di Alfredo Morganti – 22 febbraio 2018
Avete presente quelli che prima tirano il sasso e poi nascondono la mano? Peggio: che dopo aver tirato il sasso si meravigliano dell’effetto provocato, e magari addossano pure ad altri incolpevoli la responsabilità del casino? Allora andatevi a leggere l’editoriale di Ezio Mauro oggi su ‘Repubblica’. Questa fenomenologia c’è tutta. Scrive che dilaga il teppismo verbale (e quello fisico ultimamente) e che emerge una violenza di fondo, a causa di un ‘vuoto’. Quello lasciato dalla scomparsa dei «grandi pedagoghi di massa che erano i partiti», dall’esaurimento delle culture politiche centenarie, dal ponte che esse assicuravano tra Stato e società, e dalla coscienza che diffondevano del possesso di un tetto comune, al riparo del quale cercare assieme soluzioni alle grandi questioni nazionali. Aggiunge, inoltre, che «con tutte le sue miserie, le disillusioni e anche i tradimenti, la democrazia repubblicana “riconquistata” era qualcosa comunque da difendere, un luogo in cui cercare un riconoscimento reciproco, una tutela e uno scambio».
Ecco, quello che mi fa rabbia è sentire queste filippiche dall’uomo che ha guidato ‘Repubblica’ per decenni, il giornale che per altrettanto tempo ci ha bombardato attorno alla necessità di ‘fare’ il centrosinistra, di andare oltre le spoglie del ‘vecchi’ partiti, di essere moderni, di sceglierci un leader, di mollare le ideologie, di fare le ‘riforme’ elettorali, costituzionali, istituzionali, per alleggerire la nostra democrazia dai pesi morti delle vecchie identità, incrostazioni che impedivano al nostro Paese di librarsi nei cieli europei. Craxi, Pannella, Occhetto, Mario Segni. La Seconda Repubblica, ossia il male, è stata esaltata sin dal suo nascere, e così il suo maggioritario, il suo uninominale, le sue coalizioni, i suoi ‘centri’ uno spostato a destra e uno a sinistra, tanto per dare una parvenza di conflitto, e soddisfare così le ragioni del marketing politico.
Questo signore oggi, nel medesimo editoriale, largheggia anche nel consiglio finale di «riportare la politica al suo posto», per la cui cosa «servono identità forti, marcate, distinte e sicure, che richiamino valori riconoscibili e difendano interessi legittimi specifici, facendo nascere una passione per le “parti” in gioco, e dunque per la contesa democratica». Ma come? Non erano le identità forti ‘ossificate’ nei partiti novecenteschi a ingenerare un conflitto politico troppo accentuato, ideologico, contro la modernizzazione e lo sviluppo? A impedire un clima di concordia nazionale rinfocolato dal ‘bipolarismo’, e dunque la formazione di schieramenti ampi, di coalizione, sostenuti nella loro formazione dalla legge maggioritaria, in competizione mediatica tra loro? Coalizioni dentro le quali quelle identità sono morte, si sono squagliate, ingenerando equivoci nonché l’attuale caos, dentro cui si sono gettati a capofitto i pescecani della politica, gli ambiziosi, i carrieristi e i narcisi appartenenti a una sorta di schieramento ‘unico’? E che la mentalità sia quella, e resti quella, c’è quell’inciso, che ho già citato, che definisce la democrazia repubblicana, pur da tutelare!, colma di miserie, disillusioni e tradimenti.
Ecco la radice ideologica del partito di ‘Repubblica’, l’idea appunto che miserie e tradimenti siano state parte della Prima Repubblica e che la Seconda sarebbe dovuta servire a mondare finalmente la precedente. C’è poco da aprire ai ‘partiti’, alle identità, se poi si resta fermi all’idea delle ‘miserie’, e a un giudizio sulla Prima del tutto tranchant. Quale epoca storica è stata priva di miserie? Quale politica ci ha risparmiato dei tradimenti? Come lo chiamerebbe Mauro lo ‘stai sereno’ ai danni di Letta? Ma sono questi i soli parametri a cui riferirsi in un giudizio? Per poi gettare a mare tutto, ma proprio tutto, abbandonando gli italiani alla mercé degli ‘uomini soli al comando’, delle coalizioni pigliatutto, delle istituzioni svuotate di senso? Troppa ipocrisia nell’editoriale di Mauro. Nessun taglio netto che dica: abbiamo sbagliato anche noi a credere alle leggi maggioritarie, alle coalizioni, agli schieramenti, cedendo all’idea che i partiti fossero il male. Siamo anche noi i padri del ‘vuoto’. Anche se ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti, direbbe De André.
Al contrario, i partiti sono il bene. Sono il ponte, il ‘sistema’ che ricompone lo spazio comune, partecipato, e anche pedagogico, perché no? E sono il bene le istituzioni quando sono davvero rappresentative e non un catino falsato dai premi maggioritari e dai listini bloccati. Il vuoto è figlio della ideologia ventennale che ha preso possesso dell’opinione pubblica. E che ha raccontato il male sotto forma di politica e il bene sotto forma di individui e tecnica di governo. Ma c’è tempo, ancora tempo per rimediare. Nel frattempo, sostenete la forza che vuole e testimonia un’inversione di tendenza, Liberi e Uguali. Da un seme tocca pur ricominciare per far crescere l’albero della sinistra.
1 commento
Mio malgrado devo dare ragione a De Benedetti. Repubblica è diventata house organ di Laterina o giù di lì.