Ricordo di Norberto Bobbio

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gian Franco Ferraris

Ho ritrovato il testo che avevo scritto in ricordo di Norberto Bobbio qualche giorno dopo la sua morte il 9 gennaio 2004 – Gian Franco Ferraris

 Bobbio rivaltese

Rivalta Bormida. Così, nella giornata a lui dedicata sabato 14 febbraio 2004, il sindaco di Rivalta Gian Franco Ferraris ha ricordato Norberto Bobbio “rivaltese”.

“Quando nel 1995 il Comune di Rivalta gli ha proposto la cittadinanza onoraria, Norberto Bobbio ha accettato allegramente: “di fatto sono sempre stato cittadino di Rivalta”.
È stata la prima volta che l’ho incontrato. Bobbio, oltre ad essere un grande intellettuale, era un uomo semplice con cui si stava bene in compagnia. In quell’occasione ha ricordato di essere stato a Rivalta, in forma pubblica, nel 1992 per il millenario. Allora era sindaco Gianni Briata.
Ricordo il suo intervento in cui raccontava la sua infanzia e ricordava con ironia i rapporti della sua famiglia di notabili con gli esponenti del regime fascista.
Nel luglio del 1995 Bobbio si fermò a Rivalta per qualche giorno e dimostrò di avere un forte attaccamento al paese, ricordava dettagli di famiglie rivaltesi che nel corso del tempo erano scomparse o cambiate, e di tutte le persone che ha incontrato in quei giorni ha ricostruito la storia familiare.
Ricordo il mio imbarazzo alle sue domande sulle lapidi alla memoria di Giuseppe Baretti, di Vittorio Viotti e i particolari che lui ricordava sulla targa a Garibaldi, targhe di cui vagamente conoscevo l’esistenza e tantomeno le scritte. Bobbio mi parlò del circolo Garibaldi, nato nei primi del Novecento, circolo democratico, radicale e anticlericale, chiuso al tempo del fascismo e di come durante il ventennio fu distrutta una targa a Felice Cavallotti. Mille volte mi sono domandato cosa ci trovava di così importante nelle scritte delle lapidi alla memoria tanto da trascrivere il testo di quella dedicata a Baretti nel 1935 nel libro “De senectute”.


Bobbio ha ricordato così i momenti della sua infanzia: “A Rivalta giocavo con i bambini del paese che non sapevano parlare italiano, andavano scalzi, erano vestiti con una camiciola e con calzoncini tenuti su con lo spago. Non ho mai sentito alcuna differenza tra noi, i signori, e loro, i contadini, tra cui c’era una grande mortalità infantile.
Ho imparato che gli uomini sono eguali. Sono più eguali che diversi”.
Il valore dell’uguaglianza è stato ricorrente nella sua vita, la ragione dell’essere a sinistra. Lo ha ripetuto varie volte nei suoi scritti e in “Destra e sinistra” dice: “… disuguaglianze particolarmente visibili e, a poco a poco trasformandosi la coscienza morale, sempre più consapevolmente vissute, da chi, come me era nato ed era stato educato in una famiglia borghese, dove le differenze di classe erano ancora molto marcate. Queste differenze erano particolarmente evidenti durante le lunghe vacanze in campagna dove noi venuti dalla città giocavamo coi figli dei contadini. Tra noi, a dire il vero, affettivamente c’era un perfetto affiatamento, e le differenze di classe erano assolutamente irrilevanti, ma non poteva sfuggirci il contrasto tra le nostre case e le loro, i nostri cibi e i loro, i nostri vestiti e i loro (d’estate andavano scalzi). Ogni anno, tornando in vacanza, apprendevamo che uno dei nostri compagni di giochi era morto durante l’inverno di tubercolosi. Non ricordo, invece, una sola morte per malattia tra i miei compagni di scuola di città”.
Rivalta rappresentava per lui il paese della nostalgia, delle proprie radici, della semplicità della gente comune e ancora il desiderio del passato, dell’infanzia perduta, del primo amore: “È bene mantenere le proprie radici. Guai agli sradicati. Le radici si hanno solo nel paese d’origine, nella terra, non nel cemento delle città”.
Questa immagine è particolarmente attuale oggi che, nella vita pubblica e privata, si tende a dimenticare o a rinnegare il proprio passato.
Non si può non ricordare il giorno dell’allegria, quando all’inaugurazione della mostra di Piero Biorci Agosto 1996, scomparso da poco. Antonio Bottero, di famiglia comunista, anche lui morto in questi anni, è venuto in Comune e ci ha detto che conservava a casa lo stendardo e lo statuto del circolo Garibaldi che gli era stato affidato ai tempi del fascismo, temendone la distruzione.
Bobbio era allegro e felice di questo ritrovamento, e dimostrò di essere più “cittadino” rivaltese di noi, essendo l’unico che conosceva in profondità il circolo Garibaldi.
Quando con Biorci andammo a Torino ci accolse la persona semplice e curiosa dei piccoli fatti della quotidianità di Rivalta. La mamma di Biorci era stata domestica in casa Bobbio e Piero raccontava di come la mamma si ricordasse di Antonicelli, Pavese, Mila. A quel punto Bobbio gli chiese: “Si ricorda anche di Leone Ginzburg?”, e allo smarrimento di Piero Biorci insistette: “Ginzburg era l’amico che frequentavo di più” e diventò triste, Ginzburg fu stroncato in carcere dalle percosse dei nazisti nel 1944 ed era l’amico che aveva sofferto la prigionia ed ora rischiava di essere dimenticato.
Bobbio è stato anche lontano dalla vanità umana, lontano dal prototipo dell’italiano, e disse: “Non mi sono mai considerato un uomo importante. Ho sempre guardato in alto e non in basso. Mi considero soprattutto un uomo fortunato. Fortunato per la famiglia in cui sono nato… fortunato perché ho trascorso indenne il corso della terribile storia del XX secolo, indenne quando molti amici hanno sofferto prigionia e tortura, l’occupazione tedesca e la guerra civile. Dimentichiamo, ma non confondiamo, chi è stato dalla parte giusta e chi da quella ingiusta, anche se chi è stato dalla parte giusta ha commesso ingiustizie”.
Bobbio era curioso delle cose di Rivalta, dopo l’incontro del 1996 mi scrisse questa lettera “Torino 17 settembre 1996, caro Sindaco, ancora grazie dell’invito e della cerimonia, che mi ha fatto trovare per Garibaldi, i sei paesaggi rivaltesi di Pietro Biorci, e il ritratto di me stesso. Ho letto attentamente lo “Statuto fondamentale” del Circolo Democratico Garibaldi. Documento prezioso, espressione di grande civiltà di un piccolo mondo di contadini, di cui gli analfabeti erano la maggioranza. Analfabeta era il nostro contadino, Giacomo Biorci, – Jacu de la Dunzela, la cui moglie Gustina era la materassaia del paese – sempre con il cappello in testa davanti ai funerali, e mai entrato in chiesa in tutto il tempo che fu con noi. Preziosa testimonianza, anche per me il libro sul movimento di liberazione nell’acquese. Nel ricordo del parroco è documentato il tragico episodio del 2 dicembre 1944. Nella rappresaglia, i repubblichini andarono anche in casa nostra, dove era sfollata mia madre in compagnia della fedelissima Maria Pietrasanta, sorella di Miclein, che teneva il caffè, dove ora c’è l’aula del Comune, sposata Battista Biorci, il “trifulau del pais”. Portarono via la mia “topolino”, di cui non ho mai avuto notizia, e con disperazione di mia madre tutta la sua provvista dei salami che aveva fatto per l’inverno. Essendo due vecchie sole non ebbero alcun maltrattamento, ma sì molto spavento. Cordiali saluti. Norberto Bobbio”.


Sul Circolo Garibaldi in questo giorno Valter Ottria ha trovato una lettera di mio nonno Anastasio di inizio secolo (abitava a Milano) a un falegname di Rivalta “Caro amico mi credo che secondo le nostre intese del birò e dei due tavolini che li avrai finiti… Intanto quando mi scrivi farai sapere quanto che vi è le votazioni comunali che avrei tanto piacere di venire in quei giorni. Ti domando in favore se potessi farmelo ne avrei molto piacere, ecco il mio favore che ti domando, se potessi farmi la domanda nel Circolo Giuseppe Garibaldi che avrei tanto piacere di essere socio. Tu farai la domanda, se la passano mi scriverai l’importo che vi è da pagare e ti manderò la somma per pagare… Non restando che a salutarti te e tua moglie e tutti i compagni…” Era socialista e nel dopoguerra esponente del Partito d’azione come Bobbio, anche se scriveva con stile meno elegante.
Bobbio amava Rivalta e mi disse che valeva la pena di scriverne la storia, storia che stanno scrivendo Prosperi e Bovio Rapetti della Torre e che, dopo molti anni di lavoro, sta per uscire. Mi suggerì anche di promuovere una ricerca sull’emigrazione, che nella prima metà del Novecento molti rivaltesi dovettero affrontare verso l’America latina e in Argentina in particolare.
In questi anni, come presidente dell’Associazione dei piccoli comuni dell’acquese per il servizio socio-assistenziale, molte volte ho pensato a lui e a una sua frase: “Ho già avuto mille occasioni di ripetere che oggi il compito principale di un’azione politica che voglia essere qualcosa di più e di meglio che un impadronirsi del potere per soddisfare interessi personali o di gruppo, di “lobbies” come si dice, più o meno lecite, è quello di interpretare i nuovi bisogni e i nuovi diritti, specie di coloro che le nostre società in rapida espansione tendono a trascurare. Non esistono, purtroppo, le lobbies dei vecchi non autosufficienti, né in genere di tutti coloro che la società affluente tende a mettere ai margini…”.
Questa sensibilità sulle condizioni degli anziani e il modo di intendere l’azione politica fanno riflettere sulla sua capacità di esaminare la durezza della realtà e di vedere con lucidità i limiti dell’azione politica e l’inefficienza dello stato in Italia, ma nonostante questo Bobbio è sempre stato animato da rigore morale e passione civile e ha sempre creduto nei valori della democrazia e del riformismo.
L’ho visto per l’ultima volta in occasione dei funerali della moglie, nel 2001, un giorno di desolazione, solo con i figli depose le ceneri al cimitero di Rivalta, traspariva un dolore profondo, ma al contempo, una grande dignità, un dolore affrontato con coerenza intima e consapevolezza.


Al cimitero si fermò davanti alla lapide di un suo avo, la lapide recava una scritta: “Generale Antonio Caviglia accanto al fratello riposa circonfuso della gloria onde di eroi d’Italia rifulgeranno in eterno. Spirito forte come di cavaliere antico senza macchie e senza paura” e della frase “cavaliere senza macchie e senza paura” e disse “col tempo questa espressione fa sorridere.
Non dimenticherò mai le sue ultime volontà, di un uomo semplice di grande rigore intellettuale. Volontà che hanno riservato a Rivalta un ruolo importante, il paese dell’infanzia e della formazione che ha contribuito alla costruzione di un pensiero di una vita intimamente coerente. Rivalta ha ricambiato con funerali semplici, come desiderava: “Funerali semplici, privati, non pubblici. Alla morte si addice il raccoglimento, la commozione intima di coloro che sono più vicini, il silenzio… nessun discorso. Non c’è nulla di più retorico e fastidioso che i discorsi funebri… Sulla lapide soltanto nome e cognome, data di nascita e di morte, seguiti da questa unica dicitura “figlio di Luigi e di Rosa Caviglia”. Mi piace pensare che sulla mia lapide il mio nome compaia insieme a quello dei miei genitori. Mio padre, alessandrino, è stato il capostipite dei Bobbio di Torino, la tomba è stata fatta costruire da lui nel paese, che ha molto amato, di sua moglie. Il mio nome, unito a quello dei miei genitori, oltretutto, dà il senso della continuità delle generazioni”.
Una lapide al contempo essenziale e sentimentale, un richiamo alle proprie radici familiari per un uomo semplice, autentico, un italiano vero.

Gian Franco Ferraris

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