Fonte: il Fatto Quotidiano, Valori
1. BERDINI: “HO LASCIATO A CAUSA DELLO STADIO”. PECCATO NON SIA VERO
Lettera di Paolo Berdini al Fatto Quotidiano
Gentile direttore, nell’ editoriale di sabato intitolato “Tor di Balle”, vengono elencate una serie di falsità sul mio conto che devono essere prontamente rettificate. Afferma Travaglio che vado raccontando in giro “e perfino a verbale davanti ai pm, di essere stato cacciato perché contrario allo stadio”. Il direttore afferma dunque che ho addirittura mentito ai pm, assumendosi una responsabilità gravissima di cui verificheremo eventuali risvolti. Purtroppo per lui, costruisce la mia posizione attraverso una serie di falsi. Non è infatti assolutamente vero che smentii l’intervista La Stampa. Affermai al contrario immediatamente che rappresentava il mio pensiero. Non ho smentito dunque nulla e, sottolineo, non esisteva nessun video.
La chiacchierata mi è stata estorta fraudolentemente nascondendo il registratore. Altro che video. Ho chiesto scusa pubblicamente per un’unica frase offensiva verso Virginia Raggi, inessenziale però rispetto ai giudizi di opacità e incapacità che davo sui 5Stelle.
Giudizio oggi condiviso dalla città intera e tragicamente svelato dall’ inchiesta in corso.
Il motivo delle dimissioni sta soltanto nella vicenda stadio.
Il 13.2.2017 in conclusione di un mio articolo ospitato proprio dal Fatto Quotidiano (prima e seconda pagina), definivo il progetto di Parnasi e soci “la più grande speculazione immobiliare del momento in Europa” e che avevo lavorato per riportare il progetto nelle regole del piano. Se avesse letto il suo giornale, Travaglio avrebbe evitato di riportare una citazione altrui in cui ribadivo la stessa posizione, l’ unica che mi imponeva il mio ruolo di pubblico ufficiale. Travaglio omette infatti di dire che l’ area di Tor di Valle è edificabile per circa 100 metri quadrati e che un assessore deve rispettare la legge. Assicurai più volte alla Roma che ero disposto ad approvare il progetto dello stadio nel più rigoroso rispetto del piano regolatore. Senza il minimo aumento di volumetria.
VIRGINIA RAGGI E MARCO TRAVAGLIO
La risposta era sempre la stessa, e cioè che “non ci sarebbero stati gli equilibri economici”. Non sono a favore dell’ urbanistica “contrattata” che cambia i valori economici dei terreni attraverso trattative opache. È infatti in quello stagno maleodorante che si possono annidare mediatori e corruttori della pubblica moralità.
Insieme al compianto Ferdinando Imposimato avevamo insistito per la revoca dell’interesse pubblico a realizzare lo stadio a Tor di Valle e l’ avvocato Lanzalone arrivò proprio per smontare quella limpida proposta. Così, quando il sindaco Raggi mi scavalcò affidandosi a Lanzalone per cercare quell’ equilibrio economico tanto voluto da Parnasi e che io non condividevo, ho preferito lasciare la poco commendevole compagnia dei mediatori. Questa è la verità.
Affermare dunque – come fa Travaglio in conclusione – che la mia posizione è “esattamente ciò che fecero la Raggi e Lanzalone” è un falso vergognoso. Io non avrei mutato di un euro il valore dei terreni di Parnasi e soci. Raggi e Lanzalone ne hanno raddoppiato il valore, e stiamo parlando di decine e decine di milioni.
Non possiamo poi meravigliarci che una parte di quelle plusvalenze potessero servire, come si dedurrebbe dall’inchiesta in corso, per alimentare la giostra delle mazzette. La pubblica morale si difende rispettando le regole, non ingaggiando mediatori.
VIRGINIA RAGGI E MARCO TRAVAGLIO
Ps. In altri articoli il direttore Travaglio afferma – vedo che lo fa in questi giorni anche il sindaco Raggi – che non avrei preso alcun atto contrario allo stadio. Falso anche questo. Agli inizi di dicembre 2016 il mio assessorato consegnò in Conferenza dei servizi un parere urbanistico negativo. Non so come lo abbiano superato nelle successive sedute e sono anzi curioso di scoprirne i motivi.
Paolo Berdini
2. LA RISPOSTA DI MARCO TRAVAGLIO
Dal fatto Quotidiano
Purtroppo le falsità sono tutte di Berdini. Ed è un peccato, per un urbanista del suo calibro, la cui nomina nella giunta Raggi avevamo salutato con grande favore perché aveva destato grandi aspettative, poi purtroppo deluse. Da quando divenne assessore, non si è mai capito se avesse un sosia che si spacciava per lui o se a parlare fosse proprio il Berdini originale. Tipo quando criticò il no alle Olimpiadi, peraltro preannunciato da Raggi e M5S in campagna elettorale, sorprendendo chi lo credeva un ambientalista.
O quando, sullo stadio della Roma, disse un sì condizionato alla riduzione delle volumetrie, salvo poi raccontare che era sempre stato contrario tout court, pur se nel frattempo le cubature erano state dimezzate grazie anche alla mediazione Lanzalone (non certo grazie alla sua opera di assessore, di cui in Conferenza dei servizi fu rinvenuto un parere critico iniziale e poi quasi più nessuna traccia operativa). O quando lanciò l’idea di spostare l’ impianto alla Romanina o a Tor Vergata, aree molto appetite dai costruttori Scarpellini e Caltagirone.
Quanto alle sue dimissioni (perché fu Berdini a dimettersi: non una, ma due volte), lo stadio c’entra poco o nulla. Basta leggere – sono reperibili online – le cronache del febbraio 2017.
L’ 8.2 La Stampa pubblica uno “sfogo” di Berdini che attacca e offende Virginia Raggi, come sindaca e come donna, e i colleghi di giunta (“impreparata strutturalmente”, “amante” di Salvatore Romeo, circondata da “una banda”, “una corte dei miracoli” di cui non si rendeva conto di far parte anche lui).
Berdini rassegna le dimissioni, chiede scusa alla sindaca col capo cosparso di cenere e le spiega di aver detto quelle cose senza pensarle a un paio di amici al bar, ignaro che il cronista origliasse alle sue spalle. La Raggi accettò le scuse e lo perdonò, respingendo le dimissioni con riserva, visti i tanti dossier urbanistici aperti in quel momento, stadio in primis. Ma l’ indomani si scoprì che Berdini aveva raccontato altre balle: La Stampa pubblicò l’audio (non il video) della conversazione, che dimostrava come l’assessore avesse parlato non a due amici al bar, ma direttamente al cronista.
A quel punto anche l’ultimo filo di fiducia fra sindaca e assessore si spezzò. Ma Berdini tentò di metterci una pezza con un’ intervista a Repubblica , parlando di “una conversazione carpita dolosamente da uno sconosciuto che non si è nemmeno presentato come giornalista solo alla fine mi sono insospettito.
E lui ha ammesso di fare il precario a La Stampa ” e gridando al complotto mediatico contro la giunta Raggi che lui tanto apprezzava perché stava ripristinando la legalità: “Ci stanno massacrando, un vero e proprio linciaggio mediatico che si sta scatenando proprio nel momento in cui l’ amministrazione comunale prende importanti decisioni che cambiano il modo di governare questa città”.
Purtroppo fu sbugiardato per la terza volta da un nuovo audio in cui diceva al cronista: “Mo’ fa’ conto quello che penso io, che rimane veramente fra noi, poi lo utilizzi: un anonimo che ti ha detto Cioè questi erano amanti”. Quindi: Berdini sapeva fin da subito di parlare con un giornalista; gli parlava per far uscire la “notizia” (falsa) della liaison Raggi-Romeo; e tentava di usare il cronista per sputtanare la sua sindaca come fonte anonima, lanciando il sasso e nascondendo la mano.
A quel punto la Raggi accettò le sue dimissioni (e sfido qualunque sindaco al mondo a tenersi un simile assessore). Non per lo stadio (altrimenti l’avrebbe cacciato molto prima), ma per le ripetute bugie che lo rendevano totalmente inaffidabile. Berdini però – come ci ricorda con un memorabile autogol – tentò disperatamente di restare a bordo scrivendo una lettera al Fatto, pubblicata il 13.2, in cui non diceva nulla di quelle che oggi, col senno di poi, chiama “opacità e incapacità”, né dei “mediatori” in odor di mazzette, ma al contrario: piagnucolava per la “criminosa macchina del fango” (peraltro attivata da lui), l'”accanimento mediatico” e l'”intervista truffa”; elencava tutti gli interventi della giunta Raggi per riportare la legalità nella Capitale; elogiava la sindaca e la sua squadra perché “l”inetta’ giunta Raggi ha ripristinato la trasparenza richiesta dall’ Anac” sugli “appalti pubblici”; assicurava che “questa sistematica azione di recupero di legalità e trasparenza non si è mai fermata”; e si metteva a disposizione sullo stadio per “riportare il progetto nelle regole del Piano regolatore” (si spera non per i “100 metri quadrati edificabili” di cui vaneggia, ma almeno per i 110 mila metri cubi previsti dal Prg).
Nessun cenno a Lanzalone, consulente del Campidoglio da più di un mese, ora spacciato – sempre col senno di poi – per la causa scatenante di una “cacciata” che Berdini racconta ai giornali e ai pm, ma che non è mai avvenuta se non nella sua fertile fantasia. O in quella del suo omonimo sosia.
Marco Travaglio.
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L’intervista a Berdini (ex giunta Raggi), da sempre contrario al nuovo stadio
VALORI. 13 giugno 2018. Tutti i nodo vengono al pattine, gli errori svelati, i colpevoli additati. Intervista a Paolo Berdini sulla lunga e tortuosa vicenda dello stadio della Roma oggi sotto i riflettori della giustizia.
L’intervista a Paolo Berdini, urbanista ed ex assessore della Giunta Raggi: “Lo stadio a Tor di Valle è un progetto che sfama solo interessi privati”»
Probabilmente saranno i 9 arresti legati alla costruzione dello stadio della Roma a determinarne lo stop. Ma in Campidoglio era arrivata anche una pila di ricorsi e atti di opposizione: 31 in tutto. Si sono opposti i comitati di pendolari e residenti, preoccupati per la viabilità che andrebbe in tilt, gli ambientalisti in allarme per l’Ecomostro e il rischio speculazione, il Codacons che giudica l’operazione “illegittima”, i Radicali. E ancora gruppi di ingegneri e architetti, compreso Paolo Berdini, urbanista di fama internazionale, assessore all’Urbanistica e Lavori Pubblici per 8 mesi durante la giunta Raggi, che ha spedito in Comune un suo documento per chiedere di fermare l’approvazione della variante urbanistica.
«Sulla questione “stadio della Roma calcio” i Cinquestelle e Virginia Raggi hanno cancellato le promesse fatte in campagna elettorale. Una inversione a U rispetto alle posizioni nettamente contrarie all’opera espresse quando Roma era guidata da Ignazio Marino».
Professor Berdini, il suo è stato uno dei soli quattro nomi di assessori rivelati dalla Raggi prima delle elezioni. In teoria avrebbe dovuto essere fra gli inamovibili. Che è successo invece?
È successo che ho dovuto osservare un progressivo cambio di rotta rispetto a quanto i Cinquestelle hanno sempre affermato quando erano all’opposizione, sia a Roma sia a livello nazionale.
Quando ha iniziato a collaborare con loro?
Ho iniziato nel 2013 con il gruppo 5 Stelle alla Camera per scrivere una legge per bloccare il consumo di suolo. Quel testo fu trasformato in una proposta di legge e pubblicizzato in giro per l’Italia. Poco dopo, i 4 consiglieri pentastellati al Comune di Roma (tra i quali la stessa Raggi), all’opposizione della giunta Marino, mi chiesero di collaborare alle azioni contro il progetto stadio. Nel programma quindi la loro posizione era chiarissima.
Poi con la vittoria alle elezioni comunali di giugno 2016, il cambio di rotta…
Sono stato scavalcato nella ricerca di un compromesso con Pallotta e soci. Una cosa molto grave, soprattutto perché dopo mesi di lavoro era arrivato il parere negativo dagli uffici dell’assessorato Urbanistica contro quello sciagurato progetto. E invece si riapre il “tavolo di confronto” con la speculazione fondiaria.
Non la stupisce che una forza politica di rottura, come affermano di essere i 5 Stelle, nonostante una clamorosa vittoria elettorale, abbia accettato quel progetto?
Ovviamente. Si avvertiva in città una tensione positiva enorme: dopo gli scandali dell’amministrazione Alemanno e Mafia capitale, governava Roma una forza pulita libera da interessi oscuri. Forse è mancata quella indispensabile cultura politica che può permettere di affrontare le sfide più difficili. Sullo stadio si sono spaventati di una eventuale richiesta di risarcimento da parte dell’AS Roma. Qualcosa di simile era già accaduto nei mesi scorsi per il progetto di recupero del compendio immobiliare dell’ex Fiera di Roma di via Cristoforo Colombo, ma in quell’occasione nella mia posizione ero stato spalleggiato da Marcello Minenna e Carla Raineri (assessore al Bilancio e capo di gabinetto, dimessisi a settembre in polemica con Raffaele Marra, ndr).
Ha ricevuto pressioni di gruppi finanziari per un via libera al progetto?
Personalmente no. Ma è evidente che importanti istituti bancari hanno interesse a poter finanziare un progetto faraonico come questo. E alla stessa Unicredit conviene se Parnasi, che è un importante debitore della banca, si rafforza economicamente.
E i 5 Stelle che vantaggio traggono?
Avevano già detto no alle Olimpiadi – secondo me a torto perché avrebbero potuto dimostrare all’Italia intera come si può trasformare un grande appuntamento spesso segnato da sprechi e scandali in un’opportunità di rilancio per la città. Ma non hanno accettato la sfida. Eppure si trattava di un progetto pubblico interamente finanziato dallo Stato. Il paradosso è che hanno rifiutato un’opera pubblica come sarebbero state i Giochi olimpici e invece hanno detto sì a un progetto che soddisfa esclusivamente appetiti privati. Forse qualcuno all’interno di quel movimento pensa che per arrivare al governo nazionale qualche prezzo vada pagato…
Dal punto di vista tecnico, che ne pensa dell’accordo trovato tra il Comune e la AS Roma?
Ho sempre detto che nell’area di Tor di Valle, a forte rischio idrogeologico e completamente avulsa dal tessuto urbano della città, anche costruire un solo metro cubo di cemento è un errore. E ho al contrario sempre perorato l’ipotesi di costruire il nuovo stadio altrove, dove sarebbe potuto diventare un’opportunità di sviluppo di una periferia, come nella zona di Torre Spaccata, nella periferia sud-est di Roma. Solo per aver espresso la mia opinione sono stato vergognosamente accusato di favorire interessi di altri proprietari terrieri. La macchina del fango si era messa in moto.
A Roma c’è lo Stadio Olimpico. Poi c’è il Flaminio, considerato un gioiello di architettura ma che cade a pezzi abbandonato. Ma serve davvero un terzo stadio?
Quelle due strutture esistenti andrebbero profondamente rimaneggiate per renderle adeguate alle attuali esigenze ma sono intoccabili perché sottoposte a vincolo monumentale. Forse si sarebbe potuto avviare – come è stato fatto per lo stadio del tennis del Foro italico – un serio rapporto con le Soprintendenze per permettere mutamenti rispettosi delle caratteristiche dei manufatti così da evitare di avere zone abbandonate in piena città. Ma ho accettato pure la sfida di un altro stadio, se collocato in un luogo che potrebbe trasformarlo in un beneficio per l’intera comunità. Del resto, la legge sugli stadi è in vigore e chi amministra deve rispettare le leggi dello Stato.
Quindi esistono grandi opere compatibili con l’interesse collettivo?
Sì. A patto che sia il potere pubblico, a partire dall’amministrazione comunale, a guidare i giochi, decidendo dove vanno fatte e in che modo. Altrimenti è solo un favore ai poteri forti. E purtroppo la storia urbana di Roma negli ultimi venti anni, e cioè da quando trionfa l’urbanistica contrattata, è un ignobile campionario delle più spregevoli speculazioni immobiliari.
A proposito dei poteri forti: questa vicenda dimostra che essere onesti non basta. Che cosa serve per contrastarli davvero?
Bisogna essere preparati e aver studiato. Tanto.