di Salvatore Biasco – 3 giugno 2018
POST 2 SULL’EURO: DIRAMAZIONI DEL PRIMO IMPATTO
Prologo. Come avevo previsto (in due commenti in tempi di trattava il 28/3 e il 16/5), i nostri eroi – al di là di alcune durezze verbali atteggiamenti dimostrativi che li avrebbero subito costretti a rassicurare (come è puntualmente avvenuto), – non si sarebbero lontanamente sognati di uscire dall’euro, Allora perché continuare a occuparsi di questa evenualità? Non ne varrebbe la pena se non fosse che ritornerà nel confronto politico, ma soprattutto perché i veri orfani del piano B sono a sinistra (per ora si schierano qui, poi non so se tra qualche tempo li ritroveremo con Salvini: la storia insegna). Costoro diseducano i militanti perché fanno credere che esistano scorciatoie apparentemente radicali, che, invece, rischiano di creare illusioni e false aspettative e obbiettivi. Quel “piano B”, se dovesse verificarsi (anche per eventi spontanei e non per scelta) non è la passeggiata che si lascia intendere, ma un dolorosissimo evento che costa enormemente sul piano produttivo, sociale e occupazionale e che coinvolgerà un’intera generazione. Le semplificazioni che vengono convogliate fanno perdere tempo alla sinistra e ritardano l’elaborazione di una via di sinistra all’uscita dalla crisi (nazionale e europea), concepita, con serietà e immaginazione sociale e relalismo, lontano dall’orizzonte neo liberista. Fine del prologo
L’ambaradan sui mercati finanziari, trattato nel precedente post è generalmente ignorato da chi propugna l’uscita dall’euro. Costoro il più delle volte guardano alle variabili reali (in primis al ruolo salvifico delle esportazioni) e nutrono la convinzione che la politica economica possa poi agire liberamente. Cioè, isolano le questioni prescindendo dal quadro complessivo delle interdipendenze che agiscono nei processi. Diverso è il piano B di Savona – tutt’altro che sprovveduto. E’ vero che non fa alcun cenno alle perdite patrimoniali, né alla loro entità, ma poi parla della necessità di nazionalizzare le banche e di partecipare al loro capitale nel caso sia necessaria lo loro ricapitalizzazione (il tutto finanziato con titoli di Stato). Segno che le perdite sono messe in conto. (Piccola parentesi: le banche saranno comprate a 1 euro o al prezzo pre-uscita? Non basta già questo a provocare perdite a volontà sui mercati azionari?)
Finora io ho parlato di ripercussioni sui mercati finanziari di eventi futuri previsti (inflazione, defaul e forse paralisi operativa), che si scontano subito sul mercato dei titoli. Quel piano B parla, però, di default “realizzato” con lo scopo di portare il rapporto debito/pil al 60% o poco sopra. Tradotto, vuol dire che si prevedono perdite “realizzate” (ripeto, realizzate) intorno al 50% per i soli BTP (in Italia e all’estero pro quota 65-35) pari all’incirca a 1.200 miliardi (o poco meno, circa 1000 mld se il rapporto deficit /pil deve andare a 0,8, invece che a 0,6). Poi ci sono da conteggiare le perdite sul crollo di borsa e sui debiti esteri non ridenominabili (privati e pubblici) e le conseguenze delle varie class action che saranno intraprese dai creditori. In un contesto pervaso da perdite patrimoniali abnormi, incertezze estreme sul futuro (ciascuno si chiederà lecitamente se continuerà a ricevere stipendio e pensione), da crisi internazionale (che vedremo più avanti), da contenziosi, e anche da panico conseguente alla batteria di misure che accompagnerebbero l’uscita (anche queste le vedremo poi), da restrizioni del credito all’interno e blocco all’estero, da fallimenti di imprese, non ci vuole un grade economista per capire cosa succeda a consumi e investimenti (e occupazione e produzione). In più i salari reali scenderanno, come ammette il piano B. Anche se fosse prevista l’indicizzazione (non lo è) questa serve a poco, perché protegge dall’inflazione solo coloro che sono nella parte formale del mercato del lavoro. Sebbene sia strettamente necessaria, alzerebbe l’inflazione e la renderebbe più duratura rispetto alle nostre ipotesi ottimistiche.
In queste condizioni, esportazioni e spesa pubblica dovrebbero esplodere per tamponare la situazione e rimetterla in moto.
Iniziamo dalle esportazioni. Non dico che le svalutazioni non funzionino mai. Ma il contesto della nostra uscita (e del default realizzato o atteso) è quello in cui tutti i flussi mondiali di capitale sarebbero sconvolti e sarebbe inevitabile un contagio verso gli altri paesi più deboli (europei e extraeuropei), accompagnato da un marasma bancario internazionale di cui è difficile sottostimare la dimensione. Siamo il terzo paese mondiale per dimensione del suo mercato obbligazionario (che è in odore o ha addirittura già realizzato un default). Si potrebbe ripetere uno sconvolgimento vicino a quello provocato dal fallimento della Lehman e toccherebbe l’intero globo, senza che alla Fed vi sia Bernake o alla presidenza degli Usa Obama. Certo è che nessuno dei contratti siglati in precedenza sarebbe più sicuro e che difficilmente potrebbe non seguirne una sorta di blocco dell’attività bancaria e interbancaria internazionale, che è usuale quando c’è perdita di fiducia e nessun operatore si fida di nessuno, mentre le autorità e le banche centrali hanno di gran lunga meno munizioni di quelle che avevano nel 2007-8. Chi ci salva da una recessione mondiale? I capitali mondiali andrebbero in rifugi sicuri (dollaro, franco svizzero, euro-Germania e pochi altri lidi, come avviene per eventi molto meno traumatici), con buona pace della crescita delle economie emergenti, che sarebbero costrette a far fronte a forti deflussi e intraprenderebbero svalutazioni competitive per attenuare l’impatto che il tutto ciò avrebbe su di loro. Oltretutto, comincerebbe una guerra delle valute, accompagnata da forme occulte o palesi di protezionismo, dalla quale saremmo più danneggiati che favoriti (se ci impegnassimo anche noi).
Le nostre esportazioni sarebbero strettamente legate a questo quadro deflattivo, e, al contempo, non troveremmo di certo una disposizione di apertura nei nostri confronti dei paesi compratori e nessuno ci sarebbe riconoscente per il disastro che abbiamo deliberatamente provocato. Un cordone della finanza si aprirebbe attorno a noi, rimasti oltretutto privi dell’ombrello della Bce. Si scatenerebbero gli studi legali internazionali. Aver recuperato competitività attraverso la svalutazione serve a poco se queste, con probabilità altissima, sono le conseguenze. Su tutto questo il piano B glissa (nel mondo tutto resta tranquillo dopo il fallimento del terzo debitore mondiale o dopo la semplice aspettativa che ciò possa avvenire con alta probabilità). Nemmeno si può dire che lo fa perché presuppone che le misure tampone che esso propone funzionino, visto che questi eventi sono del tutto indipendenti dalla loro efficacia o meno.
Rimane da vedere quali sono le leve pubbliche e quanto possano funzionare le misure tampone Alla prossima e ultima. Le confutazioni puntuali sono ben accolte.
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Commenti e osservazioni
Guido Iodice (sulla prima parte scritta da Salvatore Biasco sull’uscita dall’Euro) – Non ho nulla da contestare al post del prof. Salvatore Biasco se non il fatto che esso (volutamente) è iperottimistico. Giustamente il professore dimostra che, anche assumendo effetti iniziali modesti, presto gli effetti dell’Italexit si trasformerebbero in una valanga.
Ma nella realtà le cose sarebbero molto peggiori. Se ridenominiamo il debito pubblico in lire questo equivale a un default.
Sia lo stato che le banche verrebbero considerati insolventi e le agenzie di rating ci assegnerebbero C o D.
La valuta di un paese in default non si svaluta del 20-30%, ma diventa immediatamente carta straccia. Ergo gli effetti che questo post illustra sarebbero moltiplicati di qualche ordine di grandezza.
Potremmo anche decidere di non ridenominare il debito ma questo non cambierebbe nulla. I mercati, giustamente, assumerebbero che non saremmo mai in grado di onorare debiti in euro.
Ha ragione da vendere il professore quando dice che i noeuro neppure si preoccupano degli effetti finanziari. Dicono di essere keynesiani, ma non hanno compreso la lezione di Keynes: quando parli di questioni monetarie è alla finanza e alle variabili monetarie che devi guardare, non alle variabili reali.
Salvatore Biasco Le tue considerazioni sono sacrosante e più realistiche. Nella seconda parte affronto il tema del subbuglio finanziario internazionale che succede al nostro default (che tu descrivi meglio). Altro che l’illusione di una ciambella di salvataggio nelle esportazioni!
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Gabriele Pastrello MAGARI DIMENTICHI Salvatore CHE NON C”E SOLO BAGNAI A SPONSORIZZARE L’USCITA DELL’ITALIA DALL’EURO. IL DOCUMENTO DEI 5 SAGGI DEL GOVERNO TEDESCO DEL LUGLIO 2015 NONCHE’ IL COSIDDETTO NO-PAPER DI SCHAUBLE DEL SETTEMBRE 2017 (CHE PREVEDONO PROCEDURE AUTOMATICHE DI PENALIZZAZIONE E POI PROCEDURE AUTOMATICHE, RIPETO AUTOMATICHE DI ESPULSIONE), NONCHE CERTE MISURE IN PREVISIONE SU BANCHE E DEBITO SOVRANO SCONTANO L’USCITA DELL’ITALIA PER NON DIRE CHE LA DESIDERANO. FORSE BISOGNEREBBE COMINCIARE DI QUI. LE POLITICHE CHE SONO IN GESTAZIONE HANNO COME ALTERNATIVA IMPLICITA ACCETTARE MISURE DI GRANDE DANNO (COME SAREBBE SE DOVESSIMO INCOMINCIARE A RIDURRE IL DEBITO DEL 5% OGNI ANNO CON STIMOLI DEFLATTIVI CHE SI AGGIUNGEREBBERO AD UN PAESE CHE NON HA ANCORA RECUPERATO I LIVELLI DI PIL DEL 2007. LA REINHARDT DICE -8%) GRAZIE ALL’AUSTERITA’ IMPOSTA E ACCETTATA O ALTRIMENTI USCIRE. NON SAREBBE NECESSARIO PARTIRE DI QUI? NON CREDO CHE UNA FINE SPAVENTOSA SIA MEGLIO DI UNO SPAVENTO SENZA FINE (UNA STAGNAZIONE SENZA RIMEDIO). MA FORSE SAREBBE IL CASO DI INCOMINCIARE A PRENDERE ATTO CHE L’ALTERNATIVA E’ PROPRIO QUESTA ‘SPAVENTO SENZA FINE’ (STAGNAZIONE IN-FINITA) O FINE SPAVENTOSA (SCONVOLGIMENTI DELL’USCITA) PER PORRE IL PROBLEMA SUL TAVOLO DI BRUXELLES SENZA DIPLOMAZIA. METTENDO DI FRONTE LA DIRIGENZA EUROPEA CHE SI DOVREBBE ASSUMERE LA RESPONSABILITA’ DEGLI SCONVOLGEIMENTI EVENTUALI.E DEI DANNI ENORMI CHE NE CONSEGUIREBBERO ANCHE AI PESI ‘SOLIDI’.
Salvatore Biasco Stare nell’euro è un’asfissia continua, ma almeno stipendi pubblici e pensioni continueranno a pagarle. E poi c’è qualche speranza di poterne cambiare i meccanismi o svolgere all’interno politiche che abbiano comunque un segno di redistribuzione. Con quello che succede in alternativa non darei per certo che si continuino a pagare stipendi e pensioni e penso che finiremmo con considerare blande le sofferenze sociali che abbiamo oggi. Ti chiederai: e se l’euro deflagra da solo? Avviene quello che descrivo. Ma perché autoinfliggercelo? Ciao
Gabriele Pastrello 1) TU SAI MEGLIO DI ME CHE NON E’ STATO FATTO FINORA IL BENCHE’ MICROSPICO TENTATIVO DI MODIFICARE QUALCOSA (AL DI LA’ DELLA RICHIESTA DI MANCE CHE POI CI GUADAGNANO INSULTI) 2) QUELLO DI CUI HO PARLATO E’ LA VOLONTA’ NON DEL TUTTO DISSIMULATA DI AUTOREVOLISSIMI AMBIENTI TEDESCHI DI FAR USCIRE L’ITALIA DALL’EURO (COMINCIANDO DAGLI ARTICOLI DI SINN SUL FT 2011E 2012, POI I 5 SAGGI 2015, POI SCHAUBLE 2017, POI GLI ECONOMISTI TEDESCHI OGGI).E NON DI UNA DEFLAGRAZIONE SPONTANEA (CHE CONCORDO NON SI PUO’ ESCLUDERE), 3) NON HO PARLATO DI AUTOINFLIGGERCI NULLA MA DI PORRE IL PROBLEMA DELL’ALTERNATIVA INACCETTABILE (STAGNAZIONE O USCITA PER VOLONTA’ DELL’UE, NON NOSTRA) SUL TAVOLO UE PRIMA CHE CI CAPITI DA SOLA. 4) OVVIAMENTE COME ANCH’IO HO SCRITTO MI SONO CHIARE LE CONSEGUENZE DI UA DEFLAGRAZIONE. MA DA PIU’ PARTI MI SENTO DIRE CHE UN ACCORDO CON GERMANIA E BCE POTREBBE ATTENUARE L’IMPATTO. HO SCRITTO CHE NON NE SONO CONVINTO, MA MI PIACEREBBE CHE TU DICESSI COSA NE PENSI. MAGARI TI MANDO IL MIO PEZZO, CHE E’ UNA VERSIONE AMPIA DELLA SECONDA PARTE DI UN ARTICOLO CHE APPARE ADESSO (O E’ APPARSO) SU LIMES SCRITTO CON CASELLI.