Fonte: Il Manifesto
di Marina Della Croce – 4 settembre 2018
Denuncia dell’Unhcr. Un migrante ogni 18 perde la vita nella traversata. Nel 2017 sono stati uno ogni 42
Le politiche di chiusura messe in atto dall’Unione europea insieme alla decisione di affidare alla Guardia costiera libica il compito di fermare e riportare nel Paese nordafricano i barconi carichi di migranti hanno provocato un aumento vertiginoso delle morti nel Mediterraneo centrale, che si conferma come una delle rotte più pericolose al mondo.
A puntare il dito contro Bruxelles non è una organizzazione non governativa ma l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) in un rapporto intitolato «Viaggi disperati». Un’accusa che ha provocato un botta e risposta con la Commissione Ue. «Non è la politica dell’Unione europea a causare le tragedie», ha detto una portavoce, ma «il modello di business utilizzato dai trafficanti di esseri umani. Invece di scaricare le responsabilità, dobbiamo lavorare tutti assieme per porre fine a questo».
Il rapporto dell’Unhcr non lascia però spazio a molti dubbi e sottolinea come al calo di arrivi corrisponda un aumento dei decessi soprattutto nel Mediterraneo, dove i viaggi sono diventati più pericolosi: da gennaio a luglio 2018, un migrante ogni 18 ha perso la vita o risulta disperso nel Mediterraneo centrale, nello stesso periodo del 2017 il dato era di un morto ogni 42. In totale, dall’inizio di quest’anno sono 1.095 i migranti morti mentre cercavano di arrivare in Europa, attraversando il mare.
Per l’agenzia dell’Onu le cause di questa strage vanno ricercate proprio nelle nuove misure contro l’immigrazione illegale e, in particolare, nella sostegno dato alla Libia e alla sua Guardia costiera, ma anche nelle restrizioni al lavoro delle Ong coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio e il limitato accesso ai porti italiani per le persone tratte in salvo, Tutte misure che, denuncia l’Onu, « hanno portato a meno arrivi in Italia, ma a una più alto tasso di morti».
La spiegazione, in parte, è nel fatto che la capacità di individuare e salvare i barconi in difficoltà è diminuita, rispetto al 2017, in quanto a largo delle coste libiche ormai il principale attore è la Guardia costiera libica e non più le Ong. Conseguenza di questa situazione è che i migranti viaggiano su imbarcazioni sovraffollate per periodi più lunghi e per distanze maggiori, prima di essere intercettati e che ci sono meno operatori pronti ad assisterli in acque internazionali. «Questo rapporto conferma ancora una volta che il Mediterraneo è uno dei viaggi più mortali», ha detto il direttore dell’ufficio europeo di Unhcr, Pascale Moreau. «Con il numero di persone che arrivano sulle coste europee in calo – ha aggiunto Moreau – non si tratta più di un test sul fatto che l’Europa riesca o meno a gestire il numero di migranti, ma sul fatto che l’Europa possa chiamare all’appello l’umanità per salvare vite».
Intanto le politiche messe in atto in Italia negli ultimi tre mesi dal governo giallo verde, e in particolare dal ministro degli Interni Matteo Salvini, hanno avuto come unico effetto quello di aumentare il numero di migranti irregolari. La denuncia questa volta è dell’Ispi, l’Istituto di politica internazionale, che parla di «micidiale boomerang» per l’esecutivo. In uno studio l’Istituto ha elaborato i dati del Viminale mettendo in luce come la linea dura sulle richieste asilo abbia prodotto 12.450 nuovi irregolari nei tre mesi di attività del governo. A fronte di questo aumento – e nonostante i continui proclami del titolare del Viminale, ci sono stati solo 1350 rimpatri, in diminuzione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.