Fonte: Corriere della sera
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di Lucrezia Reichlin – 24 agosto 2014
Anche quest’anno i governatori delle principali banche centrali si sono riuniti tra le montagne del Wyoming, a Jackson Hole. Il simposio è un’occasione di comunicazione degli orientamenti di politica monetaria, ma anche di analisi su un tema che – ogni anno diverso – viene individuato come prioritario per la guida delle scelte di politica monetaria del momento. Quest’anno il tema è il mercato del lavoro.
La governatrice della Federal Reserve Janet Yellen e il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi si trovano ad affrontare una situazione molto diversa. Gli Stati Uniti danno ormai da tempo segnali di ripresa dell’economia mentre la zona euro è di nuovo in rallentamento e non si può dire sia mai uscita dalla recessione del 2011, la sua seconda in sei anni. Per Yellen il problema è quando cominciare ad aumentare i tassi e a ritirare quindi lo stimolo a una economia che è chiaramente ripartita. Per Draghi il tema è come farla ripartire considerando che i tassi di interesse determinati a Francoforte sono già vicini allo zero.
Pur nella differenza delle questioni da affrontare, i discorsi dei due banchieri centrali hanno caratteristiche comuni. Ambedue non si limitano ad analizzare la congiuntura, ma parlano di problemi strutturali del mercato del lavoro. Ambedue offrono alcune novità nell’analisi e suggeriscono un’implicita consapevolezza che la politica monetaria non possa più basarsi su regole semplici come nel passato.
La novità del messaggio di Draghi sta nell’ammissione, per la prima volta esplicita, della divergenza tra la congiuntura statunitense e quella della zona euro: ammissione che lo porta a dichiarare come, per far partire l’economia dell’euro, lo stimolo monetario non sia sufficiente e sia necessario un coordinamento tra i Paesi per rendere meno restrittive le politiche di bilancio nell’insieme dell’Unione.
C’è dunque una nuova consapevolezza che la politica monetaria da sola non possa funzionare se quella di bilancio «gioca contro». Dopo il fallimento di Lehman Brothers, mentre gli Stati Uniti mettevano in moto una massiccia azione di stimolo, i Paesi dell’euro – anche quelli poco indebitati – rispondevano in modo limitato. Nel 2009 il rapporto tra deficit pubblico e Prodotto interno lordo degli Stati Uniti raggiungeva il 12%, quello della zona euro nel suo complesso oscillava intorno al 6%, uno dei più bassi tra le grandi economie del mondo. Oggi – con un sistema finanziario non ancora stabilizzato e con condizioni di finanziamento a imprese e famiglie che, nei Paesi della periferia, rimangono molto restrittive – c’è ancora più bisogno di sostenere la domanda, con manovre di bilancio espansive. Da qui la necessità di un coordinamento tra Paesi che garantisca lo stimolo adeguato all’Unione nel suo insieme, la cosiddetta «overall fiscal stance», come Draghi la ha definita nel suo discorso.
In tempi eccezionali, l’efficacia della politica monetaria dipende anche da quello che si fa sul fronte del bilancio. Il principio dell’indipendenza della Banca centrale, del «muro cinese» tra la leva monetaria e quella fiscale, è cosa che funziona in tempi tranquilli, non in una crisi così prolungata come quella che stiamo vivendo. Le ragioni che portano i Paesi di un’unione monetaria a maggiore prudenza nelle politiche di bilancio devono essere valutate tenendo in considerazione il rischio che questa prudenza comporta in una crisi eccezionale. Mai come in questa crisi si è capito quanto le diverse funzioni di politica economica siano legate. Il fatto che Draghi lo dica in modo così esplicito è una novità che fa presagire, almeno speriamo, un progresso nell’evoluzione del governo della moneta unica.
Veniamo a Yellen. La sua analisi del mercato del lavoro rivela una nuova consapevolezza, già emersa dalle minute del Federal Open Market Committee: che i dati sulla disoccupazione non sono sufficienti a capire che cosa sia veramente cambiato nel mercato del lavoro. Altri dati mostrano come – anche se la disoccupazione è in declino – ci sia un aumento della sotto-occupazione, cioè del numero di coloro che lavorano poco perché non trovano un impiego a tempo pieno, e una diminuzione del tasso di partecipazione, cioè un aumento di coloro che il lavoro non lo cercano neanche più. La Yellen spiega la complessità della lettura dei dati del mercato del lavoro e l’importanza di distinguere tra cambiamenti strutturali, su cui la politica monetaria può far poco, e congiunturali, che rivelano lo stato del ciclo economico. Una regola semplice che leghi tassi d’interesse, inflazione e disoccupazione non esiste.
La parte di analisi del mercato del lavoro nel discorso di Draghi invita anch’essa a distinguere tra elemento congiunturale e strutturale. La disoccupazione europea, dice il presidente Bce, non è dovuta solo all’insufficienza della domanda: in parte, ha radici in cambiamenti strutturali. Come di consueto, Draghi invoca l’importanza delle riforme del mercato del lavoro e pone l’enfasi nella differenza tra un mercato virtuoso, a bassa disoccupazione, come quello tedesco, e uno vizioso e rigido. Che genera alta disoccupazione. Qui la Bce, ma anche le altre istituzioni europee dovrebbero fare un passo ulteriore nell’analisi. I cambiamenti del mercato del lavoro, soprattutto nell’ultimo decennio, hanno generato nuova precarietà e una fragilità, che – come insegna Yellen – è difficile capire da una lettura dei soli dati della disoccupazione o del numero di occupati. Questa fragilità tocca non solo la periferia europea ma anche la Germania e gli altri Paesi dell’Europa forte.
http://www.corriere.it 24/8/2014
1 commento
Questo articolo descrive la situazione che passo dopo passo si é venuta a creare in Europa. Purtroppo anche se ci fosse una ripresa economica che oggi appare improbabile, la disoccupazione strutturale rovinerebbe la vita di milioni di cittadini europei. Viviamo prigionieri di un cerchio vizioso di regole stabilite dai Poteri che ha l’unico risultato di peggiorare la qualitá della vita della maggior parte della popolazione mondiale. Anche gran parte della sinistra europea non mette in discussione fondamenta dell’economia insensate. Al contrario se si iniziasse a percorrere la strada della piena occupazione, dell’utilizzo della tecnologia per liberare l’Uomo dalla schiavitù del lavoro precario, della disoccupazione, da stress che non tutti riescono a reggere (le patologie nervose crescono a vista d’occhio), si vivrebbe un poco meglio e si innescherebbe un circolo virtuoso che ridarebbe speranza alle persone in carne ed ossa. Perché questo non é possibile? Stiamo rapidamente tornando a un nuovo medio Evo con i poteri finanziari al posto dei feudatari. Solo che l’uomo che viveva in quei tempi precedenti la Rivoluzione francese era molto piú sereno, faceva il lavoro dei padri e credeva nella vita dell’al di lá ovvero aveva una speranza.