Al voto al voto, riaprite riaprite, la gente la gente. Tutta qui la destra.
Giorgia Meloni quasi la immagino mentre dice che ‘l’umore del Paese sta cambiando”. Immagino il volto teso e la protervia politica. Perché, qual era l’umore del Paese prima, Giorgia? Si saltava e si ballava davanti alle bare? Mentre oggi si è tristi? Oggi si è indignati? Oppure Giorgia vuol dire che la ‘gente’ si è stancata di stare a casa, mentre il contagio è ancora così diffuso nel Paese? E se anche fosse, che cosa dovremmo dedurne? Che questo governo se ne deve andare e si deve votare a maggio, come lei sosteneva quando già il virus montava, la gente moriva e la stessa Meloni si infervorava davanti ai sondaggi? Ricordatelo bene, perché la memoria è sacra: mentre Salvini diceva ‘aprite, aprite’, lei faceva il coro con ‘votiamo, votiamo’. Oggi, invece, è pronta a saltare sul carro dell’angoscia e del dolore delle persone pur di raspare qua e là qualche voto. La gente, come la chiama lei, è più responsabile dei suoi presunti rappresentanti politici. oggi più che mai. Lo ripeto ancora: meno male che c’è questo governo e meno male che c’è questo popolo. Quel mojito di troppo, l’agosto scorso, è stato provvidenziale. Ogni tanto ci vuole.
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Non è tempo per loro. La crisi è una soglia da varcare.
È fenomenale come fino a ieri esistesse solo la decisione, solo il Capo, solo Palazzo Chigi, sono i faccioni, solo le dirette fb, solo l’uomo solo, solo la crescita, solo i numeretti, e il Parlamento fosse una specie di vuoto a perdere, anzi una scatoletta di tonno da aprire, mentre oggi si invochi non solo il Parlamento, ma addirittura la collegialità, il dibattito pubblico, si auspichi la voce dei ‘piccoli’ partiti, sino a ieri vere e proprie petecchie, ci si appelli allo spazio della ‘mediazione’ dopo averlo arrogantemente stracciato e si metta sotto accusa la comunicazione, segnatamente quella del governo, dopo averne abusato al punto da non conoscere altro. Alla faccia della Meloni, che almeno resta fascista e del suo medesimo avviso: pugno di ferro e non se ne parli più.
Non è la politica a essere in crisi. È la destra a doversi dimettere, sono certi giovanotti ambiziosi a dover tornare nei ranghi, sono certi personaggi a doversi ridimensionare. Finché si è trattato di prendere a calci i neri, tirando fuori dal cuore del Paese il peggio del peggio, sono stati davvero a loro agio. Finché si è trattato di cavalcare l’onda sulla spuma della comunicazione mediale, ne hanno davvero goduto. Finché si è trattato di fare i sovranisti e alzare cortine in un mondo occidentale la cui unica presunta insidia erano i barconi, anche i più squallidi hanno avuto il loro momento di gloria. Ma oggi che la realtà ha dato le carte, e la minaccia e il rischio sono veri e riguardano l’umanità nel suo complesso, è tempo che la sinistra e gli uomini di buona volontà indichino una prospettiva oltre l’emergenza e ricostruiscano una trama politica e sociale, come già stanno facendo. Gli ultimi trent’anni vanno ribaltati. La crisi è una soglia da varcare. Coraggio.