Fonte: Termolionline
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da termolionline.it, 31 luglio 2018
Pochi giorni fa è stata presentata la Relazione della DIA per il secondo semestre del 2017. Il rapporto affronta anche le modalità di contrasto dei fenomeni criminali associativi presenti in regione. Abbiamo intervistato Vincenzo Musacchio, giurista, già docente universitario di diritto penale e attualmente presidente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Molise, per saperne di più.
Professore, perché la Regione, nonostante i suoi continui solleciti, non ritiene necessario costituire al suo interno una Commissione che possa contrastare corruzione e sulle infiltrazioni mafiose in Molise?
Credo la domanda andrebbe posta a chi di dovere. Di certo posso dire che con il consigliere Filomena Calenda nei prossimi giorni presenteremo un progetto di legge in materia poiché siamo profondamente convinti che non esistano territori totalmente immuni da mafie e corruzione, nemmeno il Molise, che pure si può considerare un territorio che ancora ha speranze di lottare efficacemente le infiltrazioni mafiose. Con questo progetto di legge ci siamo prefissi l’obiettivo di dare a tutti i livelli istituzionali della Regione gli strumenti per riconoscere i segnali della presenza di fenomeni mafiosi e per valutare efficacemente le situazioni di vulnerabilità economica, sociale e istituzionale che rendono alcuni territori della nostra regione potenzialmente permeabili alle organizzazioni criminali. E’ un progetto serio che, se non stravolto ma approvato sic et simpliciter, sarà uno strumento di lotta molto efficace. Sono convinto che chi governi una Regione non può sempre agire in emergenza, ma deve riconoscere immediatamente le dinamiche che portano alla diffusione di mafie e delle pratiche corruttive, che non sono il prodotto di una minaccia “esterna”, ma agiscono dalle vulnerabilità già esistenti. Faccio un esempio: un territorio dove c’è stata ed è in corso la ricostruzione post terremoto – come dimostrano le varie relazioni della Direzione Nazionale Antimafia – è un territorio che ha una “naturale” permeabilità di mafia, non solo perché richiede capitali illeciti da immettere nel sistema, ma perché ha magari bisogno di “professionalità” criminali nel ritorno crediti. Ecco, le istituzioni regionali dovrebbero essere capaci di riconoscere queste criticità, prima che da semplici criticità si trasformino in crimine.
Le cronache ci restituiscono un’immagine del Molise diversa da altre Regioni: le mafie ci sono, ma non sono radicate come, ad esempio, in Sicilia, Campania, Puglia, Calabria. È uno scenario che emerge anche dalla Relazione della DIA?
Paragonare il Molise alle suddette regioni sarebbe paradossale e da incompetenti in materia. A onore di verità va detto che pur non essendo emerse evidenze giudiziarie d’insediamenti organizzativi stabili, ma solo procedimenti contro singoli individui per i quali è stato ipotizzato, e in alcuni casi anche riconosciuto in sede di giudizio, l’utilizzo del metodo mafioso e il favoreggiamento, il Molise non è per nulla immune dalle infiltrazioni mafiose. Questo però lo affermo sapendo che sto parlando di fenomeni associativi illegali, e dunque di per sé spesso invisibili. A ciò voglio aggiungere che la nostra regione, come altri territori del Centro Italia, paga un ritardo non scusabile nel riconoscere le nuove forme di mafia, che sono camaleontiche, duttili, “silenti”, e oltrepassano le caratteristiche peculiari delle mafie cd. classiche. In Molise il fenomeno mafioso ha radici lontane nel tempo, almeno fin dagli anni ottanta, quando in Molise arrivò un certo Vito Ciancimino.
Perché questa presenza, lunga trent’anni, è passata spesso inosservata?
Semplice. Perché non era riconoscibile, oltre a sporadici casi di collusione e d’infiltrazione nel sistema degli appalti e dei sub appalti. In pochi sanno che la ditta Costanzo di Palermo negli anni ottanta e novanta ha operato anche in Molise. Secondo il giornalista e scrittore Pippo Fava, Costanzo era uno dei cavalieri dell’apocalisse mafiosa. In un articolo del gennaio 1983 sulla rivista “I Siciliani” lo descrive come un uomo prepotente, massiccio e sprezzante, l’unico catanese che abbia osato pretendere e ottenere un gigantesco appalto a Palermo. Nella ricostruzione di Fava, i quattro cavalieri avevano pattuito con i vertici di Cosa Nostra una sorta di pace interessata: i cantieri edili proseguivano la loro attività senza timore di ritorsioni (dietro pagamento di pizzo), mentre la mafia si concentrava sul traffico di droga. Dello stesso avviso era anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale, in merito al nuovo policentrismo mafioso rispetto al vecchio stile dei tempi di Liggio, affermò – in un’intervista (l’ultima della sua vita) – che rilasciò a Giorgio Bocca: “Con il consenso della mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo”.
Che tipo di metodologia occorre utilizzare in Molise?
Credo occorra adottare una strategia mista (prevenzione e contrasto): consultare le statistiche sulla delittuosità, le statistiche giudiziarie, i dati sui contratti pubblici in Molise (per evidenziare anomalie nel mercato degli appalti), e fonti giudiziarie e giornalistiche, utile sarà anche monitorare gli eventi di corruzione. Con i finanziamenti europei a progetto si potrebbe creare un archivio digitale, capace di mettere in rete tutte le informazioni raccolte e metterle poi a disposizione delle istituzioni, nonché di tutti cittadini anche per un controllo dal basso. Un ruolo importantissimo dovrà essere svolto anche dalla scuola e dalla formazione. Le idee ci sono ora occorre vedere se vi sia la volontà politica di trasformarle in fatti concreti.
Qual è il grado di vulnerabilità della Regione in tema di penetrabilità mafiosa? Vi sono territori maggiormente a rischio?
La mia opinione è che le vulnerabilità sono di natura diversa, come diverso è il loro impatto nelle varie zone della Regione (Isernia-Venafro, Campobasso, Basso Molise). Di certo ciò che le accomuna tutte è il legame tra infiltrazione mafiosa e tessuto produttivo. Fattori che favoriscono il fenomeno sono: il perdurare degli effetti della crisi, le difficoltà di accesso al credito, e infine quelle istituzionali e amministrative, che hanno a che fare con le difficoltà del sistema di certificazione antimafia e del ciclo dei contratti pubblici. Sarebbe auspicabile sviluppare un indicatore del rischio di penetrazione criminale in tutti i Comuni del Molise, che tenga in considerazione le diverse criticità presenti. Il nostro progetto è ambizioso, ma, di fatto, sopperirebbe all’impossibilità per gli enti locali di valutare in maniera oggettiva i rischi che corrono i propri territori rispetto a queste minacce d’infiltrazione.
Con riferimento alle infiltrazioni economiche, di che settori parliamo?
In Molise c’è un aumento della domanda di beni e servizi illeciti: stupefacenti, prostituzione, intermediazione e sfruttamento illegale del lavoro, cioè caporalato – soprattutto per alcune attività produttive a elevata stagionalità e intensità di lavoro, agricoltura e turismo – e smaltimento illegale di rifiuti speciali. Non mancano, di conseguenza, opportunità economiche per le mafie, che naturalmente le sfruttano ben volentieri. A questo si aggiunge il Molise è una regione “anonima”, quindi gli investimenti, anche illeciti, soprattutto in alcuni settori, sono di per sé molto profittevoli e lontani da occhi indiscreti.
Perché le mafie dovrebbero quindi “ripulire” i loro capitali illeciti investendo nella nostra Regione?
Le inverto la domanda: perché no? Del resto io credo lo abbiano sempre fatto, perché hanno due vantaggi innegabili: occultare più facilmente le proprie transazioni economiche, e avere rendimenti soddisfacenti. Si tratta di una dinamica preoccupante, che inquina profondamente l’economia locale. Non lo dico solo io ma recentemente lo ha affermato anche il Procuratore Nazionale Antimafia.
Qual è il grado di evoluzione dell’imprenditoria mafiosa e criminale in Molise?
In Molise al momento non osserviamo un modus operandi preoccupante: imprenditori locali che usano il metodo mafioso per acquisire il controllo di settori economici non sono stati rilevati. Unica eccezione in fase d’indagine è “Molise Trasporti” coinvolta nell’eolico selvaggio con le associazioni criminali calabresi. Non dobbiamo dimenticarci però che sono emerse anche evidenze sempre maggiori di un’imprenditorialità mafiosa attiva sul mercato, con caratteristiche, sporadicamente, anche d’impresa-mafiosa, soprattutto nel settore dei rifiuti tossici e nel mercato degli appalti pubblici.
Cosa emerge in tema di beni confiscati alle mafie? Crede che la riforma del Codice Antimafia potrà aiutare gli Enti locali sul tema?
Il numero di beni confiscati in Molise è esiguo e nettamente inferiore rispetto alle altre regioni a non tradizionale presenza mafiosa. Le difficoltà nella gestione, però, sono le medesime. In merito al codice antimafia, credo che dia solo in parte alle istituzioni locali gli strumenti per operare in maniera più efficace: fa in modo che i procedimenti di sequestro e confisca dei beni avvengano con maggiore tempestività, ma, di fatto, non mette in atto una riforma dell’Agenzia per i beni sequestrati aumentando la trasparenza dei processi e impegnando lo Stato a controllare le aziende a rischio infiltrazione sostenendo, al tempo, quelle sequestrate.
Le mafie ormai sono strettamente legate alla corruzione. Quali sono le linee di tendenza in Molise?
Per il monitoraggio dei reati contro la pubblica amministrazione in Molise, come per tutte le regioni italiane ci si deve affidare a due fonti principali: le statistiche ISTAT, le relazioni della Corte d’Appello di Campobasso. I dati ISTAT indicano un aumento dei procedimenti per corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) e una graduale riduzione dei procedimenti per concussione (art. 317 c.p.) durante il quinquennio 2010-2015. Stando ai dati presentati dalla Corte d’Appello di Campobasso nell’ultimo decennio, notiamo un aumento dei processi sopravvenuti per reati contro la pubblica amministrazione nei tribunali di Larino e di Campobasso. Questi dati fungono senz’altro da campanelli d’allarme, anche per un contesto tradizionalmente virtuoso come quello molisano.
Vi sono settori della Pubblica Amministrazione che sono maggiormente vulnerabili?
Tra i soggetti pubblici coinvolti in reati contro la pubblica amministrazione, vi sono certamente persone che rivestono ruoli politici e funzionari, dipendenti o dirigenti pubblici. I settori maggiormente affetti da condotte corruttive sono quelli che hanno a che fare con appalti per servizi e opere pubbliche, sanità e controlli per fondi e sovvenzioni nazionali ed europei. Alcune criticità sono emerse riguardo alle attività di controllo – fiscale, ambientale, stradale – che sembrano presentare favorevoli opportunità di corruzione.
Anche in Molise le organizzazioni criminali si affidano maggiormente all’arma della corruzione – al posto dell’intimidazione – per non destare allarme sociale?
Certamente si! Anche se per correttezza devo dire che non vi sono dati oggettivi per fare valutazioni di questo tipo. Le vittime di danneggiamenti da incendio, per esempio, non denunciano e quindi è difficile comprendere se effettivamente il metodo mafioso, inteso come intimidazione, sia davvero così “sottodimensionato” anche in Molise. Che ci sia nei nostri territori anche un effetto di sostituzione con altri metodi, come quello corruttivo, è senza dubbio plausibile. Ormai è assodato che le mafie penetrino nell’economia senza utilizzare la violenza ma servendosi della corruzione, e addirittura in alcuni casi usando semplicemente gli “strumenti” leciti che offre il mercato. Pensiamo alle sovvenzioni pubbliche, agli aiuti alle imprese, alle commesse pubbliche aggiudicate con gare al massimo ribasso. Tutto ciò costituisce un canale facile per l’ingresso criminale nel mercato dei contratti pubblici, senza che le imprese mafiose debbano corrompere o intimidire nessuno.
La Regione Molise ha previsto di rafforzare le proprie politiche anticorruzione e antimafia? In che modo?
Questa domanda andrebbe rivolta a chi di competenza. Come presidente dell’Osservatorio Antimafia posso dire che il nostro impegno contro mafie e la corruzione è continuo e costante. Se sarà costituita la Commissione Antimafia in regione, ci sarà, di fatto, uno strumento di supporto operativo agli enti locali, che certamente consentirà di individuare gli indicatori territoriali di rischio all’interno del ciclo degli appalti e alcuni segnali di anomalie nelle procedure di gara e di esecuzione. Il progetto di legge regionale da noi proposto prevede anche un supporto agli enti locali nella redazione dei piani anticorruzione, nonché un incentivo a stimolare processi di coordinamento tra i vari livelli dell’amministrazione pubblica nella gestione delle politiche antimafia (es. le certificazioni antimafia). Il nostro progetto prevede inoltre corsi di formazione sui cd. reati di mafia e su quelli che coinvolgono i fenomeni corruttivi. Il nostro sogno sarebbe di avere amministratori locali onesti, appassionati, con in mano strumenti, ideali e operativi, per contrastare quotidianamente il malaffare nei loro territori. Sarebbe questo il miglior investimento possibile per un futuro della nostra piccola regione libera da mafie e corruzione.
Qual è il suo giudizio in merito alla legislatura appena conclusa e quella appena iniziata in tema di leggi per prevenire e contrastare mafie e corruzione in Molise?
La legislatura che si è conclusa, a mio giudizio, si è caratterizzata per avere uno scarsissimo impianto riformista in questi tutti gli ambiti che toccano da vicino le mafie e la corruzione. Ho chiesto più volte l’istituzione di una commissione regionale antimafia e anticorruzione al Governatore uscente Frattura e a quello precedente Iorio, ma nessuno dei due mi ha mai risposto ne in pubblico tantomeno in privato. La nuova amministrazione non è ancora giudicabile ma il fatto che un consigliere regionale (Filomena Calenda) sposi il nostro progetto è sicuramente un fattore di positività. La strada ovviamente è lunga ma mi auguro fortemente che la Regione Molise questa volta faccia con serietà ed efficienza la sua parte.