di Alfredo Morganti – 16 luglio 2014
Ieri Riccardo Puglisi sul Corriere si chiedeva perché non fossero stati ancora pubblicati i documenti sulla spending review, in particolare quello sui costi della politica al quale aveva lavorato lui stesso. Puglisi insisteva sul fatto che, in assenza di una pubblicazione, nessun cittadino avrebbe mai potuto sapere che cosa Renzi avesse accolto di quei documenti e che cosa no. Un punto politico, più che altro. Sergio Rizzo oggi, immancabilmente, ha colto invece dell’intervento di ieri solo l’aspetto più demagogico, con il classico attacco alla politica come fonte esagerata (a suo dire) di spesa e di spreco. Se Puglisi tentava un ragionamento politico (condivisibile o meno), Rizzo oggi la butta sull’aritmetica. Sentite questo passaggio. “Compresi gli europarlamentari e gli apparati provinciali, i politici italiani sono in tutto 145.591. Il che la dice lunga sul peso della politica in Italia”. La citazione di Rizzo è esatta, non sto parodiando.
E allora ho fatto una ricerca. Nel 2012 (dato ENPAM) i medici in Italia erano 354.553. Gli avvocati 247.040 (fonte Albo Nazionale). Nel 2014, invece, gli ingegneri raggiungono quota 236.493 (fonte Ordine degli Ingegneri). Nel 2013 c’erano 112 mila giornalisti (fonte FNSI), e poco conta che si tratti, forse, solo di 112.000 tesserini. Le badanti invece, nel 2013, erano addirittura 738mila. Potrei continuare. Ma era solo per dire che tutto questo, sulla base dei parametri rizziani, confermerebbe il ‘peso’ dei medici, degli avvocati, degli ingegneri, dei giornalisti, persino dei badanti in Italia? Ma davvero, allora, i numeri fanno la storia? Certo, ma solo quando misurano le risorse in possesso di qualcuno, di una classe, di un ceto, di una società, di un Paese! Perché è il possesso delle risorse (siano esse umane, energetiche, o capitali in genere) a dare potere, non le proporzioni aritmetiche, non la densità sociale, non l’essere massa. Anzi, è il contrario! Perché in base allo stesso criterio di Rizzo, potremmo dire che il famoso 99% conti più dell’altrettanto famoso 1% di super ricchi. Mentre è convinzione comune che non sia così. E che le disuguaglianze siano una iattura proprio perché registrano una ineguale distribuzione di risorse e fotografano meccanismi di produzione che, ancor prima, condizionano la successiva distribuzione delle risorse in modo ineguale ed iniquo.
Dunque l’aritmetica lasciamola a Pico De Paperis, e affrontiamo le questioni politiche, sociali, culturali con altri occhi, ossia quelli di un analista pronto a posizionarsi almeno un millimetro oltre i numeretti facili facili che Rizzo sventola noiosamente dalle pagine del Corriere. I numeri che dovrebbero scuotere le nostre coscienze non sono quelli che assegnerebbero potere in base alla consistenza numerica, ma quelli che ritraggono lo stato della nostra economia: 3.327.000 lavoratori precari, 2.853.000 disoccupati. Un PIL la cui stima di crescita si affloscia dallo 0,8% allo 0,3%. Un incremento del debito pubblico che soltanto in maggio è di altri 20 miliardi di euro, per tre quarti dovuti all’accrescimento delle disponibilità liquide del Tesoro e solo per un quarto al fabbisogno della p.a. Questo stesso aumento di 20 mld, peraltro, è dovuto per 20,9 miliardi alle amministrazione centrali dello Stato, a fronte persino di una diminuzione di 0,9 miliardi da parte delle amministrazioni locali. Sono cifre che dovrebbero far riflettere, e che certo non possono essere compresse nel giochino che fa Rizzo sul ‘peso’ della politica meramente dedotto dalla somma dei rappresentanti politici esistenti in Italia.
È contro la disfatta sull’occupazione, allora, che debbono affondare le riforme, sotto forma di investimenti pubblici e privati, sotto forma di programmi nazionali e di formazione. I numeri della disoccupazione e della precarietà sono il vero scandalo, non la densità dei ‘politici’, ai quali peraltro dovremmo chiedere capacità, onesta, competenze e merito, certo, ma anche passioni, idealità, disinteresse, cura del bene pubblico. Perché è il cinismo il male, il saliscendi dai carri, non la presenza in sé di consiglieri comunali o parlamentari. Lo ‘scandalo’ sono pure quelle riforme che pretenderebbero di abbattere la disoccupazione approfondendo la precarietà, e che vorrebbero affrontare il tema della mobilità a colpi di esuberi, e non di formazione e poi reimmissione nel ciclo produttivo. Si può discutere sino a domani di riforma elettorale e costituzionale, ma tutto ciò non sposta nemmeno di un micron la questione del lavoro, delle esistenze precarie che coinvolge, la tragedia di chi non ha prospettive e dovrebbe contentarsi di un Senato non elettivo, proporzionale solo in base ai rapporti di forza nei consigli regionali, eletto a liste bloccate e, quindi, svenduto in Europa per ottenere un po’ di considerazione in più. Il proverbio va corretto: la fretta e la demagogia non producono gattini ciechi, ma Paesi senza futuro.