L’Italia riparte? Ma quella del non-PIL, quella della salute, dei servizi, dell’istruzione e della sicurezza sociale non si è mai fermata

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

L’Italia riparte? Ma quella del non-PIL, quella della salute, dei servizi, dell’istruzione e della sicurezza sociale non si è mai fermata.

Ho ceduto infine alla tentazione di scrivere questo post. Avete presente il claim che gira ovunque, a partire dagli spot commerciali: “l’Italia riparte”? Si vedono baristi che rialzano le saracinesche, aziende che tornano a produrre, imprenditori (chiamati per nome di battesimo) che si rimboccano “finalmente” le maniche dopo il lockdown, e persino una catena di supermercati che mostra una prima pagina stracciata dove c’è scritto che servono aiuti per le imprese e poi un carrello per fare la spesa che affianca i produttori – come dire: laddove non arriva il governo ci siamo noi imprenditori che aiutiamo noi imprenditori.

“L’Italia riparte” vuol dire che fino a quel momento era rimasta ferma, addirittura sotto l’effetto “grotta” come dice quel gran lavoratore di Beppe Sala riferendosi ai suoi impiegati in smart working, e che ora però devono “tornare a lavorare”. Gli imprenditori guidano la riscossa della riapertura e i fannulloni con lo stipendio in tasca sono avvertiti. Fatico, tuttavia, a capire quando questo Paese si sia davvero fermato. Certo, dal punto di vista del PIL siamo indietro di qualche punto (come tutti nel mondo, direi) e siamo meno ricchi di prima (in termini di denaro – anche se non tutti lo siamo davvero). Fatico comunque a capire e trovo questa retorica irritante.

Vorrei ricordare che in questi mesi la sanità non si è fermata mai. Sennò i morti (non il PIL) sarebbero stati una percentuale altissima. Non si sono fermati gli autisti del trasporto pubblico, né gli insegnanti, né i dipendenti dei supermercati, né le ditte delle pulizie, né le associazioni di volontariato, né i trasportatori, né il commercio online, né le aziende delle filierie agroalimentari, sanitarie, della informazione, dei beni deperibili o di prima necessità. Non si sono fermati nemmeno (pensate un po’) i dipendenti in smart working (per quanto chiusi in grotta, come dice Sala, o del tutto inutili anzi dannosi, e da cassintegrare, come sostiene Ichino).

Quindi “riparte” cosa? L’Italia del PIL? L’Italia della ricchezza di un Paese misurata in base alla sola “produzione”? Che certo non coincide con l’Italia della solidarietà, dell’istruzione, del volontariato, dei lavoratori dei servizi messi sotto pressione nell’emergenza Covid e in tutte le altre emergenze. Quest’Italia non si è mai seduta: dire che “si riparte” è quasi un insulto per questi lavoratori e per questi volontari, e persino per certe filiere industriali. Anzi, faccio una previsione: fate passare ancora qualche settimana e proprio quelle cassiere, quei lavoratori delle pulizie, gli operatori sanitari, dei trasporti verranno ributtati subito in seconda fila nelle considerazione dei “ripartiti” a caccia di PIL. Penso già ai comitati impegnati sul fronte delle battaglie legali e dei risarcimenti verso le strutture sanitarie e il personale. Penso alle polemiche regionalistiche. Penso alle ripartenze sempre più “audaci” sul piano della sicurezza sanitaria. Penso alla nostra tendenza a dimenticare le cose che contano.

Ribadisco il concetto: senza sicurezza e senza fiducia diffusa la domanda non prende corpo e l’economia non riparte nemmeno se riaprite e spalancate anche i tetti dei capannoni. Non bastano gli sconti o le offerte 3×2. Non bastano le lusinghe. Serve un clima diverso, per costruire il quale servono soldi alla sanità, all’istruzione, ai servizi. L’Italia del non-PIL non può essere ributtata in un angolo come se niente fosse accaduto e tutto fosse rimasto come prima. Sapevatelo.

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