La crisi della sinistra (e prima ancora delle ‘forme’ democratiche)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 5 aprile 2018

Uno dei sintomi più forti della crisi della sinistra sono anche le analisi che la sinistra sta facendo della sua crisi. Detta così sembra un gioco di parole, ma non lo è. Sembra, per taluni, che tutto di riduca a una formula semplice semplice: dobbiamo ascoltare di più il Paese, entrare in sintonia con esso, e il resto verrà. Ciò, nell’ostinata convinzione che le domande che sorgono dai cittadini siano domande di ‘sinistra’: più solidarietà, più cura, tutela dei ben pubblici, senso della collettività, più democrazia rappresentativa, parlamentare, più partecipazione organizzata, cultura della mediazione e del dialogo. Ma non è così. C’è nel Paese, nella coscienza politica del nostro Paese una crisi dell’idea di sinistra, i cui contorni sono del tutto inediti e ancora inesplorati. Per colpa della crisi, dei livelli di diseguaglianza atroci, del senso di insicurezza diffuso e per la crisi del sistema della rappresentanza, in questa fase si chiede alla classe politica ben altro che la solidarietà e l’accoglienza, ben altro che istituzioni rappresentative.

Al contrario, è come avessimo introiettato collettivamente l’idea di una resa dei conti sociale, culturale, etnica, persino istituzionale. Come se avessimo perduto la battaglia culturale di fondo. In realtà, le ‘forme’ attuali della politica (disintermediate, individualizzate, competitive, verticalizzate) non si addicono più alla nostra cultura storica. Non è la banalità di dire che non capiamo la rete oppure non pratichiamo la cultura digitale o ignoriamo le nuove solitudini tecnologiche. È di più, molto di più. E concerne la struttura stessa dell’agire politico, non solo i contenuti dell’azione. C’è poco da fare, fuori dalle forme della democrazia parlamentare, fuori dall’idea di rappresentanza, fuori dal concetto di mediazione, di alleanze politico-parlamentari, e oltre l’idea di una partecipazione ‘organizzata’, di una memoria, di una tradizione da rivitalizzare, di un dialogo intergenerazionale, di un focus collettivo, la sinistra storica italiana non è più nulla. Appena testimonianza. È in questo contesto, in questo sistema concettuale che essa, invece, ha preso modernamente vita, per cui non può vivere senza di esso, a meno di corrompersi e di divenire altro.

Sorrido all’idea che la delusione elettorale di LeU sarebbe solo da addebitare alla componente MDP, al fatto che apparissero ancora troppo vicini al PD, mentre il resto andava tutto bene madama la marchesa. Sorrido perché queste analisi sono ancora l’effetto della crisi. È una disanima che non riesce a concepire le forme attuali della politica, e a non vedere come i contenuti (anche quelli di sinistra) sono solo materia grezza se non vengono ‘parlati’ da linguaggi appropriati, se le forme vengono ignorate. Come se si trattasse solo di ‘ascoltare’ un po’ di più e il resto verrebbe da sé. Diciamolo: la vera bomba all’idrogeno gettata dai nostri avversari politici e rilanciata da Renzi, è stata la proposta di disintermediazione, ben più che la campagna di rottamazione (pure odiosa). ‘Disintermediare’ vuol dire tagliare di netto le radici della sinistra storica nel Paese, strappare quel tessuto di politica e cultura dentro cui in questi anni abbiamo respirato, colpire al cuore le istituzioni rappresentative, gettare di lato il Sindacato, ridurre tutto a cortocircuitazioni mediatiche. A inciucio. Attingendo direttamente dalle viscere dei cittadini e riversando quelle budella sfrante di intolleranza nel dibattito politico per sfasciare tutto.

Una modalità operativa che con la sinistra non ha nulla a che fare, e che squarcia le forme e le articolazioni entro cui per decenni ci siamo mossi con vantaggio generale, non solo di parte. Quelle forme le abbiamo alimentate per tutti, mica solo utilizzate. La selva di referendum, il populismo, il leaderismo mediatico, la critica del parlamentarismo, l’idea che la politica fosse solo tattica e non cultura, il giovanilismo provinciale, l’altra idea che i partiti fossero il male sono tutti elementi di un unico orizzonte, destinato a essiccare il fondo entro cui la sinistra italiana, quella democratica, storica, dei nostri padri, aveva sempre nuotato nei decenni. E allora. Se non si riparte da questo, dalla democrazia, dalla vita pubblica, dalle forme della partecipazione, dalla cultura stessa, da un ‘ascolto’ raccolto in forme adeguate alla efficacia delle misure, io credo sia inutile e ingeneroso rinfacciare a Bersani e D’Alema ogni colpa od omissione. Vorrebbe dire che la mucca nel corridoio, anzi i bisonti continuiamo ancora a non vederli. Non capendo che era la sinistra a doverne prendere coscienza per prima, mica la destra o i populisti, che anzi quella mandria hanno foraggiato per anni, e ora ne raccolgono i frutti, conquistando a sé la coscienza politica del Paese.

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