Caro Guardiacoste ti scrivo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Domenico Gallo

di Domenico Gallo – 29 giugno 2018

Caro amico ti scrivo / Così mi distraggo un po’ /E siccome sei molto lontano / Più forte ti scriverò.
L’anno che verrà, scritta da Lucio Dalla nel 1979, ci trasmette l’emozione della speranza in un futuro migliore, coltivata da chi vive in un tempo oscuro in cui: “c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra”. Ho pensato alla canzone-epistola che Dalla aveva scritto ad un amico immaginario quando ho letto la lettera che migliaia di cittadini stanno inviando al Comando Generale delle Capitanerie di Porto ed alla loro coscienza, avente ad oggetto la richiesta di immediato ripristino delle operazioni di soccorso in mare nei riguardi delle navi ONG. Questo il testo:
“ Apprendiamo che la Guardia Costiera italiana ha, nella giornata di venerdì 22 giugno, diffuso una nota, rivolta ai comandanti delle imbarcazioni che si trovano nella zona antistante la Libia, in cui si precisa di “rivolgersi al Centro di Tripoli ed alla Guardia costiera libica per richiedere soccorso”. La Guardia Costiera italiana ha sempre svolto in questi anni importanti operazioni di soccorso in mare portando in salvo migliaia di persone, operando anche al limite delle acque libiche. Ci chiediamo perché oggi delegando alla Libia, Paese con Governo instabile, non in grado di garantire i diritti fondamentali dell’uomo e ancora priva di una Centrale operativa nazionale di coordinamento degli interventi di soccorso in mare, il vostro Corpo, pur eseguendo un comando, intenda vanificare l’importante operato fin qui svolto e contravvenire alla Convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979 ed alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982. Tutto ciò dinanzi, peraltro, ad una Guardia Costiera Libica su cui pesano pesanti accuse di “condotte violente durante le intercettazioni in mare e collusione con i trafficanti (..) Le operazioni di soccorso si devono concludere in un porto sicuro nel più breve tempo possibile, sempre in rispetto della Convenzione SAR. Ricordiamo, infine, che in base ai dati forniti dall’UNHCR sono già più di mille i migranti morti nel mediterraneo, di cui ben 220 persone tra il 19 ed il 20 giugno. Morti che continueranno purtroppo ad aumentare se la nostra Guardia Costiera porrà fine alle sue missioni (..) Facciamo appello al rispetto delle Convenzioni di diritto del mare, ma anche al profondo senso di umanità che ha sempre contraddistinto la Guardia Costiera Italiana: non si esima ora dalla salvaguardia delle persone, nel rispetto delle Convenzioni internazionali di diritto del mare e a garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo.”
E’ curioso che questa lettera si rivolga “alla coscienza” delle Capitanerie di porto, attribuendo un’anima ad un corpo militare. In realtà questo corpo l’anima l’ha sempre avuta, come l’hanno sempre avuta gli altri corpi militari impegnati sul fronte del soccorso in mare. Il tempo in cui era in auge il motto “credere, obbedire, combattere” è tramontato da un bel pezzo. Adesso gli ingranaggi del potere trovano due ostacoli fastidiosi: la Costituzione e la coscienza. Per chi ha poca memoria, vogliamo ricordare che il nuovo modello di contrasto all’immigrazione che si sta attuando in questi convulsi giorni di giugno trova un precedente nella politica dei respingimenti sperimentata nel maggio del 2009 dal ministro Maroni, che aveva dato l’ordine alle motovedette italiane di “catturare” i migranti in acque internazionali e riportarli in Libia per consegnarli alla Gestapo di Gheddafi. Queste operazioni provocavano scene strazianti, che turbavano profondamente i marinai italiani. Di questo turbamento costituisce testimonianza il racconto di un militare della Guardia di Finanza pubblicato dal quotidiano La Repubblica del 15 settembre del 2010: “Questa storia dei respingimenti è uno dei servizi più crudeli che svolgiamo. E da molti mesi si registrano casi di “ammutinamento”, nel senso che molti pattugliatori, che dovevano salpare da porti liguri o toscani per darci il cambio, non partono proprio. I nostri colleghi giustamente si rifiutano di svolgere questo servizio “infame” che non ci fa dormire la notte (..) Io sono un militare, ma soprattutto un uomo, un padre. E a costo di rischiare provvedimenti disciplinari non lo farò mai più. Un giorno o l’altro dovrò rendere conto a qualcuno ed io voglio avere la coscienza pulita.” Per quanto possa sembrare strano, oggi è ritornato d’attualità il dilemma di Antigone: obbedire all’editto di Creonte o alle leggi dell’umanità?

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