Trump. Il populismo in versione internazionale

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti

Del populismo si discute quale variabile politica ‘interna’. Poco, invece, negli effetti che provoca in termini internazionali. Eppure la vicenda Trump e l’uccisione di Soleimani dovrebbero far riflettere anche in questo senso. Se possiamo definire il populismo come l’esito estremo della disintermediazione, come pesante schiacciamento delle istituzioni rappresentative, ecco che, anche in campo globale, le sue modalità si propongono similmente. Ossia, con una tendenziale riduzione e un drammatico appiattimento della mediazione, del dialogo, del confronto anche aspro tra nazioni e aree regionali, a vantaggio di un’azione ‘immediata’, di tipo bellico, e di un intervento senza rete, spettacolare, una specie di sparigliamento che talvolta è solo un bluff giocato sulla pelle altrui. Tale è stato l’attentato a Soleimani: un colpo di testa del Presidente USA fuori di ogni mediazione possibile e di ogni politica del dialogo e del confronto. Un colpo di testa utile a fini interni, certo, ma che fa danni a livello globale, perché lacera il tessuto delicato dei rapporti internazionali in un’area già disgraziata di suo. Il riarmo è il primo sintomo degli atti di guerra, l’annuncio iraniano della ripresa della corsa al nucleare una conseguenza inevitabile.

Anche qui, sul fronte internazionale, lo schema populista agisce come una sorta di corto circuito: perfora la trama delicata dei rapporti tra gli Stati e gli organismi internazionali, e turba i sistema di relazione, così come in ambito interno smantella rappresentanza e spacca orizzontalmente i livelli politico-sociali. Trump, in fondo, non fa che replicare un disegno interno, dove la percentuale di rischio è altissima e dove il risultato si suppone possa venire dalla lacerazione, non dalla paziente tessitura. Si gioca con il mondo a colpi di bombe e di tweet come se non esistesse alcuna possibilità effettiva di relazione, e tutto si riducesse a ‘mosse’ concepite nella loro singolarità e nella loro sequenza. Non è questione di personalizzazione, non è questione soltanto di leadership che perdono il controllo e si mangiano la politica. Il punto è più tragico. C’è un intero settore della politica che ritiene ciarpame il lavoro di rappresentanza istituzionale sul piano interno e quello di dialogo politico e di confronto diplomatico sul piano internazionale. È come togliere la rete, anzi lacerarla, mentre il trapezista volteggia. Eppure quella rete è la sola garanzia che non esplodano bombe alla cieca e non si concretizzi uno scenario nucleare proprio lddove la guerra, da decenni, falcidia la popolazione più indifesa.

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