Due parole su Piero Ciampi…

per Davide Morelli
Autore originale del testo: Davide morelli

Nasce a Livorno il 28 Settembre del 1934. Suo padre è un piccolo commerciante di pelle. Il primo strumento che impara a suonare è il contrabbasso. Interrompe gli studi di ingegneria, dopo aver dato la metà degli esami, per darsi totalmente alla musica. Fa il militare a Pesaro, dove ha modo di conoscere Gianfranco Reverberi. Successivamente si reca a Parigi senza una lira, con la sola chitarra ed il biglietto di sola andata. Lì incontra Celine. Quando ritorna in Italia trova subito una casa discografica. Ma il successo non arriva e non arriverà mai. Le sue canzoni sono pervase da amarezza, nostalgia, disillusione, contrarietà e senso di solitudine. Sono uniche nel panorama dell’epoca. Oltre a questo sempre nelle sue canzoni mette in luce la conflittualità del rapporto uomo-donna. Lo fa magistralmente con “Te lo faccio vedere io chi sono”. Senz’ombra di dubbio è troppo per i gusti del periodo: la maggioranza vuole canzonette strappalacrime amore e cuore. Proprio lui che non è per niente sentimentale riuscirà in “Va” a descrivere in modo eccezionale il miracolo dell’innamoramento con questi versi folgoranti: “Io tra miliardi di sguardi/che si inseguono in terra/ho scelto proprio il tuo/ed ora tra miliardi di vite/ mi divido con te”.
A più di venti anni dalla sua morte (il 19 Gennaio 1980) però Piero Ciampi viene ricordato come un poeta prestato alla canzone. Personalmente lo ritengo uno dei più grandi cantautori italiani assieme a De Andrè, Gaber, Guccini, Vecchioni, De Gregori, Fossati. D’altronde molti oggi considerano poeti quei grandi cantautori, che hanno nei loro testi spunti felici. Così è ad esempio in America per i songwriter Bob Dylan, Leonard Cohen, Lou Reed. Così è in Francia per gli chansonnier Brassens, Brel, Leo Ferrè. Ad essere più precisi però i grandi cantautori sono poetici, ma raramente sono dei veri poeti. Basta leggere i loro testi senza l’accompagnamento della musica per accorgersene. Non c’è musicalità nei loro versi. Quando sono provvisti di rime sono rime scontate. Il linguaggio non è mai preciso come quello dei veri poeti, perché deve essere comune per arrivare a più persone possibili e vendere quindi più dischi. Le descrizioni dei paesaggi nelle canzoni sono banali, superficiali, appena accennate. Nei poeti veri c’è ricerca di “corrispondenze”, nei cantautori no. Inoltre i poeti veri trattano tutte le tematiche, anche quelle esistenziali. I grandi cantautori trattano questioni sentimentali e fanno anche denunce sociali, ma non trattano mai le tematiche esistenziali. Tutti tranne qualche rara eccezione: tranne Piero Ciampi ad esempio.
Va però detto che anticamente la musica accompagnava sempre la poesia. E questo dovrebbero ricordarselo alcuni che snobbano ad esempio i cantautori. Nella poesia greca ad esempio le odi erano accompagnate dalla musica. Sempre nell’antica Grecia il ditirambo, poesia che invocava Dioniso, era intonato da un coro ed accompagnato da un flauto. Nel medioevo il madrigale veniva anche cantato. Ritornando a Piero Ciampi nelle sue canzoni troviamo delle geniali descrizioni del suo malessere esistenziale. Nella canzone “L’ultima volta che la vidi” scrive “io non posso più andare/ tra i sorrisi della gente/né chiedere alle cose un posto in mezzo a loro”. In “La polvere si alza” scrive “col viso tra le mani/come una volta/sono solo con la pioggia/che bagna le mie lacrime./La polvere si alza, /nasconde queste pietre/ e copre la mia voce/che non ha più parole”. In “Lungo treno del sud” invece “Lungo treno del sud/ che a mezzogiorno/ passi accanto al mio campo/ distruggendo un silenzio”. In “Il Natale è il 24” scrive “Ho una folle tentazione/ di fermarmi a una stazione,/ senza amici e senza amore.” Spesso nei versi delle sue canzoni troviamo immagini, che raffigurano la sua condizione di estraneità. Come a dire che la realtà gli dà sempre scacco matto, ma lui se ne accorge subito, appena iniziata la partita. Ma Ciampi è anche un osservatore acuto della realtà sociale ed economica dell’Italia del tempo. In “Andare, camminare, lavorare” scrive “la Penisola in automobile, tutti in automobile al matrmonio, alè, la Penisola al volante, questa bella Penisola è diventata un volante”. Piero Ciampi ha una fisionomia particolare. E’ alto e magro, ha il volto scavato ed è sempre spettinato. Ha la voce roca ed inconfondibile, che ti giunge diretta come un pugno in faccia e ti dice cose, che avevi lì sotto il naso e di cui non ti eri minimamente accorto. E’ uno scomodo il nostro cantautore: dice sempre quello che pensa e fa sempre quello che dice. E’ amico degli scaricatori di porto come degli intellettuali(ricordiamo ad esempio Alfonso Gatto, Alberto Bevilacqua, Carmelo Bene). In una delle sue canzoni più celebri, ovvero “Ha tutte le carte in regola” scrive “Vive male la sua vita/ ma lo fa con grande amore”. Questi due versi riassumono efficacemente l’esistenza di Ciampi: un’esistenza travagliata e votata all’autodistruzione. Le due cose che non lo abbandoneranno mai nel corso della sua vita sono la chitarra e la bottiglia di vino. Perderà alcuni amici nel mondo della canzone, perché non è avvezzo ad accettare alcun tipo di compromesso, a fare canzonette commerciali. L’antipatia sarà reciproca, perché quel mondo poi ricambierà l’alterigia di Piero Ciampi con l’ostracismo artistico, che lui in parte si era cercato, osteggiando il successo e la fama nazionale in ogni modo.
Anche le donne lo abbandoneranno. La prima è la madre, che fugge quando lui è in tenera età. Poi le sue compagne: Moira (straniera, che gli darà un figlio) e Gabriella. Sempre a proposito della sua voglia di annientarsi in una delle sue prose scriverà “non c’è uomo al mondo che conosca il nichilismo e l’anarchia come me” ed a riguardo della consapevolezza dei rischi della sua condizione scrive “Esistono varie possibilità di salvarsi, per uno come me. L’ultima è lo scrivere”. Eppure tra gli eccessi dell’alcol ed i suoi vagabondaggi senza meta riesce sempre a tenere la penna in mano e a scrivere canzoni e poesie.
Le sue poesie sono brevi, concise, taglienti. Probabilmente le scrive in stato alterato di coscienza, quando è totalmente ubriaco. Sono appena qualcosa di più di un’annotazione. Altro particolare è che sono piene di varianti. Le spezzetta e le rimonta continuamente, cercando sempre un assetto definitivo, che raramente trova. Nelle sue 235 poesie troviamo felici intuizioni, piccole illuminazioni sull’assurdità della vita. Nella raccolta “Canzoni e poesie” questi versi esprimono un grande paradosso dell’esistenza: “Quanta gente/d’intorno/che non ci ama./Gianni/quanta gente/che ci ama/e non può raggiungerci”. Nella raccolta “Ho solo la faccia di un uomo” Ciampi dà una definizione suggestiva dell’essere poeta: “Il poeta/è/un’elegantissima/anima/che va a cena/ sulle stelle”. Sempre nella stessa raccolta sono presenti questi versi, che esprimono la compostezza e la dignità del suo dolore: “Questi miliardi di finestre/con le luci accese/sono miliardi di visi/nascosti da un muro./Non potremmo permetterci/di piangere/perchè/non siamo soli”.

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