Lavoro, la questione vera non è la flessibilità

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanni La Torre

di Giovanni La Torre – 22 luglio 2018

Consapevole del rischio di essere accusato di “benaltrismo”, sostengo con convinzione che il dibattito che si sta facendo sul “decreto dignità”, tra coloro che sono favorevoli per il recupero (per la verità molto parziale) di alcuni diritti dei lavoratori, diritti che si erano persi per strada negli ultimi anni, e coloro che sono contrari perché penalizzando secondo loro le imprese determinerà una riduzione degli occupati, è fuorviante e dannoso.

La questione non è “flessibilità del lavoro sì, flessibilità del lavoro no”, ma a cosa deve servire la flessibilità. Si dice spesso che è stata la flessibilità a consentire il salto di qualità alla Germania incerottata dopo l’unificazione. È vero, verissimo! Ma perché? Perché lì le imprese hanno approfittato delle modifiche al mercato del lavoro per realizzare cospicui investimenti e convertire gli apparati produttivi, in modo da metterli in linea con le esigenze della globalizzazione, e oggi la Germania è la potenza economica che conosciamo.

Da noi invece la flessibilità nel mercato del lavoro, che è stata introdotta in dosi sempre più massicce a partire dalla legge Treu (1997), poi con la legge Biagi (2003) e infine con il jobs act (2015), non ha avuto alcun effetto sulla produttività, la quale è rimasta sempre deludente, agli ultimi posti dei paesi Ocse. Anzi molti dati mostrano che l’abbia avuta in senso negativo, per la latitanza del capitale e dell’innovazione. Appare sempre più evidente che la flessibilità introdotta sia servita solo a consentire la sopravvivenza (e congrui guadagni) alle imprese meno efficienti, ma non a far fare al nostro sistema produttivo il salto di qualità necessario. Essere il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda il Pil trova in questo una delle sue motivazioni fondamentali.

Tornando alla nostra questione, si tratta di sapere dalle imprese a cosa deve servire altra flessibilità, e quindi impegnarle in termini di incremento di produttività, altrimenti servirà ancora una volta a sostenere i settori meno efficienti, e dare un ulteriore spinta al nostro declino.

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