Muoiono schiavi come bestie. E tu la chiami modernità

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 8 agosto 2018

Al sedicesimo morto in strada, e chissà quanti altri nei campi con la schiena spezzata, i ministri hanno rilasciato delle dichiarazioni. Forse per contrastare il flusso informativo, e per dare segnali o semplicemente ‘esserci’ nel marasma di post, tweet, agenzie, tv. Hanno esternato contro il caporalato, contro lo sfruttamento. Hanno promesso leggi più dure e repressione per chi contravviene. Tipico della destra e di chi vorrebbe cavarsela con la recrudescenza legislativa e il pugno di ferro. Uno che di destra non è, ha spiegato invece che non basta una buona legge se non è messa in condizione di funzionare. Parlo di Don Luigi Ciotti, presidente di ‘Libera’, che ha illustrato poi come stanno le cose, al di là delle chiacchiere, della propaganda e di certi virtuosismi intellettuali a destra come a sinistra: “C’è a monte una questione più generale – ha detto – che riguarda il lavoro. Questo sistema sembra aver dimenticato che il lavoro è la base della dignità della persona, e che questa dignità si garantisce coi diritti, con la sicurezza, con la giusta retribuzione. Altrimenti abbiamo lo sfruttamento, se non la schiavitù”.

Per chi non avesse capito di chi stiamo parlando, ve lo spiego meglio. I lavoratori neri stipendiati 23 euro per dieci ore, che si pagano pure il trasporto dalle baraccopoli al campo di lavoro (5 euro) e che sono morti come bestie stipate in un furgone, sono quelli giunti in Italia facendo la “pacchia” dopo una bella “crociera”, e che adesso formano rutilanti eserciti di riserva e “rubano” il lavoro agli autoctoni, quel lavoro che un italiano non farebbe nemmeno se pagato 10 euro l’ora. Don Ciotti, invece, è quel radical chic, quell’esponente della sinistra trullallero e/o pariolina, quel tipo gne gne che ha invitato a indossare le magliette rosse contro le morti in mare dei migranti e per ricordare i bambini e i grandi affogati in viaggi della speranza che erano invece viaggi della disperazione. Nella politica dei vincenti, dei maschi alfa, dei leader – nella politica senza sentimenti e senza cuore, tutto annega nel cinismo, nel disincanto e in un malinteso realismo, anche se si auspica una rinnovata connessione sentimentale. Con chi, poi? Con un ‘popolo’ che ha perso o è stato spogliato dei sentimenti della fratellanza e della comunione, come scrive Claudio Bazzocchi? E che è stato anche incitato a farlo, con applauso finale. E che, per questo, ogni giorno è spinto a rigettare a mare i poveri dei poveri. Come cose, arnesi, oggetti qualsiasi – come gli stessi rifiuti della nostra società dei consumi.

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