Fonte: facebook
di Maria Pia De Noia – 23 agosto 2014
Oggi dopo pranzo, mia madre e zi’ Annina si sono messe a raccontare di quando andavano alle elementari. Della scuola bella al centro di Palombaio, con due entrate (una ‘nanzz e l’altra dalla vann d’ ret), i bagni e il custode. Ma un giorno la scuola bella collassò all’improvviso, i bambini dentro miracolosamente riuscirono a scappare. Nessuno sa perché crollò, forse nessuno si pose il problema che allora i cazzi cui pensare erano assai. All’epoca poi non c’era Report. Non c’era bulimia mediatica. Soprattutto non c’era manco la TV. Sicuramente ci sarà stato un motivo alla base del crollo ma a casa Vacca non si è mai saputo. Da allora Palombaio non ha più avuto una scuola così “bedd”. Dopo il crollo, i bambini dovettero andare in una scuola di fortuna che non aveva né il custode né i bagni. Per questo la maestra di zi’ Annina, ogni tantoo, chiedeva a nonna Rosa di poter “fare il gabinetto” nella stalla di nonno Michele. Non è che i miei nonni avessero il bagno di servizio per gli ospiti: la toilette era la stalla. Qualche volta, essendo di fuori, la maestra si fermava pure a pranzo da nonna Rosa e nonno Michele che avevano solo 8 figli, ‘na vocc dicchiù da sfamà aveva fa tutt. Durante la guerra invece i bambini non andavano proprio a scuola (né a quella bella né a quella brutta) perché gli edifici erano occupati dai tedeschi. Che ogni tanto a mia madre o allo zio Minguccio regalavano un pezzo di pane bianco o del cioccolato grosso perché loro due – biondi con gli occhi celesti – sembravano proprio due bambini tedeschi. Mia madre (nata una settimana prima che scoppiasse la guerra) iniziò le elementari nel ’46, quando la guerra era finita: nella sua classe c’erano pure i bambini più grandi, come Annin d’ Zaza, che durante la guerra non avevano potuto studiare per colpa dei tedeschi. Filomena era particolarmente sveglia a scuola, mentre zi’ Annina era un po’ lenta coi numeri perché lei i primi due anni aveva avuto don Enrico che non è che non era tant brav come maestro. E menava pure con la bacchetta. Ma allora era normale. Per fortuna poi zi’ Annin ebbe la maestra Maselli che le insegnò per bene le tabelline ma la sera a casa sua, quando mia zia andava a farle compagnia, portandole uno scaldino di carboni da parte di nonna Rosa. Mia madre e zi’ Annin si sono messe a ricordare tutti questi fatti – che oggi sarebbero vissuti come tragedie indicibili e indimenticabili – con calma serafica. Tagliuzzando Filomena la scorza di melone, facendo le piegoline alla tovaglia e raccogliendo le briciole zi’ Annina. Ma entrambe pacciodde e piane, come se stessero parlando della gita a San Michele o della prima comunione e non del crollo di una scuola, della vita sospesa dalla guerra, dell’invasione dei tedeschi e del cesso in una stalla. Roba che oggi i vari talk andrebbero avanti per mesate a dramma, con tanto di psicologi in studio e medici vari ad analizzare i traumi degli infanti. Zi’ Annina e Filomena invece ne parlano tagliuzzando il melone, raccogliendo le briciole. Grattandosi ogni tanto la testa. Come a dire: “Ma che ne potete sapere voi oggi di quali sono i veri cazzi della vita”.