Una persona troppo nervosa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Mariano Fasciolo

Una persona troppo nervosa

di Mariano Fasciolo

I

Si accorse di non sopportare gli altri già all’età di diciassette anni,quando venne urtato inavvertitamente in un bar da un uomo di mezza età, mentre un juke-box panciuto spandeva come miele le note immortali di “My way”.

Ma come! Quel verme aveva osato interferire tra lui e il grande Frank, il suo mito? Gli ruppe quattro costole con un pugno e poteva finire assai peggio se non fossero intervenuti gli altri avventori.

Quell’impresa fece guadagnare a Ruben l’ammissione al carcere minorile di uno sperduto paese del sud-America per un intero anno,periodo in cui affinò l’arte di odiare chiunque lo meritasse,senza per questo palesarla.

Giunse a vent’anni senza infamia e senza lode,come si dice, l’episodio del bar gli aveva insegnato la virtù principe della discrezione”Se provi una particolare avversione per qualcuno,attendi l’occasione giusta e poi colpisci”.Questa era la sua massima preferita e la metteva puntualmente in pratica,anche se,per la verità era stanco degli agguati notturni alle puttane e ai travestiti,categorie privilegiate dal suo disprezzo perché creavano disordine e lui era per l’ordine e la pulizia.

C’era soddisfazione,certamente,nell’attendere al varco una prostituta,meglio se di colore,quindi portarla in un posto isolato e,prima che iniziasse lei a darsi da fare,prenderla per il collo e stringere fino a quando non si sentiva la cartilagine cedere sotto la pressione,gli occhi allargarsi oltre le orbite,la lingua viola spuntare in mezzo ai denti bianchissimi in una beffa grottesca.

Ma non creda,chi legge,che sia un semplice piacere sadico,quello di Ruben, al contrario egli svolgeva a suo parere senza compiacimento un lavoro veloce,pulito e soprattutto utile.

Inoltre aveva un problema,soffriva d’insonnia,o meglio non è che non riuscisse a dormire,solo che due o tre ore di riposo ogni notte gli erano più che sufficienti,tanto non sognava mai.Se lo ricordano bene i compagni d’Istituto il baccano che faceva quando loro dormivano,d’altronde non c’era mai stato un genitore che gli rimboccasse le coperte.

C’è da stupirsi,quindi,per la vita che conduceva e per il fatto che la sua canzone preferita fosse”Stranger in the night”?

In passato,comunque,aveva avuto due fidanzate,la prima resistette tre settimane:fuggì quando il nostro eroe,tentando di investire un cieco con l’auto(non li sopportava i ciechi,erano dei parassiti),prese in pieno il cane-guida.La vista di quel povero animale al chiaro di luna,col corpo lacerato,fu per lei un vero trauma. Troppo sensibile!

L’altra,Letiçia,stava con Ruben,incredibile a dirsi,da almeno sei mesi:era stata colpita dai suoi modi spicci,lei,impiegata in un’agenzia di pompe funebri e sempre a contatto con persone falsamente addolorate,in realtà più preoccupate dei lasciti del caro estinto;ora poteva occuparsi di qualcuno che veramente soffriva per le ingiustizie del mondo.

Solo che,col tempo e l’abitudine,egli aveva perso ai suoi occhi quel fascino di uomo duro,ma capace di dolcezza. Non capiva perché si ostinasse a farle ascoltare canzoni di Sinatra,che detestava,mentre si scioglieva alle prime note della “Resurrezione” di Mahler (anche per deformazione professionale), per spaziare fino al rock and roll’s del giovane Elvis,ovvero Pelvis il magnetico.

Probabilmente Letiçia non si era accorta,o magari se ne era accorta benissimo,che Ruben era innamorato come uno studente liceale:lo lasciò senza una parola,per andarsene con un commerciante di armi che operava in Estremo Oriente.

Quella profonda delusione lasciò il segno nell’animo di Ruben,l’unica consolazione rimasta era il suo lavoro:era riuscito ad impiegarsi ai caselli autostradali chiedendo il turno più faticoso,quello notturno,e considerava quell’occupazione ripetitiva e noiosa come la sua ancora di salvezza.

Gli piaceva stare chiuso nella guardiola a distribuire i tagliandi alle automobili,era il suo mondo e nessuno osava intromettersi;incassava il denaro,lo metteva nel cassetto e restituiva la ricevuta ad ogni automobilista che usciva.Tutto quanto con metodo e ordine,senza mai uno sbaglio,unica concessione un mangiadischi di plastica gialla che gli gracchiava alle orecchie le canzoni di “The Voice”,facendo da controcanto agli stridii di grilli e cicale nelle notti estive.

Si mise con tale lena e passione nel lavoro che in poco tempo dimenticò, oltre a Letiçia,anche la sua segreta vocazione.

Certo continuava a detestare gran parte delle persone che incontrava,spesso, al posto del biglietto,avrebbe volentieri consumato un intero caricatore dentro le vetture condotte da persone di colore,nere o gialle che fossero, oppure grasse e sudate,tutti individui ai margini di una società che doveva trovare un’armonia con se stessa.

I colleghi avevano imparato in fretta a lasciarlo in pace,specie dopo che aveva spezzato un dito a uno di loro,colpevole a suo dire di avergli preso il portafoglio.In realtà il malcapitato lo aveva sì preso il portafoglio,ma perché Ruben lo aveva smarrito e voleva restituirglielo.

Non pensate,però,che Ruben fosse un uomo che incutesse timore per il suo aspetto,anzi,egli era di statura al di sotto della media,affatto robusto,ma con una carica nervosa superiore ad una mangusta.La conoscete quella razza di topolino che riesce a battere i serpenti in velocità e quindi li sopprime?

Ecco,era uguale. Soprattutto nell’aspetto,col mento sfuggente e il naso piccolo all’insù,sembrava proprio un topo.

Inoltre gli occhi grigi ed obliqui roteavano in continuazione, come di un animale che si sente braccato.

Il suo destino ebbe un mutamento profondo una piovosa sera d’inverno, mentre girovagava affrancato dal lavoro tra le vie,lavate da violenti scrosci d’acqua,della stessa città sudamericana che un giorno l’aveva imprigionato.

Essere ora al sicuro all’interno della vettura,cullato dalla sua musica preferita, gli dava un senso di onnipotenza:bastava che portasse il volume del mangiadischi al minimo e tutta la rabbia del cielo entrava prepotente nelle sue orecchie,ma se girava la manopola al massimo gli sembrava di comandare,tacitandoli,gli imprevedibili capricci della natura.

In quel momento i fari della sua auto illuminarono la sagoma di un uomo che,avvolto completamente in un impermeabile grigio e sgualcito,chiedeva un passaggio.

L’istinto gli fece dirigere il volante su quella figura di straccione,ma qualcosa nel suo sguardo mutò quell’intenzione.

Frenò di colpo ed aprì la portiera,l’individuo salì,scrollando il Borsalino fradicio di pioggia,che poi calcò con vigore fin dietro le orecchie.

Grazie,è stato molto gentile a darmi un passaggio!-urlò lo sconosciuto e,siccome l’altro non rispondeva,proseguì-E’di gran conforto una canzone,in una nottata simile!- E intanto ammiccava in direzione di quell’oggetto così     rumoroso. Un gesto rapido e fu silenzio.

Ruben guidava lentamente,senza distogliere lo sguardo dalla strada;però aveva notato che l’uomo era molto elegante,sotto l’impermeabile s’intravvedeva un gessato blu scuro di ottima fattura,sartoria italiana di sicuro,e i suoi modi fini e affettati lo sconcertavano.

-Signor Ruben,noi sappiamo tutto di lei. E’davvero una persona straordi- naria!-affermò improvvisamente.-Posso chiamarla Ruben,vero?-ripetè.

Egli bloccò il veicolo,ma prima che potesse accennare una reazione,si trovò il mirino di una pistola che gli solleticava la radice del naso.

-Si calmi,non ho brutte intenzioni.Però so quanto può essere pericoloso,per cui si rilassi e ascolti ciò che ho da dirle.-

Ruben stette immobile,con gli occhi grigi fissi verso l’uomo:alla prima sua disattenzione si sarebbe accorto di quant’era calmo!

-Noi abbiamo bisogno di lei,del suo talento. Pensiamo che sia sprecato nel lavoro che fa ed anche nell’attività durante il tempo libero,poco consona al livello delle sue capacità. Certo è lodevole e meritorio il suo impegno nell’eliminazione di negri, prostitute ed altri rifiuti dell’umanità,ma è venuto il momento che faccia un salto di qualità,non crede?-affermò lo strano individuo.

Per la prima volta nella sua vita Ruben si trovava a suo agio,la solita

tensione che lo animava l’abbandonò quasi del tutto,finalmente aveva trovato qualcuno che confermasse le sue paure e le sue speranze in un mondo più pulito.

-Come fate a sapere tutte queste cose di me?-chiese,ancora sospettoso.- La nostra organizzazione è molto potente ed anche se lei è sempre attento abbiamo i mezzi per seguire ogni suo movimento. Ma non si preoccupi,non  la denunceremo;anzi, la aiuteremo ad affinare il suo talento.-

-E cosa dovrei fare,allora?-

-Semplicemente seguire i consigli che le darò.Si fidi di me,vedrà che rimarrà soddisfatto.A proposito…Io sono il signor D.e da oggi lei sarà il signor R.-disse l’uomo,riponendo con cautela l’arma nella tasca della giacca,mentre l’altra mano si alzava a stringere la mano incerta di Ruben.

I due rimasero a parlare fitto per diversi minuti,poi il signor D.scese dall’automobile,si avviò sotto la pioggia verso il limitare della carreggiata e scomparve.

L’indomani Ruben chiese ed ottenne senza problemi una aspettativa dal lavoro,quindi si recò all’indirizzo avuto dal misterioso individuo:era un centro di estetica che,in realtà,nascondeva una palestra attrezzatissima,un ambulatorio medico ed anche un poligono insonorizzato.

Si allenò con scrupolo per diversi mesi,anche se,poco alla volta,aveva dovuto cambiare le sue abitudini.

Innanzitutto si era stabilito lì,al centro,per meglio seguire il corso e quindi aveva anche una stanza per dormire. E dormiva veramente,sognando tutta la notte. Sarà stato a causa delle pillole che quotidianamente doveva prendere e che,gli era stato detto,servivano a migliorare i riflessi;ma nel suo caso non ve ne era alcun bisogno.

E i sogni. Sogni ripetitivi in cui il viso di Letiçia gli sorrideva complice, mentre danzava felice al ritmo scatenato del rock and roll’s insieme ad Elvis,ovvero Pelvis il magnetico.

Poi,d’improvviso altri visi si sovrapponevano al suo,persone abbiette la sovrastavano,la violentavano e lui guardava compiaciuto e impotente…

Al risveglio Ruben era calmo fisicamente,ma furioso.

 La sua natura avrebbe voluto ribellarsi,però un ferreo senso della disciplina lo tratteneva. Ed infine,un anno dopo l’incontro con l’uomo dall’impermeabile grigio,si era trasformato in una perfetta macchina per uccidere.

Il suo prossimo bersaglio sarebbe stato un personaggio molto potente che, a detta dell’organizzazione,avrebbe condotto la società intera allo sfacelo e all’anarchia. Inoltre era molto ben pagato per questo importante compito, il che non guastava,anzi era il giusto riconoscimento alle sue doti.

II

Si coricò sull’erba rasata del giardino pubblico,dietro ad un cespuglio:il sole picchiava forte sul suo capo,protetto da un berretto da baseball;da lì a poco sarebbe transitata l’auto con a bordo la sua vittima.

Il sudore scendeva copioso dalla fronte,ma non per l’emozione:era autunno inoltrato a Dallas,Texas,eppure faceva caldo quel novembre del ’63.

Il corteo presidenziale svoltò in una grande piazza,accanto ai giardini,tra pochi istanti il signor R. avrebbe avuto nel mirino il viso sorridente di John F. Kennedy, Presidente degli Stati Uniti d’America.

Appena la decappottabile svoltò nel viale che delimitava i giardini,egli inquadrò prima i capelli castani mossi dal vento,quindi la fronte alta e lucida,lo sguardo sereno e rilassato,infine premette il grilletto.

Esattamente dieci giorni dopo trovarono il corpo di un uomo,perito in un insolito incidente stradale(contro un palo in pieno rettilineo),lungo la Caretera Nacional,in mezzo alla foresta amazzonica.

Poco distante,gettato in un fosso,un mangiadischi giallo tutto ammaccato spandeva come miele verso l’infinito le stesse,malinconiche note-My way…my way…my way…-Sotto il viso di topo della fotografia,il documento recitava:Ignaçio Ruben Da Silva,anni 21,professione casellante,origini sconosciute.

III

-Dottore!Dottore,si svegli!Herr doctor Mengele!-intima l’infermiera.

-Cretina!Quante volte devo dirle che io sono il signor M.? Il dottor Mengele

non esiste,non è mai esistito!Che sciocca,insulsa donnetta…-sibila con disprezzo

il vecchio,in un moto di insospettabile energia,sollevandosi di malavoglia dal

letto.

-Ma oggi è una giornata speciale!Ha una visita,non è contento?-

Così dicendo, si avvia alla porta per fare entrare un individuo con un

logoro impermeabile grigio al braccio ed un Borsalino in mano che aveva conosciuto tempi migliori.

-E’ sempre peggio,signore.-gli mormora all’orecchio la donna-Tutte le mattine si sveglia così,con quel sogno ossessivo che lo perseguita da quarant’anni.-

-Quarantaquattro,per l’esattezza.-la corregge l’uomo-Ma non si preoccupi, fraulein,stamattina reciterò io la parte.-

-Signor M.- esordisce,chiudendosi la porta alle spalle-mi scusi l’intromissione, ma era tale l’entusiasmo che volevo essere io il primo a darle la notizia!-

-Quel sogno…sempre quel sogno…e poi c’era un topo che azzannava un’aquila magnifica,mentre tanti individui con la faccia di topo che mi sparavano…

E’sicuramente quella vipera,è una spia,chissà cosa mi mette nella cena!- parlava tra sé,il dottore,ignorando l’altro.

-Guardi che l’Operazione” Aquila Caduta ”è terminata e il signor R. è stato congedato!-incalza il signor D.,lasciando cadere l’impermeabile sul letto, insieme al cappello.

E intanto si chiede cosa lo spinga a fare un viaggio così lungo, ogni anno il 22 novembre, a rinnovare un patetico incontro tra due vecchi,se non il desiderio di ricordare e, forse,di espiare.

 -Aquila Caduta…ah,bene,bene…vuoi vedere che ha ragione quell’ebreo di Freud a proposito dei sogni?Ma lei chi è?-si scuote il vecchio,guardando per la prima volta negli occhi il suo interlocutore.

-Io sono il signor D.,non ricorda?-

-Oh,caro amico!S’è fatto tutto bianco…e gli altri?-

-Tutti scomparsi.-

-E il signor R.,quel bravo ragazzo?-

-Congedato.-ripete paziente l’altro.

-Peccato. Il nostro elemento migliore,non come Oswald,quel dilettante. Ruben sì che era un vero soldato.-

-Un po’nervoso,se mi permette.-

-Già,forse ho esagerato con la coca,vero,Don Vito?-rammenta,in un barlume di lucidità,il dottor Mengele,mentre appoggia la testa sul Borsalino e i piedi a sgualcire ancor più,se possibile,l’impermeabile grigio,alla ricerca testarda di un’improbabile serenità.

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