registrato da Radio radicale a Roma- venerdì 11 maggio 2018, la trascrizione è di Giovanna Ponti
Dibattito organizzato da Fondazione Italianieuropei.
LE CONCLUSIONI DI D’ALEMA
Siamo davanti a un complesso di conflitti che investono una regione fondamentale, fondamentale per la sicurezza e per le prospettive di sviluppo e di crescita economica dell’Europa.
Io vorrei partire dell’influenza dei conflitti in Medio Oriente sulla situazione europea. Se noi consideriamo la minaccia del terrorismo islamico, che non è solo minaccia visto il numero di attentati che l’Europa ha subito e il flusso dei migranti e consideriamo questi due fenomeni uniti e collegati fra di loro capiamo l’avanzata di populismi di destra. Parlare della situazione mediorientale significa parlare del nostro futuro, della stabilità europea, della tenuta dei nostri sistemi democratici, parliamo di qualcosa che tocca direttamente gli interessi fondamentali dell’Europa. Tocca anche i valori della nostra democrazia, democrazia che però non può essere il modello valido per tutti. Il concetto di democrazia deve adattarsi alla realtà mediorientale senza avallare l’illusione infondata che la democrazia sia l’espansione universale del modello occidentale. Questa è un’idea sbagliata, irrealistica e quando è stata perseguita ha prodotto danni di portata incalcolabile.
Noi siamo interessati alla pacificazione di questi territori, ma non tutti gli attori occidentali hanno questo pressante interesse. C’è un’evidente differenza di interessi fra Europa, Stati Uniti e Israele.
Israele per esempio non è affatto interessata alla pacificazione della regione, la sua condotta tende a fare in modo che la guerra in Siria continui. Per dirlo in modo spregiudicato più gli arabi si ammazzano fra di loro più si rafforza il senso di sicurezza di Israele.
Gli americani, pur nella enorme incertezza in cui si sono mossi, in questo momento non stanno favorendo un processo di pacificazione.
L’Europa dovrebbe provvedere a se stessa. Vi è un test immediato: è evidente che la risposta europea alla iniziativa americana di cercare di mettere in crisi l’accordo sul nucleare con l’Iran sarà un test fondamentale della tenuta europea. L’Europa dovrebbe offrire al governo riformista iraniano una sponda politica ed economica tale da consentire alle forze riformiste iraniane di dire che l’accordo sul nucleare apre una prospettiva all’Iran, malgrado Trump.
L’azione americana spingerà l’Iran verso una deriva fondamentalista, verso i rappresentanti religiosi che da sempre avevano avversato l’accordo sul nucleare dell’Iran.
L’Europa per scoraggiare questa deriva fondamentalista dovrebbe mettere in campo strumenti politici, economici e finanziari di sostegno al governo riformista iraniano.
Avrà la forza di farlo? Non lo so onestamente. Nel momenti in cui gli americani escono dall’accordo sul nucleare, l’Iran ha due possibilità: una è cacciare gli ispettori della IEA e ricominciare a lavorare sulla base del programma originario (ed è questa la posizione degli integralisti), l’altra posizione è denunciare la posizione americana di rompere un accordo, appellarsi agli altri firmatari perché sostengano l’Iran nella decisione di andare avanti nel rispetto dell’accordo, malgrado la violazione americana.
Se l’Iran dovesse fare la prima scelta e riprendere il programma nucleare scatterebbero le sanzioni delle Nazioni Unite.
Gli Americani vogliono spingere l’Iran in una situazione di grave crisi e lo fanno su istigazione del governo israeliano, l’Europa deve avere la forza di spingere l’Iran a reagire all’interno del diritto internazionale.
L’asse fra la destra americana e la destra israeliana rappresenta un pericolo molto grave rispetto alla necessità di promuovere un processo di pacificazione.
In Medioriente occorre tenere conto che alla fragile identità degli Stati fa riscontro una forte identità etico-religiosa. In Iraq, in Siria e in Egitto hanno governato per decenni dittature familiari. Per molti anni la politica americana , essendo ostile a questi regimi i quali avevano una forte identificazione pro-sovietica nell’epoca della guerra fredda, ha fatto leva sul fondamentalismo religioso sunnita, alimentandolo.
Al Qaida vuol dire “la base”, la base dove si addestravano i combattenti arabi islamisti che poi andavano in Afghanistan a combattere contro l’Armata Rossa. Quella base era una base della CIA . Bin Laden fu selezionato all’interno della classe dirigente sunnita ed era il rampollo di una famiglia legata a doppio filo agli USA, era perfino socia in affari della famiglia Bush.
Il legame fra il fondamentalismo islamico e l’occidente in chiave antisovietica, è stato fortissimo.
Sono stati gli americani che hanno addestrato alla guerra e lo snodo di questo rapporto è stato per molti anni l’Arabia saudita. Gli attentatori dell’11 settembre erano 14 componenti delle migliori famiglie dell’Arabia saudita, non erano né iracheni né afgani, nonostante l’America abbia in seguito all’abbattimento delle torri gemelle occupato militarmente l’Iraq e l’Afghanistan.
Il rapporto fra l’occidente e l’islamismo si spezza con la fine della guerra fredda, quando l’Occidente si illude di arrivare ad una omologazione del mondo ai modelli democratici occidentali e quando progressivamente quel mondo islamico, che aveva visto nel comunismo ateo il suo nemico principale, vede in questa omologazione il proprio nuovo nemico.
Dopo la caduta del muro di Berlino progressivamente l’integralismo islamico si volge contro l’Occidente.
Per molti anni il rapporto fra Occidente e fondamentalismo sunnita è stato ambiguo fino al punto che l’ Occidente non ha capito, o ha finto di non capire, che le primavere arabe erano un movimento in cui c’era dentro sicuramente anche un’istanza di democrazia e di libertà contro i dittatori, ma c’era anche una grande ambizione di islamizzazione della società e una fortissima componente fondamentalistica.
L’obiettivo non era creare la democrazia, ma creare lo Stato islamico.
Il modello libanese esiste pur fra mille difficoltà perché dopo la tragedia di una lunghissima guerra civile, il Libano ha costruito un equilibrio che garantisce le diverse identità del Paese. In Libano è stabilito per legge che il Presidente deve essere cristiano, che il Presidente del Parlamento deve essere sciita e che il Primo Ministro deve essere sunnita. In questo modo l’equilibrio regge.
In altri Paesi questo equilibrio non c’è.
Per capire quello che accade in Medio Oriente occorre andare a rileggere quello che è accaduto in Europa tra il 1559 e il 1648, tra la pace di Cateau- Cambrésis e la fine della guerra dei Trent’anni. In quel periodo gli europei si sono scannati tra cattolici, ugonotti e protestanti esattamente come avviene oggi tra sciiti e sunniti. In Europa vi sono state spaventose pulizie etniche e massacri indicibili, peggiori di quelli cui assistiamo oggi in Medio Oriente. Solo la Germania è riuscita a costruire uno Stato multietnico perché ha scelto la democrazia federale.
Il detto “cuius regio, eius religio” lo abbiamo inventato noi europei.
E’ chiaro che alla coscienza occidentale appare inaccettabile quello che alcun anni fa era invece accettato in Europa, occorre dire che l’Islam è nato 600 dopo il Cristianesimo e che i tempi di evoluzione possono essere diversi.
Tuttavia oggi occorre operare per ottenere la pace senza le ambiguità che hanno contraddistinto l’azione americana.
Putin è diventato importante perché a fronte della ambiguità dell’occidente ha sempre avuto una posizione chiara di sostegno al fondamentalismo sunnita. Non avendo grandi preoccupazioni per la questione democratica, Putin ha sempre sostenuto i regimi contro il fondamentalismo islamico.
L’Iran è sempre stato una delle principali forze di contenimento dell’ integralismo sunnita avendo subito un massiccio attacco sunnita con un milione di morti e l’uso massiccio di armi chimiche fornite dall’ Occidente. Quando in Iran si parla di armi nucleari in Iran, si parla a un’opinione pubblica sensibile, che ha perso i propri cari in quella guerra sanguinosa. L’idea che l’Occidente sia alleato con i sunniti contro l’Iran fa quindi orrore.
Per quanto riguarda la Siria, il congresso di Ginevra sotto l’egida delle N.U., è oggi superato. Occorre venga collegato al processo di pace di Astana, dove siedono tutti Paesi dell’area mediorientale.
Bisogna essere realisti, la pace si costruisce negoziando con Assad perché gli si è consentito di riguadagnare forza e non solo perché è stato sostenuto dai russi e dagli iraniani, ma anche perchè il regime garantisce la libertà religiosa e la sicurezza dei cristiani.
Assad ha retto perchè una parte del Paese, la classe dirigenti i professionisti gli ufficiali dell’esercito, si sono stretti intorno al regime temendo l’integralismo islamico.
La pace si fa trattando con tutti, tagliando fuori naturalmente le frange estremiste.
A mio giudizio non è impossibile. La novità che io percepisco è che i siriani sono stanchi di ammazzarsi , sarebbero forse anche disposti a trovare le ragioni di una pace, ma ormai tutte le potenze coinvolte devono trovare una soluzione che le garantisca.
Servirà un governo di unità nazionale, una generale amnistia reciproca, una fase di transizione garantita anche dalla presenza di osservatori internazionali, un rientro dei profughi, un processo di ricostruzione, e questo processo, sebbene lungo e tortuoso, è possibile da realizzare.
E’ chiaro che l’iniziativa americana di fare saltare l’accordo sul nucleare con L’Iran rende tutto molto più difficile così come i bombardamenti israeliani ed è chiaro che Trump e Netanyahu si sono mossi in questo momento proprio per impedire che un’iniziativa europea potesse sbloccare la situazione e pacificarla.
Io ritengo del tutto improbabile che Assad abbia fatto un attacco chimico, non perché non sia un assassino ma perché non aveva alcun interesse a fare un’azione simile visto che stavano prevalendo sul terreno. Attacco che ha ucciso una quarantina di persone in uno scenario dove la vita umana non ha alcun valore e ci si uccide a mani nude.
Quando i russi dicono che è stata una messinscena, è molto probabile che abbiano ragione.
L’Europa ha un ruolo importante nel processo di pace,. Deve rendersi conto del gioco vero di Usa e Israele e deve tutelare i suoi interessi fondamentali a prescindere dagli americani, anche con l’idea che gli americani possano essere riconquistati a una posizione ragionevole.
Anche i curdi, cui va la nostra simpatia, non possono pensare di avere un loro Stato perché questo sarebbe destabilizzante per la Turchia, l’Iran, l’Iraq e la Siria.
I confini nella Regione sono stati tracciati dal colonianismo anglofrancese e possono essere ridefiniti, ma rivederli o aprire il discorso di uno Stato Curdo avrebbe conseguenze incalcolabili. Una soluzione pacifica andrebbe trovata entro i confini esistenti.
Sul conflitto israelo-palestinesi io penso occorra uscire dalla retorica di due popoli due Stati perché questa prospettiva appare del tutto irrealistica. Il vero problema è se il destino di Israele debba essere un destino di apartheid oppure quello di una democrazia multireligiosa. Capisco che questo urta con il sogno sionista di uno Stato ebraico, sogno che è anche delle opposizioni democratiche, ma esso appare difficile perché ci vorrebbe un governo di Israele capace di riportare tutti i coloni entro i confini del 1967 e ciò francamente è ormai impossibile.
Esiste un trattato di Pace fra Israele e i Palestinesi redatto da rappresentanti democratici dei due schieramenti, un trattato di buon senso che fu presentato a Ginevra, ma che nessuno ha mai avuto la forza di realizzare.
Io penso che sarà molto difficile arrivare ad una pace, la pace sarà possibile solo se imposta dalla comunità internazionale.
Ai tempi dell’intervento militare italiano in Libano io proposi che a Gaza stazionassero qualche migliaio di osservatori internazionali, ma non furono d’accordo né gli israeliani e gli americani né Hamas. Un anno dopo ci fu una guerra che lasciò sul campo qualche migliaio di morti.
Israele e palestinesi non potranno mai negoziare fra di loro, prima di tutto per la disparità di forze e poi perchè manca sia la forza che la volontà politica di arrivare alla pace.
Quindi o interviene la comunità internazionale a definire confini e territori (soluzione per me ormai impossibile visti gli insediamenti diffusi nel territorio) oppure bisogna che Israele diventi un grande Stato democratico e laico.
Ci vorrà tempo, ma questa è l’unica soluzione possibile.
Noi siamo storditi da un livello di manipolazione assordante dell’informazione.
Dobbiamo prendere coscienza di ciò che avviene a Gaza.
Provate a immaginare soldati russi dislocati lungo il confine con l’Ucraina e sparassero alla testa di ragazzi disarmati al di là del confine e poi postassero queste scene su Fb compresi i festeggiamenti quando ne beccano uno. Come minimo questa sarebbe la notizia di apertura di tutti gli organi di informazione con la richiesta di intervento del tribunale dell’Aja . Se lo fa Israele al massimo qualche commentatore osserva che sarebbe meglio sparare alle gambe.