Fonte: Ciociaria Oggi
La pandemia continua a generare indicibili drammi umani, anche e soprattutto per il modo in cui tante persone sono venute a mancare. Per fare il punto abbiamo intervistato il prof. Giulio Tarro, virologo di fama internazionale e allievo di Albert Sabin, scopritore del vaccino contro la poliomielite.
Tutte le morti attribuite ufficialmente al coronavirus sono dipese, a suo parere, dalla malattia in questione? Che lei sappia, sono stati effettuati i tamponi sui deceduti?
«Assolutamente no: non di solo Covid-19 si muore in Italia e nel mondo. A mio avviso, e credo non solo mio, le morti sono da accreditare a una scarsa tenuta del sistema ospedaliero e dallo scarso funzionamento del sistema di monitoraggio e conseguenzialmente della medicina territoriale che, dopo anni di tagli, si trova impreparata a gestire la fobia, provocata da politica e media, di aver contratto il Covid-19. La presunta “alta mortalità” sarebbe dovuta non certo a un virus più cattivo, ma alla sottostima del numero dei contagiati. I contagiati da Covid19 non sono quelli conteggiati, basandosi solo sui tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni. Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali, fino a 10 milioni di contagiati da Covid19, solo in Italia. A questo dato sicuramente non marginale se ne deve aggiungere un altro, che chiarirà la questione. In base ai primi dati dell’Istituto Superiore di Sanità di cartelle cliniche relative ad esami eseguiti su presunte vittime da Covid19, abbiamo che in 909 casi solo 19 sono da attribuirsi come causa diretta e reale al Sars-CoV2.
«Credo che nel tentativo di bloccare qualcosa di non gestibile si sia fatto peggio. Le malattie infettive si sono, da sempre, combattute con l’isolamento dei “soli” soggetti infetti. Soggetti che vanno identificati, isolati e curati tempestivamente, il più delle volte a casa, evitando paure immotivate e lasciando lavorare gli ospedali. In questo momento avere paura non serve, è solo deleterio. Nell’affrontare il Covid19 si sono isolate, in teoria, milioni di persone non isolando de facto i soggetti infetti. Durante questa “nuova ondata”, stagionale più che altro, in alcune regioni si sta facendo la stessa cosa e sicuramente si andrà nella stessa direzione a breve per tutto il Paese. Nuovamente stiamo sbagliando. Il sistema di monitoraggio si è dimostrato molto poco efficiente e intensificarlo, come si sta facendo, ora che il virus dilaga serve a poco. Le abitazioni, gli ospedali ma soprattutto le Rsa si sono rilevate ambienti assai confortevoli per il virus. A mio avviso si è fatto il contrario di quello che andava realmente fatto. I protocolli? Eccessivi. Non ha senso fermare le attività commerciali. Si è sempre detto di mettere in atto la ricetta israeliana di fare circolare il virus tra i giovani e isolare anziani e malati».
Quanto hanno influito i trasferimenti regionali agli ospedali per ogni ricoverato Covid19 sulla gestione di pronto soccorso, terapie sub intensive e terapie intensive, nonché sui ricoveri?
«Dal momento che la sanità italiana ha ormai una responsabilità trasferita alle regioni, ovviamente bisogna vedere se le decisioni prese sono state quelle valide per la regione gestita e pertanto non è necessario l’intervento del governo nazionale. Sappiamo bene che esistono delle differenze ataviche in questa nazione e pertanto dovremmo sempre tenere presente questa situazione dal momento che la sanità italiana era stata fra le prime del mondo soprattutto per gli obiettivi sociali, mentre dopo il dimezzamento politico dei posti e delle terapie intensive dal 1997 al 2015 hanno posto l’Italia della salute come la cenerentola a livello europeo».
«Sì, credo sia l’unica strada percorribile ora, così come all’inizio. Andava potenziato il sistema sanitario e sicuramente il monitoraggio doveva essere più efficiente, così come si è fatto in molti Paesi asiatici, Cina in primis. L’immunità di gregge è la soluzione. La Svezia lo ha fatto, il suo sistema sanitario gliel’ha permesso. Ci saremmo dovuti adeguare. Possiamo ancora farlo. Bisogna affrontare il problema con razionalità».
Quanto ritiene indispensabile, a questo punto, l’uso della mascherina e degli altri dispositivi di protezione?
«La mascherina andrebbe usata solo quando non c’è la possibilità di osservare la distanza minima di un metro e se ci si trova con persone non conosciute. Altrimenti non va usata, specialmente in luoghi all’aperto. Le mascherine non sono il massimo dell’igiene. Io starei attento nel loro uso, nel loro riuso e nel loro abuso. Durante il periodo estivo è bene non usarle, ora consiglierei un uso intelligente. Vorrei ricordare che l’Iss ci diceva che le mascherine avrebbero dovuto usarle solo gli operatori sanitari e gli infettati».
Pensa che sia verosimile la creazione di un vaccino efficace o che sia una chimera alla quale si aggrappano i governi?
«Mi sento di rispondere che nell’affrontare le epidemie, o pandemie che dir si voglia, servono due cose: competenza e ordine, soprattutto nelle vaccinazioni. La soluzione non sarà il vaccino, almeno non adesso, dato che in questo momento non ce l’abbiamo. Per un vaccino efficace e “privo di rischi” ci vogliono almeno diciotto mesi e non è detto che in questo caso funzioni perché non esiste un solo Covid19. Il virus è mutato più e più volte. Un virus può mutare in appena cinque giorni. Ripeto in “soli cinque giorni”. A mio avviso bisogna avere i piedi per terra prima di proporre alcune situazioni. Siamo in presenza di un virus estremamente mutevole. Esistono più versioni del virus ed è per questo motivo che non può esserci un vaccino in grado, come nell’influenza, di metterci al riparo completamente. Difatti, se il virus ha come sembra più varianti, sarà complicato avere un vaccino che funzioni in entrambi i casi, esattamente come avviene per i vaccini antinfluenzali che non coprono tutto, a differenza di quello che si pensa».
Il Covid19 potrebbe sparire completamente come la prima Sars, ricomparire come la Mers, ma in maniera localizzata o cosa più probabile diventare stagionale come l’aviaria. Per questo serve una cura più che un vaccino. Le risultano evidenze scientifiche circa l’immunità per coloro che hanno già contratto e superato il Covid19?
«L’infezione con il beta-coronavirus, a mio avviso e ad avviso di alcuni studi da me consultati, induce una forte e duratura immunità delle cellule T nei riguardi delle proteine strutturali NP. Questo perché i beta-coronavirus, categoria alla quale il Sars-Cov-2 appartiene, sono in grado di sviluppare un’immunità di tipo cellulare, addirittura più importante di quella derivante dalla produzione di Igg».
Prescindendo dalla politica e dalla strumentalizzazione del fenomeno, come giudica l’informazione dei media? E la comunicazione governativa?
«Non so dirle se sia una comunicazione governativa, è sicuramente una comunicazione errata. Il più delle volte ci troviamo dinanzi a fake news, spero inconsapevoli. La materia è complessa ed è bene che ne parli chi ha nozioni in merito, altrimenti succede che… beh lo state vedendo».
Crede nella teoria complottistica, cioè che il fenomeno Covid19 sia una manovra dietro la quale ci possa essere uno Stato che abbia creato il virus per demolire le economie degli altri Stati e impossessarsene?
«No, credo che si sia giunti all’apoteosi dell’assurdo. Sicuramente qualcuno sta approfittando della situazione, ma più che altro, in risposta ai paradossi creatisi. Se usassimo il buon senso ne saremmo già usciti».
CHI E’ GIULIO TARRO
Nato a Messina nel 1938, è stato primario di virologia all’ospedale “Cotugno” di Napoli
dal 1973 al 2006. È presidente a vita della Fondazione Teresa e Luigi De Beaumont Bonelli,
per le ricerche sul cancro.