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da www.ilcampodelleidee.it di Roberto Seghetti 12 agosto 2014
In Europa bisogna costruire tutti insieme un’accresciuta sovranità, ma bisogna cambiare anche la strategia di politica economica. In Italia, non bisogna fare una manovra correttiva dei conti pubblici, che non sopporteremmo, ma dare il via libera a diversi interventi per rilanciare la crescita e rafforzare un apparto industriale ormai indebolito. Di fronte all’accavallarsi dei dati sulla crisi economica, la deflazione, il rallentamento del Pil, Pier Luigi Bersani avanza le prime riflessioni e le prime proposte, per cominciare ad abbozzare un progetto complessivo che possa rimettere l’Italia sul cammino dello sviluppo: da un pacchetto di misure, da tenere fuori dal patto di stabilità, per incentivare gli investimenti privati in ricerca, riqualificazione ambientale e altre iniziative del genere, all’individuazione di indirizzi di politica industriale per far avanzare tecnologicamente il Paese e rafforzare il made in Italiy (“Diciamo chiaro e tondo che chi rifiuta il termine “politica industriale” è un disfattista pronto a consegnare l’Italia”). Dall’abolizione di molte autorizzazioni inutili oggi chieste alle imprese e all’adozione dell’autocertificazione al varo di una politica fiscale come quella proposta dal Nens, con una forte riduzione della pressione delle imposte man mano che aumenta la fedeltà fiscale. Fino alle riforme economiche da varare quanto prima: il contratto di lavoro a tutela crescente, la riforma della giustizia civile, la ripresa delle liberalizzazioni e delle iniziative per agevolare i consumatori. Quanto alle riforme istituzionali, ora il problema, sostiene Bersani, sarà il punto di equilibrio da trovare nel sistema democratico. E sull’elezione diretta “Cosa fatta capo ha. Adesso – conclude Bersani con una battuta – resta da decidere se per i consiglieri regionali che siederanno a Palazzo Madama sarà ancora obbligatorio indossare la cravatta.”.
Cominciamo dall’Europa. Siamo nel semestre a guida italiana. Come possiamo mettere a frutto questa occasione, che è anche una responsabilità?
Per quel poco che resta del semestre a guida italiana, un semestre di inizio legislatura, non bisogna lanciare messaggi o focalizzarsi su elementi marginali, ma andare al cuore del problema.
Cioè?
Intanto dobbiamo dire che siamo pronti a costruire un’accresciuta sovranità europea, a cominciare dall’Eurozona.
Quello che ha suggerito Mario Draghi. Ma deciso tutti insieme. E per la politica economica?
La politica economica europea, così com’è, non va: ci ha dato deflazione, disoccupazione e più debito pubblico. Bisogna adottare una strategia diversa.
Parliamo di fatti concreti. Che cosa si dovrebbe fare in Europa?
Per esempio, si potrebbe adottare una iniziativa di riduzione del debito pubblico, come propongono da anni diversi economisti, per la quale ciascuno Stato paga la sua parte, ma nell’ambito di un progetto comune. Così, mettendo tutto insieme e stando tutti insieme, saremo più forti, più credibili e pagheremo tutti di meno.
Anche se l’Europa si incamminasse su un sentiero diverso, questo non cambierebbe la necessità per l’Italia di darsi una mossa: cresciamo da anni meno degli altri. E abbiamo perso posizioni, reddito, forza industriale. Che cosa dobbiamo fare?
Prima di tutto dobbiamo chiarire un punto di fondo. La dico così: ma noi dobbiamo fare una gara da centometristi, oppure la partenza veloce di una gara di mezzo fondo? Ancora non si capisce. Per quanto mi riguarda, Io dico una lunga gara che merita una partenza veloce. Se guardo alla lunga decadenza che sta vivendo il nostro Paese, il restringimento che abbiamo registrato in questi anni della base produttiva, diciamo pure il restringimento del capitalismo italiano, dico partiamo subito, veloci, ma dobbiamo essere sicuri sui sentieri da battere e consapevoli che li dovremo seguire a lungo. Non arriveremo alla meta in un attimo.
Ma intanto, da settembre, riparte la discussione su bilancio e conti pubblici…
La finanza pubblica merita di essere curata, con grande attenzione, ma dobbiamo assolutamente dire no a una eventuale, ulteriore manovra correttiva, perché nelle condizioni attuali non la sopporteremmo.
Non basterà non fare una manovra di aggiustamento. La realtà ci dice che senza una spinta aggiuntiva la crescita ha il freno a mano tirato, con conseguenze pesanti per l’occupazione, già provata da oltre sei anni di crisi. Con quali iniziative potremmo riprendere il cammino?
L’Italia deve mettere in campo un pacchetto di misure, chiedendo che siano fuori dal patto di stabilità; misure di sollecitazione e di pianificazione di investimenti privati. Il modello potrebbe essere quello delle ristrutturazioni edilizie o della legge Sabatini, che potrebbero essere estese agli investimenti in ricerca e sviluppo, alla riqualificazione ambientale, alle bonifiche, e ad altri interventi di questo tipo. Attenzione: non investimenti fatti direttamente dal pubblico, perché fino ad oggi non si è stati nei fatti capaci di farli funzionare, ma investimenti fatti dai privati con meccanismi di incentivazione pubblici. Tutto questo in un contesto di interventi capaci anche di dare un impulso all’uso dei fondi comunitari.
Molti imprenditori lamentano l’eccesso di regole e di burocrazia, non bisogna intervenire anche su questo problema per rilanciare l’economia?
Si, ma smettiamola di parlare di semplificazioni. Anzi, cancelliamo il concetto di semplificazione, perché fino ad oggi gli interventi per semplificare alla fine hanno complicato le cose. Facciamo un’altra cosa: abroghiamo direttamente le autorizzazioni più banali e inutili e lasciamo che sia in autocertificazione rafforzata una parte rilevante delle autorizzazioni che oggi la Pubblica amministrazione verifica a posteriori.
Autocertificazione rafforzata, spieghiamo di che cosa si tratta.
Autocertificazione, ma con il bollino di professionisti assicurati e che abbiano la capacità e la responsabilità di farlo. La pubblica amministrazione farà poi controlli ex post. Ma non basta tutto questo. Sono necessarie anche altre iniziative.
Quali?
Dobbiamo attrezzare direttrici e nuovi strumenti di politica industriale, a cominciare dalle politiche delle imprese a partecipazione pubblica, per sostenere i nostri comparti industriali di vocazione di fronte alle sfide tecnologiche e organizzative. Diciamo chiaro e tondo che chi rifiuta il termine “politica industriale” è un disfattista pronto a consegnare l’Italia.
Il riferimento è alle numerose imprese passate ormai in mani straniere?
Dico che non possiamo più nascondere dietro ai sempre benvenuti investimenti stranieri l’arretramento e la rarefazione del nostro comparto produttivo, delle nostre industrie, dei nostri servizi.
E la riduzione della pressione fiscale? Sono numerosi gli economisti che quasi ogni giorno invocano una riduzione delle imposte, indispensabili per ridare slancio alle imprese e ai consumi, proponendo di finanziarla magari con un taglio draconiano della spesa pubblica.
Gli sprechi vanno individuati e combattuti. Su questo non vi sono dubbi. Però ricordo che vi sono proposte che consentirebbero di ridurre la pressione fiscale in modo molto consistente con il recupero dell’evasione fiscale. Mi riferisco agli studi e alle proposte formulati dal Nens, cioè meccanismi automatici che consentono di ridurre la pressione delle imposte su coloro che danno lavoro man mano che aumenta la fedeltà fiscale. Credo che questa sia la strada giusta.
Parliamo di riforme. Si è appena conclusa la prima lettura della riforma del Senato….
Intanto, per rilanciare l’economia è bene che si faccia anche un pacchetto di riforme economiche: il contratto di lavoro a tutele crescenti, la riforma della giustizia civile e riprendere il cammino delle liberalizzazioni e degli interventi per i consumatori. Segnalo che i consumi obbligatori si sono mangiati un bel pezzo degli 80 euro. Pensiamo dunque anche a queste cose.
Sì, ma sono in ballo nei prossimi mesi anche le riforme istituzionali. Il cammino è appena cominciato. Come giudicare il risultato fin qui. E cosa fare in futuro?
Nei prossimi mesi i problemi prioritari riguarderanno l’economia. In ogni caso, dopo l’autoriforma del Senato, ora dal punto di vista istituzionale la questione principale riguarda i punti di equilibrio del sistema democratico, a cominciare dai meccanismi di nomina delle alte cariche per finire con la legge elettorale.
E per l’elezione diretta dei senatori, su cui c’è stata tanta battaglia?
Cosa fatta capo ha. Adesso resta da decidere se per i consiglieri regionali che siederanno a Palazzo Madama sarà ancora obbligatorio indossare la cravatta.