di Salvatore Biasco – 2 marzo 2018
Cominciamo con il voto al Pd? Contrariamente a coloro che se ne sono allontanati, non ho dubbi che dentro e attorno al Pd confluisca una buona fetta di elettorato soggettivamente di sinistra, che compie valutazioni della situazione (buone o cattive) dalle quali trae una giustificazione per l’adesione a questo partito; elettorato e militanti che non possono mai essere trascurati come base di massa e quadri di una sinistra che si rifondi.
Dal punto di vista dell’azione di governo, questo partito ha, a mio avviso, dato luogo a:
– decisioni pessime ( il job act, l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, la privatizzazione di Poste Italiane, la manomissione allegra dell’assetto istituzionale, le modalità e merito della legge elettorale);
– decisioni dubbie (la Buona Scuola, la politica di Minniti sull’emigrazione, la politica dei bonus a scapito di una seria politica di rafforzamento infrastrutturale, la banalizzazione delle politiche verso il Sud, la quantità di elargizioni riservate alle imprese);
– decisioni buone (lo statuto del lavoro autonomo, la prima sperimentazione di un reddito di inclusione, la prima introduzione di un sussidio di disoccupazione, il piano industria 4.0 – per quanto tardivo e parziale -, la tenuta del bilancio pubblico, l’ampliamento dei diritti civili).
Al di là della valutazione dell’azione di governo – che forse non basterebbe a negare il voto al Pd – pesa nel giudizio su questo partito il fatto che abbia concepito la competizione politica sul piano culturale proposto dalla destra: antistituzionalismo, personalismo, fastidio per i corpi intermedi, populismo, mediocre e fedele selezione della classe dirigente, proclami mirabilanti senza rapporto con la realtà. Tutto ciò che non ci voleva dopo 20 anni di diseducazione civica portata dal berlusconismo, che è ormai diventata la cifra del nostro non esaltante humus democratico. E’ difficile votare il Pd senza che esso riconosca che l’’ipotesi di sfondare a destra è fallita e che la sua ispirazione di occupare il centro dello schieramento politico, per rendersi indispensabile in tutte le ipotesi di governo, produce solo un mutamento genetico del suo elettorato (ormai prevalentemente centrato su establishment e anziani), senza ampliare la base elettorale. Dal Pd si attende che ripensi sé stesso e ritrovi (o meglio concepisca, perché nato male) una sua vocazione popolare. Tirando le somme, penso che premiarlo con un voto vuol dire allontanare queste prospettive, oltre che premiare la mediocre qualità della rappresentanza che porterà in Parlamento.
La questione del voto utile – l’unica rivendicabile – non ha grande fondamento. Il sistema è per tre quarti proporzionale e ciascun voto è utile a eleggere la rappresentanza che si desidera. Se poi nella parte maggioritaria il Pd perde seggi, ricordi a sé stesso: a) che con la sua vocazione a produrre macchiavellici e poco lungimiranti escamotage ha impedito (con le fiducie) che vi fosse il voto disgiunto; b) che la vocazione a scrutinare le candidature secondo la lealtà al leader non è elemento di grande attrattività.
Votare allora i cespugli di centro sinistra?
Bonino? E’ un po’ stupefacente che sia considerata un’alternativa di sinistra, magari in polemica col Pd. L’Europa come scelta imprescindibile non la qualifica certo tale (perché un indirizzo europeo è, con un approccio critico, nei programmi di tutta la sinistra, escluso PaP). A parte le ambiguità del personaggio Bonino, il programma di Più Europa esprime la linea più dichiaratamente neo-liberista di tutto l’arco politico. Dico: proprio tutto l’arco politico. Non tanto perché vuole che il debito pubblico rimanga sotto controllo, ma per le modalità brutali e per la nuova ondata di privatizzazioni e liberalizzazioni che propugna. I radicali, d’altra parte, sono stati sempre liberali e hanno sempre odiato lo Stato e la funzione dei partiti di massa. La questione sociale non li ha mai sfiorati, mentre i diritti civili sembrano essere ormai una marchio sbiadito (e certo non esclusivo) ereditato dal passato, che è giusto sospettare sia per loro diventato questione di nicchia e di sopravvivenza. C’è poi un’altra questione. Supponiamo che Più Europa superi il 3%. Vi immaginate che tipo di pattuglia entrerebbe in Parlamento. Aggiungerà confusione e personalismi. Sarà tutto meno che un pacchetto di mischia per la sinistra.
Insieme? combriccola che ha per leader Santagata, la dice tutta. Suvvia! Un po’ di rispetto per sé stessi e un po’ di serietà!
Il mio consiglio agli amici decisi a votare per il centro sinistra è votare Pd e basta.
Proseguo chiedendomi se vi sono motivazioni di sinistra per votare 5 Stelle o Potere al Popolo o LeU.
Votare 5 Stelle? Faccio gli auguri a chi da sinistra compie questa scelta. Chi lo è veramente dovrebbe sapere che l’obiettivo non è di dare al disagio sociale un veicolo di protesta, ma di renderlo protagonista e consapevole della sua storia. Di creare, cioè, una coscienza politica e sociale che aggreghi orizzontalmente, non di cavalcare rabbie da indirizzarle contro i vitalizi, il sistema rappresentativo e quant’altro (e sotto sotto contro migranti, sindacati, ecc). A me sembra che questo partito esprima una variante della cultura individualistica (e pochissimo di egualité e fraternité). Nel programma, ciò che è classificabile di sinistra è poco e irrealizzabile Serve solo a creare slogan strumentali. Va sempre tenuto presente, poi, che si votano anche dei nomi, delle persone, oltre al raggruppamento (il quale dimostra nella composizione del suo “governo” che la democrazia dei militanti è una pantomima, se dopo aver fatto le liste, avviene una scelta da fuori del movimento di una rosa tutta esterna – di cui, per mia insufficienza, non conosco nessuno e non mi esprimo). Che garanzia danno i nomi dei candidati al Parlamento? Non è tanto il fatto che una classe dirigente non si seleziona nel modo raffazzonato in cui è stata selezionata (non prendo sul serio il “governo” per giudicarlo), ma di più: chi vota da sinistra 5 Stelle può indicarmi le persone da cui si aspetta che portino avanti in Parlamento istanze e valori di sinistra? Le ha vagliate? Ci sono? O si affida all’avallo che a quei nomi hanno dato Grillo e Di Maio?
Votare Potere a Popolo? Non metto in dubbio la sincera adesione a istanze sociali di questo raggruppamento, ma sono molto preoccupato per la consistente frangia anarcoide che vi aderisce. Quello che non mi convince di questo raggruppamento è l’incapacità di concepire la complessità della società e del suo governo (o autogoverno) e la riduzione di tutto a formule semplici. Formule che sono spesso diseducatrici per i giovani militanti. E’ fuori della sua portata concepire (nel senso di simulare) una responsabilità di governo. Domina la questione identitaria e della purezza, che si riconosce nel gruppo di “avanguardia” ma non vede le masse se non quelle immaginarie, non quelle reali e contraddittorie. Esattamente il contrario del Pci, cui questo raggruppamento pure si richiama. Nella semplicità delle formule e delle soluzioni tutto appare ai militanti come autoevidente e quindi, chi non coglie quell’evidenza o è venduto o è in malafede, il che fa nascere nascere un disprezzo per tutto il resto della sinistra, per rimanere con chi?
LeU ha fatto sperare che stesse per nascere in Italia una forza dichiaratamente socialdemocratica, una forza che non vi è mai stata. Tuttavia, il riferimento al “socialismo” è stato in ombra in questa campagna elettorale né la parola pronunciata, se non dai candidati locali. Eppure lì sta chiaramente una identità dei suoi militanti. Se si appartiene a questa cultura, vi sono alternative affinché viva e si rafforzi? Gli alfieri del socialismo non possono certo, esserne gli esponenti di vertice del Pd, tutti provenienti dalla Dc e rimasti al fondo democristiani. La nascita di una forza orientata in questo senso è, ovviamente, un’ipotesi per il futuro. Ma non vi è futuro per la sinistra se quell’humus non ha cittadinanza nella politica italiana e non possa domani costituire un nucleo di una storia ritrovata (e rinnovata).
Guai, tuttavia, a passar sopra alle insufficienze. L’identificazione programmatica avrebbe dovuto essere la forza di LeU. I tanti pezzi del programma, che pure indicavano una direzione lontana dal neoliberismo, sono rimasti nelle pronunce delle prime stesure (banca di sviluppo, rinazionalizzazione di Poste Italiane – non per principio, ma per dar vita un a impresa pubblica di logistica e puntare sull’e-goverment -, exit tax per le imprese che delocalizzano). Meglio sulla questione sociale e sulla scuola e sulla ricalibratura dell’Irpef, ma la grinta e la radicalità di una visione controcorrente non ha avuto il rilievo che avrebbe dovuto, neppure sul tema ambientale, dove è stata schierata la bravissima Presidente di Legambiente. Sarebbe, tuttavia ingeneroso affermare che LeU abbia fatto una campagna “contro” e, a suo onore, non l’ha fatta identificando nel Pd il nemico (di classe). Dico solo che aveva risorse programmatiche e di prospettiva che ha sfruttato meno del dovuto, quando, invece, gli avrebbero consentito di dare una raffigurazione completa di quale potrebbe essere un programma non neoliberale per questo Paese. I mezzi di comunicazione non hanno aiutato e, purtroppo, è sempre in agguato la trappola del cattivo giornalismo che non sa che proporre terreni di scialbo politicismo ed è pronto a sfruttare anche il minimo abocco su questo terreno.
All’attivo, di Leu vi è una rimobilitazione e galvanizzazione dei militanti, come da tempi non si vedeva che certamente ha contribuito a una ripresa e a una liberazione dello spirito e dei temi della sinistra. Bisogna partire da qui per sperare che domani si affermi effettivamente una cultura solidamente socialista. Certo, dopo le elezioni occorrerà che la dirigenza (di vecchia provenienza o nuova) passi la mano a nuove leve, che sono certo la parte migliore di Leu, competenti, innovative, non tarate da ferite e concezioni nostalgiche della sinistra. E’ necessario. E, occorrerà, pure, arrivare subito a isolare le frange sovraniste che, per quanto sparute, sono dannose per il fianco che aprono a chi non ama LeU e lo voglia fare apparire diverso da quello che è. A mio avviso chi si permette di fare gli auguri e marcare le affinità verso dichiarati e ineffabili candidati anti-euro della Lega dovrà separare i suoi destini il giorno stesso. Per il resto, Leu è un investimento nel futuro della sinistra e, come per tutti gli investimenti, non c’è un successo garantito. Non è l’ultima spiaggia, ma una volta che fallisce, che rimane?