Il gattopardismo ipocrita della sinistra italiana

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 9 aprile 2018

È tipico dei pusillanimi. Quando qualcuno è nella polvere, i suoi ex sostenitori si fanno attorno e iniziano a prenderlo a calci cogli scarponi da montagna. È un film già visto. A fronte di pochi che hanno avuto il coraggio e la forza di andarsene prima e di prendere anche ceffoni per questo, i più restano all’ombra del leader per sortirne fuori quando è vacillante o già caduto. E allora, a quel punto miserrimo, invocano l’Anno Zero. Come se tutto fosse da buttare, come se non fosse esistito nulla e nulla ci ritrovassimo in mano dopo una sconfitta cocente e quasi ultimativa. L’analisi dei ribelli diventa apocalittica e tutto appare terremotato solo per far emergere, a contrasto, la forza intellettuale e la passione militante dell’ultimo arrivato, magari uno di quelli che ha indossato gli scarponi chiodati e menato calci a partita finita (e persa). Così come si è sostenuta la ‘novità’ dell’uomo ‘nuovo’ sino a pochi attimi prima, si torna a invocare una ‘nuova’ novità, un altro giovanotto e/o giovanotta, e si disserta di culture politiche finite, dissolte, invocandone un’altra, che poi si scopre tanto simile a quella già suggerita all’ex uomo nuovo, che ora si trova nella polvere. Un gorgo di ‘novità’ precedenti e successive in cui la forza intellettuale e morale scompare per sempre, inghiottita dallo stesso mare nero di melma che pure si critica con tanta verve dell’ultim’ora.

Oggi è un pullulare di chi ci spiega che abbiamo sbagliato nella “lettura della fase”, lo fa persino la Natalicchio nel grande spazio concessole dal gruppo editoriale di Repubblica, l’ennesimo volto nuovo da mostrare al pubblico. C’è anche il solito Cacciari che dimentica la sua infinita qualità intellettuale e torna a chiedere rabbiosi azzeramenti politici come fa ormai da 30 anni, per pretendere magari che si torni a temi (come la riforma costituzionale renziana) che sono, in realtà, le vere ragioni della sconfitta della sinistra italiana. C’è L’Espresso, che indossa gli scarponi e adesso vorrebbe cancellare un PD già dissolto, dopo aver predicato in campagna elettorale che bisognava invece raccogliersi tutti attorno a Renzi, e che quelli di LeU fossero solo dei rancorosi che mollavano il partito nel momento del bisogno (il bisogno di chi?). C’è Peppe Provenzano che mo mo si scopre Masaniello e vorrebbe rifare tutto daccapo, dopo essere stato allineato e coperto per anni (non solo lui ovviamente). Anche quelli che invocavano l’esigenza di stare in una ‘comunità’ che si dovesse cambiare da dentro, adesso si scoprono bombaroli. Quelli che il gesto di andarsene lo avevano fatto, invece, e avevano chiesto per tempo di trovare un’altra strada (come MDP, Si, LeU in sostanza) e che furono indicati come scissionisti animati da mero rancore personale, oggi sono qualificati addirittura come ‘fuggiaschi’, come dire: ‘fuggono’ dalla responsabilità di ricostruire la sinistra, si perdono dietro le proprie ataviche ambizioni personali.

Avremo tempo e modo nei prossimi mesi di parlare di queste cose. Ma una cosa fatemela dire sin d’ora: le ricette che vedo in giro sono davvero molto simili alla malattia che pretenderebbero di curare: un nuovo PD, una grande ripartenza con un volto nuovo, giovane, incontaminato, spendibile sui media, magari pronto a imbracciare la ricetta solita di ‘riforme’ e ‘sburocratizzazione’, con uno spruzzo di maggioritario e un profluvio di retorica mediale. Non lasciate che Repubblica e L’Espresso ridisegnino ancora i confini dell’eventuale nuovo-vecchio partito. Tenetevi fuori dalle operazioni ad hoc e dalla longa manus di editori, classe dirigente ed élite elitarie. Tutti sono concentrati nella ‘lettura della fase’, tutti (per prima la sinistra-sinistra dei gruppuscoli) pensano che la sinistra debba ricostruirsi riseminando il proprio orticello, debba rinascere a partire dalla propria ‘autocoscienza’, debba semplicemente fare quel che invece non avrebbe fatto in questi anni (e giù il solito elenco di errori, incomprensioni, verticismo e compagnia cantante).

Non è così. La sinistra non è l’ombelico del mondo, anzi vive di democrazia, di rappresentanza, di istituzioni. Nulla fuori di esse. Il dialogo col sociale, la forza trasformativa, la visione strategica non hanno senso e non si danno senza l’impalcatura della democrazia rappresentativa: è così per noi da sempre. Mica un giorno. Altro che uomini nuovi, altro che ‘lettura di fase’, altro che disanima degli errori e delle colpe. Sinistra è sinonimo di democrazia, e quando quest’ultima non ‘rappresenta’ più, non dà voce, non democratizza anche le élite, e non dà espressione alle contraddizioni e ai conflitti regolandoli e rendendoli efficaci è finita. Dovremmo essere grati a chi in questi mesi ha sottolineato questo aspetto, invece di denigrarlo. Essere grati alla saggezza dei compagni più anziani che la mucca l’hanno vista per primi, invece di definirli prima ‘rancorosi’ e poi ‘fuggiaschi’, in una sorta di pervicace ingratitudine. Siamo in pieno tempo della miseria, altro che. Miseria vera, di idee, di tempra morale, di coraggio, di lungimiranza, di afflato culturale. E non c’è nulla di più misero di chi invoca Anno Zero e futuro, quale panacea, dopo aver cantato l’inno della modernità e del ‘nuovo’ contro ogni memoria e ogni saggezza. Sembra ancora il refrain della rottamazione. Vorrei tanto sbagliarmi.

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