La sottile seduzione di A. Bioy Casares e
le basi filosofiche dei suoi primi romanzi.
I primi due racconti fantastici di Adolfo Bioy Casares hanno in comune intrecci che avvincono chi ne legge le trame in una lucida allucinazione.
Nell’Invenzione di Morel (1940) una complessa macchina fotografica riesce a catturare un gruppo di persone riunite per una settimana di vacanze su di un’isola deserta dell’Oceano Indiano. Il progetto del suo inventore è riprodurre ad infinitum tutto quanto succede in quei giorni, con il proposito di rendere eterno l’amore che nutre per una donna di nome Faustine. Ma quello che si vedrà eternamente è il rifiuto, o l’indifferenza fredda, della donna. Colui che narra è un profugo, perseguitato politico che si nasconde per sfuggire ai torturatori. Fugge dal Venezuela, cerca rifugio sull’isola. E’ un essere inquieto, indagatore, tormentato da dubbi e domande che annota sul diario mentre cerca acqua, cibo, nascondiglio, travolto da improvvise maree, vivendo nei pantani. Le sue domande fanno eco al quesito centrale: “…Creo que perdemos la inmortalidad por que la resistencia a la muerte no ha evolucionado;sus perfeccionamientos insisten en la primera idea, rudimentaria: retener vivo todo el cuerpo. Solo habrìa que buscar la conservaciòn de lo que interesa a la consciencia…”*
Egli assiste furtivamente a brani e scene che la macchina riproduce, prendendo per reali le persone e vere le vicende che le avvolgono, finendo per innamorarsi anche lui di Faustine, contemplandola di nascosto dal suo improvvisato nascondiglio. “…Pero esta mujer me ha dado una esperanza. Debo temer las esperanzas…Mira los atardeceres todas las tardes; yo, escondido, estoy miràndola…Ayer, hoy de nuevo, descubrì que mis noches y dìas esperan esta hora…Sin embargo siento, quizà un poco en broma, que si pudiera ser mirado un instante, hablado un instante por ella, afluirìa juntamente el socorro que tiene el hombre en los amigos, en las novias y en los que estàn en la misma sangre…”**
Il processo di registrazione rivela però una amara sorpresa. Esso finisce per distruggere gli esseri umani che sono stati esposti alle radiazioni, per cui quella settimana registrata sarà stata l’ultima in vita, scambiata con l’immortalità dei simulacri eternamente proiettati. L’ossessione del perseguitato, una volta scoperta la macchina ed il suo modo di registrare, crescerà fino a farsi catturare volontariamente, con lo scopo di essere al lato di Faustine per sempre. Impara come azionare la macchina e inserisce se stesso nella registrazione, con la speranza che una invenzione posteriore possa riunire le esistenze disperse e quindi permettergli di entrare nella coscienza di Faustine. Il romanzo combina la enigmatica storia fantastica, l’indagine cognitiva e la narrazione sentimentale in un geniale connubio…..
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Le proiezioni o ologrammi rappresentano un mondo fisso, immodificabile, col quale è impossibile comunicare. In quegli sguardi non si penetra, quelle voci si ascoltano senza possibilità di replica, quei sentimenti si diffondono con una dinamica propria e necessaria.
L’eterna ripetizione non permette la possibilità di innovare, semmai di approfondirne ossessivamente l’indagine, è il paradigma della necessità congelata. La messa in funzione delle macchine è una azione che non lascia scampo ai partecipanti, non viene richiesto il loro consenso né vengono illustrate le conseguenze. Le deboli proteste quando, dopo una settimana di registrazione inconsapevole si arriva al momento della rivelazione, lo dicono. Siamo di fronte al tema delle scelte morali che Bioy Casares fa compiere all’inventore della registrazione. Le vite di questi esseri umani saranno stravolte per sempre per fare spazio ai simulacri.
Sentiamo certa perplessità morale, ma essa si sfuma e passa ad un secondo piano nella nostra mente, a causa dell’intreccio delle storie d’amore e la seduzione avvincente delle scoperte che conducono allo scioglimento dell’enigma. Siamo trascinati dall’innegabile suggestione, è impossibile non interrogarsi sul significato del simulacro attraverso le parole del profugo. Qui è palese l’anticipazione di Bioy Casares (siamo nel 1940!) su temi oggi attuali della relazione copia-originale, artificiale-naturale, attraverso una rigorosa vicenda fantastica, in un processo che vede l’artificiale prendere il sopravvento sul naturale, la copia sull’originale.
Il proposito dell’inventore è annullare assenze spaziali e temporali, partendo dai progressi della radiotelefonia e del cinematografo per estenderli alle sensazioni olfattive, tattili, termiche. Una persona, un animale, un oggetto, davanti a una siffatta elaborata macchina diverrebbe una fonte di emissioni sottili. Il ricevitore di onde olfattive riprodurrebbe il profumo della persona, quello delle onde tattili ne duplicherebbe i capelli, e così via.
Con tutti i ricevitori accesi, comparirebbe la totalità ricostituita e congregata dei sensi, dalle sensazioni sorgerebbe l’anima. Secondo Morel, sarebbe innegabile concedere la coscienza alle persone così riprodotte, mentre circolano per un mondo che viene abbordato dall’osservatore.
La morte dei protagonisti suggella la vita eterna dei simulacri. Le copie sopravvivono, incorruttibili, almeno fin quando i motori azionati dalle maree funzionino. La realtà ontologica che possedeva la persona ne viene stravolta a favore delle immagini che lo spettatore considera reali. Una “immortalità” sconcertante. Seppure la macchina ricordi il cinematografo, ora le persone interpretano inconsapevoli se stesse e generano i propri simulacri al prezzo della loro vita.
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Sul piano cognitivo, ci sono varie considerazioni e perplessità. L’osservatore esterno ha di fronte che cosa? Dice il profugo: era come se le orecchie di Faustine non servissero per udire, come se gli occhi non servissero per vedere. Se solo avessi esteso il braccio, l’avrei toccata. Questa possibilità mi dava orrore, come se fossi stato in pericolo di toccare un fantasma.
Tuttavia, simulacri percettibili, fissi nella loro eterna ripetizione, con corpi fisici che occupano uno spazio. Il sole che fa la sua apparizione insieme al sole reale, perché alto sull’orizzonte quando fu catturato dalle macchine, è un sole altrettanto caldo.
Una porta chiusa a chiave al momento della registrazione rimarrà chiusa per sempre. Ma l’osservatore si nasconde furtivo evitando di essere notato per la sua condizione di profugo, è convinto di essere in presenza di esseri reali, perché assiste a brani e spezzoni della registrazione. Il fuggitivo li guarda da vicino, mentre evita il contatto diretto, e nota altre strane cose: nell‘acquario si imbatte in due copie identiche del pesce morto che aveva trovato il giorno del suo arrivo. Durante una giornata passata alla piscina, vede i turisti che saltellano per scrollarsi di dosso il freddo, sebbene il caldo sia insopportabile. L’avvenimento più strano è la presenza di due soli e due lune nel cielo
Tentare un dialogo con le copie sarebbe inutile. Fino a che punto vengono percepiti i pensieri, che percezione c’è dell’Io dei personaggi? Va senza dire che qui Bioy Casares vuole convincerci che bastano le sensazioni per la percezione spirituale dell’altra anima, che da movimenti, posture e quant’altro possa l’osservatore percepirne l’individualità. Ma è ingannevole ritenere che all’incontrare una persona noi ne deducessimo l’Io dai gesti, dalla mimica e altre condotte, o dalle sensazioni che suscita in noi, come se fosse una conclusione istintiva o incosciente.
In verità, così come percepiamo un colore o un odore, noi percepiamo l’Io di un altro essere appena incontrato per mezzo del suo pensiero. E la ripetizione eterna non ammette evoluzione del pensiero. Il fuggitivo intenta comunque varie spiegazioni. Le persone che si presentano di forma intermittente, poi ripetuta, sarebbero esseri con un’altra natura; oppure un gruppo di amici morti che lui, viaggiatore come Dante o Swedenborg, visita nel loro cielo; possibile anche che lui stesso sia divenuto invisibile per gli stenti, le febbri, la paranoia di essere scoperto. Oppure, ipotizza di essere morto. Poi c’è il tema della presenza nello stesso spazio di un oggetto e della sua immagine totale, ovvero saremmo solamente aperti alle sensazioni, il mondo esterno sarebbe solo sensazione, che è come vedremo poi la posizione di Hooke e Hume a cui attinge Bioy Casares.
Nel Piano di Evasione (1945) lo sfondo degli avvenimenti è da un lato l’incomunicabilità, come se né il linguaggio né i rapporti umani consentissero una comprensione reciproca, tanto meno una verità condivisa, dall’altro la manipolazione sensoriale disposta per una impossibile, quanto sconcertante, missione. Entrambi temi sono riflesso dello scetticismo di Bioy Casares e di certa propensione per il solipsismo. La vicenda è avvolta in molteplici misteri che sfidano la comprensione e sono metafora dell’enigma centrale, ovvero le capacità cognitive dell’essere umano e la loro alterazione.
Ancora una volta una isola misteriosa dove accadono delle cose inspiegabili e inquietanti, chiamata“Isola del Diavolo”. Ancora una volta si arriva al finale sorprendente attraverso equivoci, false piste, visioni, incubi, sogni, persone febbricitanti. Ancora una volta fatti e segni inspiegabili, mal interpretati, i protagonisti sono confusi, anche dal caldo e dalle malattie tropicali, impauriti da segni strani. Bioy Casares confida qui nell’intelligenza del lettore, a cui è richiesta attenzione e riflessione costante.
Voci narranti e accentuati punti di vista fanno ricordare una delle caratteristiche de L’invenzione di Morel. Protagonista un tenente di vascello che arriva per prestare servizio alla Guayana francese, in una specie di esilio amoroso nelle prigioni della Colonia penale, prima di potersi sposare con Irene, a cui si sente unito da un amor contraddittorio. Sospetta l’esistenza di un piano di evasione dei presidiari, ne commisera le condizioni, si avvolge in una rete di enigmi circa le reali intenzioni del Governatore Pedro Castel. Osserva con preoccupazione i camuffamenti sull’isola, sconcertato dal fatto che essi siano presenti anche sulle pareti interne della carcere. Castel si rivela alla fine uno scienziato che, mediante ripetuti e complessi interventi chirurgici su alcuni carcerati, pretende convertire la reclusione in una specie di Paradiso terrestre, e quindi “liberarli” dalle pareti e dalla prigione senza che escano fisicamente dalle celle. Pedro Castel confesserà che era indispensabile fare esperimenti che implicassero indifferenza per le leggi umane e finanche per la vita di certi uomini, alimentando una fede definitiva nella trascendenza delle sue scoperte di trasformazione.
Qui una necessaria digressione. Le basi filosofiche di Bioy Casares che lo condussero a concepire i due romanzi vanno ricercate in primis nel pensiero di Robert Hooke (1635-1703), contemporaneo di Newton, primo scienziato a usare il microscopio, col quale fece la fondamentale scoperta delle cellule del tessuto vegetale. In base alle ricerche rese possibili dal microscopio, Hooke si pose a considerare la relazione tra il pensiero umano e la realtà obbiettiva.
Nel passato gli esseri umani nutrivano la credenza ingenua che la coscienza con le sue immagini di pensiero riproducesse il contenuto reale del mondo. Ma ora, secondo Hooke, il microscopio dimostrava come l’apparenza del mondo familiare dipendesse dalla struttura dell’apparato sensoriale, perché esso rivelava una realtà, anche essa reale e legittima insieme a quella già nota, ma che era stata fin allora nascosta perché non accessibile ai sensi naturali. E quindi, se il microscopio poteva penetrare il velo dell’illusione che normalmente nasconde un mondo di fenomeni potenzialmente osservabili, allora esso poteva anche insegnarci qualcosa in più. Poteva avvicinarci alla verità nella sfera del pensiero, così come lo stava facendo nel dominio dell’osservazione.
Hooke considerò le idee semplicissime e fondamentali del punto e della linea. Possiamo concepirli mentalmente, ma la coscienza ingenua assume garantito il fatto di poterli percepire come realtà oggettive esistenti fuori, così che pensieri e fatti si corrispondano. Ma dovremmo chiederci, prosegue Hooke, se questa credenza non sia dovuta a un inganno ottico. Dirigiamoci allora di nuovo al microscopio e osserviamo a che cosa punto e linea somigliano adesso.
Per la sua indagine scelse la punta di un ago e il bordo di un coltello, come i migliori rappresentativi del punto e della linea. E fu chiaro subito ai suoi lettori quanto poco queste due cose fisiche, osservate al microscopio, rassomigliassero a quello che si vedeva ad occhio nudo. Questi i fatti. L’interpretazione di Hooke fu che l’apparente accordo tra il mondo delle percezioni e quello delle idee si fondava su null’altro che una traballante limitazione ottica. Se Cartesio affermava con soddisfazione di avere nel pensiero una garanzia sicura della sua propria esistenza, Hooke provava in un modo apparentemente indubitabile che il pensiero era completamente divorziato dalla realtà.
Leggiamo ora testualmente in Piano di Evasione di Bioy Casares:” Si miramos a tràves del microscòpio la realidad varìa: desaparece el mundo conocido y este fragmento de materia, que para nuestro ojo es uno y està quieto, es plural, se mueve. No puede afirmarse que sea màs verdadera una imagen que la otra: ambas son interpretaciones de màquinas parecidas, diversamente graduadas. Nuestro mundo es una sìntesis que dan los sentidos, el microscopio da otra. Si cambiaran los sentidos cambiarìa la imagen. Podemos describir el mundo come un conjunto de sìmbolos capaces de expresar cualquier cosa; con sòlo alterar la graduaciòn de nuestros sentidos, leeremos otra palabra en este alfabeto natural”.***
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Le conclusioni di Hooke trovarono eco nella filosofia scettica. David Hume (1711-1776) arrivò ad affermare che la coscienza non ha altro contatto col mondo se non quello di un osservatore esterno. Quello che egli ricava come contenuto del mondo esterno ha la natura di singole parti mutuamente non correlate.
La coscienza dell’osservatore esterno è quindi incapace di avere conoscenza della esistenza obbiettiva, sia dei fenomeni, sia del proprio Io. La sostanza non è altro che una collezione di qualità particolari, ovvero un insieme di stimoli e sensazioni empiriche provenienti dall’esterno e cementate dal nostro intelletto fino a creare una idea di ciò che stiamo osservando.
L’altro versante della ispirazione di Bioy Casares è il pragmatismo espresso da William James (1842-1910), secondo il quale dovremmo smettere di interrogarci sulla verità delle nostre opinioni e credenze, per occuparci esclusivamente dell’effetto che esse hanno sulla nostra esistenza.
Non importa quindi se una affermazione sia vera o falsa, bensì se aumenta o diminuisce la nostra felicità. Questo aspetto del pragmatismo, se portato alle estreme conseguenze, potrebbe essere una delle chiavi della stesura del romanzo, in quanto modificando i sensi dei presidiari questi sarebbero condotti a sentirsi felici in libertà partendo da falsità credute per autentiche.
Cito testualmente le parole di Pedro Castel: ” Un cambio en el ajuste de mis sentidos harìa, quizà, de los cuatros muros de esta celda la sombra del manzano del primer huerto…la unidad esencial de los sentidos y de las imàgenes, representaciones o datos, existe, y es una alquimia capaz de convertir el dolor en goce y los muros de la càrcel en planicie de libertad…….esta càrcel donde escribo, estas hojas de papel, solamente son càrcel y hojas para una determinada graduaciòn sensorial (la del hombre). Si cambio esta graduaciòn, esto serà un caos en donde todo, segùn reglas, podrà imaginarse o crearse.”****
E continua dicendo: William James afferma che il mondo si presenta come un flusso indeterminato, una specie di corrente compatta, una vasta inondazione dove non ci sono né persone né oggetti, ma confusamente odori, colori, suoni, contatti, dolori, temperature…l’essenza dell’attività mentale consiste nel tagliare e separare quello che è un tutto continuo, e aggrupparlo in oggetti, persone, animali, vegetali. I pazienti, soggetti letterali di James, si confronteranno con questa rinnovata mole, e in essa dovranno rimodellare il mondo. Ritorneranno a dare significato all’insieme di simboli.
Il problema che affronta Castel è quello di preparare le celle affinché i pazienti le percepiscano e le vivano come isole circondate dal mare, e preparare i presidiari mediante ardite operazioni sui nervi, affinché estraggano dal tumultuoso complesso di colori, forme e prospettive quella che sarà per ciascuno di loro una isola, la propria isola solitaria. I sensi sono accoppiati: suoni con colori, vista con udito, di forma tale da poter “vedere” attraverso una parete solida. I camuffamenti interni sulle pareti, il pavimento e i lettini, hanno la funzione di far percepire le onde del mare, la spiaggia, i bordi dell’isola in cui si trasforma la cella. Ogni carcerato vivrà su di una isola felice, solo nella sua solitudine piena di libertà; le pareti scomparse, mare e spiaggia soleggiate. Castel ne rallenta anche i movimenti, affinché il giro della cella possa equivalere al periplo dell’isola.
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Fin qui la sconcertante rivelazione alla fine del romanzo. L’esperimento fallisce in un assassinato mutuo dei presidiari conseguenza proprio dei nuovi sensi accorpati fra di loro.
Terrificante è senza dubbio lo sconvolgimento dell’organizzazione sensoriale dei presidiari, anche ad un esame sommario. Ma la trama avvincente non deve farci perdere di vista le possibilità reali della realizzazione, né la valenza morale.
Sarà tutto ciò possibile, auspicabile? Per abbordare la realtà libera di pregiudizi, noi ci basiamo nella percezione e nel pensiero. E’ noto che l’occhio riesce a percepire dentro della gamma di possibili colori quelli tra il rosso e l’azzurro. Ma esistono raggi oltre l’azzurro che non producono impressione luminosa, ma solo una modificazione chimica, e ugualmente esistono raggi infrarossi che non sono visti ma sentiti come calore. Ciò porterebbe alla opinione che l’orizzonte della percezione umana sia determinato dal numero e dal carattere dei suoi sensi, e che ci confronteremmo con un’altra realtà se avessimo altri sensi.
Questa speculazione può anche spingersi ad affermare che non abbiamo diritto di considerare importante quello che percepiamo per stare nella realtà. Cioè, che con ogni nuovo senso l’immagine della realtà cambierebbe.
Si tratta di una mezza verità. Infatti, qualunque siano i sensi che l’essere umano possa ancora acquistare ipoteticamente, nessuno di essi fornirebbe la realtà completa se non si combinasse il nuovo percepito con concetti elaborati dal pensiero. L’elaborazione attiva del pensare è qualcosa completamente diversa dell’esperienza di un oggetto dato dalla percezione dei sensi. Qualunque sia questo senso ipotetico aggiunto, esso ci darebbe la possibilità di vivere nella realtà solo e quando fosse permeato dai concetti corrispondenti. E’ l’immagine percettiva avvolta dai rispettivi concetti che riconduce l’essere umano alla realtà.
Ogni percezione fornisce solo una parte della realtà, in un certo senso la allontana; il pensiero ristabilisce l’equilibrio e ci introduce in quella parte della realtà che la percezione occulta. Quindi l’aumento o l’ampliazione degli organi di percezione risulterebbe sì in una immagine percettiva differente, ma una vera comprensione potrebbe solo ottenersi anche in questo caso dal connubio percezione-concetto. La nuova realtà non va confusa con un orizzonte di percezione maggiore o alterato, nel quale ci è sempre data la metà della realtà.
Ciò detto, nella rivelazione finale che il narratore fa, poco o nulla si dice sull’apprendimento posteriore alle operazioni. Si accenna alla educazione sentimentale dei pazienti per evitare il rischio di erronee interpretazioni, più che altro per risvegliare in essi la speranza di libertà e instillare l’anelito a vivere in una isola solitaria, invece di tornare alla casa. Non ci deve sorprendere questa sottovalutazione, perché come si è visto la filosofia sottintesa concede ruolo centrale alle sensazioni.
Forse ci si immagina ingenuamente che il pensiero si adegui “naturalmente” alle nuove percezioni? Ma non sarebbero sconvolti e confusi al massimo i pensieri dei presidiari sottoposti alle operazioni dei sensi, non si richiederebbero altri violenti interventi, questa volta sul pensiero, per indurli a completare quelle inaudite “percezioni” con “pensieri” altrettanto inauditi? Trapianti ed operazioni, manipolazioni sensoriali e contraffazioni dei “pensieri” si susseguirebbero insieme in un crescendo di artificialità che non esito a definire diabolica. Valga un ultimo appunto sconcertante. Castel arriva anche a ipotizzare la sostituzione dell’Io del carcerato per un altro Io di rimpiazzo.
Rimane comunque la sottile seduzione che il racconto fantastico esercita sul lettore. Debbo qui aggiungere che entrambi i romanzi mi hanno sempre avvinto e commosso a causa dell’architettata trama, che riunisce perizia narrativa, immaginazione ragionata e rigore geometrico.
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Nel “Dormire al Sole” (1972) è protagonista un orologiaio che si rifugia nel suo rassicurante studio, lontano dal vociare della casa e della strada, a montare pezzi che basta assemblare nel modo giusto perché funzionino. Accanto a lui, antitesi di questa quieta perfezione, c’è la moglie Diana, donna bellissima e inafferrabile nei suoi capricci, improvvise fascinazioni e idiosincrasie, oggetto dell’amore e del desiderio assoluto del marito e insieme causa di litigi e di instabilità continue. I coniugi vengono convinti della necessità del ricovero di Diana da un addestratore di una scuola per cani, che fa da intermediario del vicino Manicomio. Qui si insinua l’allusione all’addomesticamento a cui sottoporre Diana.
Il dottor Samaniego direttore del Manicomio garantisce risultati straordinari a donne inquiete e nevrotiche come Diana: basta qualche tempo nella sua clinica per uscirne completamente rinnovati, sereni e docili, in pace col mondo. Solo, avverte il dottore, bisognerà che al suo ritorno il marito presti molta attenzione a non ricreare gli antichi meccanismi, di cui forse potrà avere nostalgia al ritorno della compagna.
Nella vicenda appare dato il consenso al ricovero, ma allo stesso tempo cominciano i dubbi e gli interrogativi del protagonista impaziente e sinceramente preoccupato, dubbi dissipati solo dal ritorno della moglie. Diana è oggetto di nuovo desiderio per la sua sottomissione, docilità, affezione, è realmente trasformata. Guarita?
Mesi dopo, la nostalgia pronosticata dal medico si fa sentire. Quei difetti e quelle manie, ormai scomparse, ora mancano. La riflessione è che i nostri desideri si compiono di forma tale da persuaderci alla fine che vale di più non desiderare niente. E non appena l’orologiaio varca la porta dell’ospedale per lamentarsi del cambiamento troppo profondo della moglie e reclamare la Diana di una volta, viene a sua volta internato, questa volta a forza e senza consenso. Durante un tentativo di fuga scopre gli inquietanti retroscena della clinica.
Samaniego si dedica a sperimentare innesti di anime umane in corpi di cani e viceversa. La tecnica consiste in una immersione nell’animalità per rasserenare anime inquiete. Motivo per cui non è più possibile recuperare la vera anima della sua Diana, assegnata ormai a un altro corpo.
L’orologiaio comprende con terrore che è orribile guardare sua moglie e sospettare che lì dentro lo stia spiando una sconosciuta. E rimprovera aspramente il medico perché non ha mai considerato che si ama una persona anche per i suoi difetti.
Ma subirà anche lui, suo malgrado, una profonda trasformazione per essere adattato alla nuova realtà.
Dormire al sole è una profonda riflessione sull’amore e l’identità personale, in un certo senso rappresenta un punto di arrivo più tranquillizzante, una presa di distanza dai deliri ragionati dei primi romanzi.
Bioy Casares manifesta ora tutta l’inquietudine sulle manipolazioni della personalità. L’orologiaio deluso accetta i difetti della moglie e vorrebbe che le fossero restituiti; è una lucida e profonda constatazione che sembra preludere alla edificazione reale dei rapporti amorosi e sgombrare il campo dalla impossibilità dell’amore come i primi due romanzi facevano intravedere.
NOTE
* “…Credo che perdiamo la immortalità perché la resistenza alla morte non si è evoluta; i suoi perfezionamenti insistono nella prima idea, rudimentaria: trattenere vivo tutto il corpo. Solamente si dovrebbe cercare la conservazione di ciò che interessa alla coscienza…”
**“…Ma questa donna mi ha dato una speranza. Debbo temere le speranze…Lei guarda i tramonti tutti i pomeriggi; io, nascosto, sto guardandola…Ieri, di nuovo oggi, ho scoperto che le mie notti ed i miei giorni aspettano quest’ora…Tuttavia sento, chissà un poco scherzando, che se potessi essere guardato un istante, ricevere per un istante una parola da lei, affluirebbe insieme il soccorso che l’uomo ha negli amici, nelle innamorate e in quelli che stanno nello stesso sangue…”
***“Se guardiamo attraverso il microscopio, varia la realtà: il mondo conosciuto scompare e questo frammento di materia, che per il nostro occhio è uno ed è in quiete, è plurale, si muove. Non si può affermare che una immagine sia più veritiera dell’altra: entrambe sono le interpretazioni di macchine simili, regolate diversamente. Il nostro mondo è una sintesi che i sensi forniscono, il microscopio dà un’altra. Se i sensi cambiassero cambierebbe l’immagine. Possiamo descrivere il mondo come un insieme di simboli capaci di esprimere qualunque cosa; basta alterare la regolazione dei nostri sensi e leggeremo un’altra parola in questo alfabeto naturale”.
**** “Un cambiamento nell’impostazione dei miei sensi farebbe chissà delle quattro mura di questa cella l’ombra del melo del primo orto…esiste l’unità essenziale dei sensi e delle immagini, rappresentazioni o dati, ed è una alchimia capace di mutare il dolore in gioia e le mura della carcere in pianure di libertà…questo carcere dove scrivo, questi fogli di carta, sono carcere e fogli solamente per una determinata impostazione sensoriale (quella dell’uomo) Se cambio questa impostazione, tutto ciò sarà un caos dove tutto potrà immaginarsi o crearsi in base a regole.”
IMMAGINE: ISOLA HANTU