fiducia nell’auto organizzazione della materia. Sempre più quelle enormi pietre rotolanti gelate o quei plasma incandescenti mi sembravano descrizioni di fatti materiali dalla assoluta povertà, illusioni da cui liberarsi. Erano domande che apparivano di forma spontanea e disordinata, cercavo solo di allargare il campo, solo avido di letture divulgative prive di affanni accademici o di erudizione. Categorie e concetti, o erano applicabili per essere comprensibili da me, oppure no. Poi, letture posteriori mi hanno insegnato che una vera concezione del Mondo deve prendere come punto di partenza non un inizio astratto, nebuloso, nelle rughe e fluttuazioni dello spazio tempo, come è di moda pensare ora, ma proprio dall’ultimo elemento che è sorto, l’essere umano pensante. Logicamente, è proprio del Creatore cominciare per l’inizio. Chi pretende solo conoscere deve cominciare invece con il qui ed ora, con la ultima cosa creata. Per lo scienziato, non si tratta di creare il Mondo ma di spiegarlo e comprenderlo. E’ l’essere umano che da inizio alla conoscenza, ma la scienza commette l’errore di voler spiegar l’essere umano a partire dalla Natura.

Una espressione che a volte usavo era: ”Camminatore, non c’è cammino: il cammino si fa all’andare”. Mutuata dal Sud America, dove nel Continente Nuovo il possibile era all’ordine del giorno, dove ciò che è stabilito e fisso cede a volte spazio affinché l’inaspettato e il contingente possano sorgere. Ma a questo mi piace aggiungere che il cammino si fa e si conferma quando si incontrano fatti e circostanze rivelatrici, dal significato all’inizio misterioso e che poi si mostra rivelatore. Diciamo pure che ho appreso dalle riflessioni e dalla vigilanza. Si apprende ad essere vigili e così osservare tanti eventi che normalmente passano inavvertiti. Se siamo vigili, non passerà un giorno senza che non accada un miracolo o fatto straordinario nella nostra vita. E se oggi nella nostra vita non succede un miracolo, è perché lo abbiamo perso di vista. Se facciamo di sera una retrospettiva della giornata, incontreremo un fatto piccolo o grande che è entrato nel corso abituale di forma curiosa, a volte inquietante. Questo si ottiene quando comprendiamo le circostanze della vita di una forma più amplia. Spesso tralasciamo di indagare quale evento potrebbe essere stato impedito da una qualsiasi circostanza. Un evento impedito è uno che avrebbe alterato profondamente la nostra vita. Quante cose potrebbero essermi successe oggi? Un contrattempo ci dà fastidio, ma ignoriamo se non siamo sfuggiti a qualche inconveniente maggiore.

Realmente, sappiamo molto poco delle cose del mondo che ci circonda. Alcune esperienze esercitano una profonda impressione, altre no; proviamo simpatia o antipatia. Ma è facile vedere che viviamo come sulla superficie del mare senza la più pallida idea di ciò che esiste sotto nel profondo. Il nostro passaggio per la vita finisce per essere la conoscenza della sola realtà esterna. L’arte della vita consiste nella lenta costante sostituzione di certezze iniziali per altre e poi per altre ancora. E’ la feconda metamorfosi tra l’essere giovani ed anziani.

La portata delle possibilità è infinitamente più grande di quella degli avvenimenti attuali. Tutte queste possibilità che non divengono realtà sul piano fisico esistono tuttavia come forze nel piano spirituale e riverberano attraverso di esso. Quindi, non sono solo le forze che attualmente determinano la nostra vita sul piano fisico le uniche a fluire su di noi, ma anche l’abbondanza incommensurabile delle forze che esistono solo come possibilità, alcune delle quali solo raramente si aprono passo nella nostra coscienza. Ma quando lo fanno, danno luogo a significative esperienze. La verità è che c’è infinita ricchezza ed esuberanza della Vita dietro la vita sul piano fisico.

Qualche parola sul nostro essere periferico. Siamo osservatori di una porzione limitata dell’intero universo, la quale confina con vaste parti di esso. Esse ci appaiono singolari a causa della nostra limitazione, e il nostro divenire ci appare avulso dal divenire del mondo. Questa separazione si deve al fatto che siamo esseri tra altri esseri, ovvero, la percezione di me stesso mi mostra una somma di proprietà e difetti, ma non mi avvicina al mondo. La mia percezione di me stesso mi chiude in determinati confini; ma il mio pensare non ha nulla a che fare con quei confini. Sono un essere che da un lato è chiuso nel campo che percepisco come la mia personalità, ma sono anche portatore di una attività che da una sfera più alta determina la mia esistenza. Il pensare acquista una colorazione personale che ci contraddistingue perchè in rapporto con sensazioni e sentimenti individuali. Un triangolo ha un unico concetto, e per il contenuto di questo concetto è indifferente che venga accolto da un portatore o da un altro. Ma da ciascuna delle due coscienze è accolto in modo individuale. Questa scoperta va contro la idea comune che siamo noi i creatori dei nostri concetti e che ogni persona abbia concetti propri. Nel pensare ci è dato l’elemento che riunisce la nostra particolare individualità col Cosmo, per formare un tutto. In quanto sentiamo e percepiamo siamo singoli, in quanto sviluppiamo il pensiero libero siamo uno con l’universo.

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Caratterizzare l’età in cui mi trovo è divenuto parlare a ruota libera di certe acquisizioni a partire da sguardi retrospettivi. Qui si aprirebbe spazio per discorrere sulla natura di queste acquisizioni, che sono tutte di indole morale e spirituale. Tutto quanto è legato alla nostra attività sensoria, linfatica, digestiva è in fondo qualcosa che una volta compiuta in noi appartiene all’immediata transitorietà. E’ qualcosa che lasciamo dietro per sua propria natura. E’ una ruota che gira sempre nello stesso modo. Naturalmente, per la vita dell’organismo ha la sua importanza, ma non ha valore imperituro. Altro è il discorso per quello che da noi irradia dipendendo dal modo in cui adoperiamo i nervi e i muscoli, ovvero il pensare ed il volere. Ecco, questa responsabilità ci accompagna, il pensiero giusto ed adeguato, il volere compenetrato di altruismo.

FILOTEO NICOLINI

Studio basato su letture dell’Opera di Rudolf Steiner.

Immagine: Albero mele.

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