Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
L’articolo 117 della nostra Costituzione stabilisce le materie sulle quali lo Stato conserva una legislazione esclusiva, alla lettera q si legge: dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale.
Siamo immersi da un anno in una terribile pandemia che, sinora, ha causato in Italia 106 mila morti e quasi 3 milioni e mezzo di contagi.
L’Unione Europea ha stabilito mesi addietro una linea comune di approvvigionamento dei vaccini: rispetto a inizio pandemia una scelta saggia e di netta discontinuità con egoismi e nazionalismi proiettati sino a ieri.
Per converso, in Italia, nonostante la lettera q. dell’articolo 117, abbiamo assistito a una logica incomprensibile dove le singole regioni hanno pensato di agire come repubbliche indipendenti con l’effetto di assistere a un piano di vaccinazione simile a una patchwork di colori.
Per regioni (vedi il Lazio) che hanno mutuato pratiche virtuose importandole da altre esperienze vi sono realtà (vedi la Lombardia) dove ottuagenari sono in attesa di una convocazione mentre si consuma un assurdo rimpallo di responsabilità.
Altre regioni ancora hanno applicato criteri di selezione (dando precedenza a singole categorie professionali anche se gran parte di quelle attività si svolge da mesi in smart working, e con anziani e profili fragili in attesa di vaccino).
Ricondurre allo Stato la regia e coordinamento del più imponente piano vaccinale della storia repubblicana dovrebbe essere una condizione per rendere effettivo quel principio costituzionale che garantisce a ogni cittadino una uguaglianza di accesso alle cure e alla sicurezza.