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di Luca Billi – 29 gennaio 2018
L’etimologia della parola candidato è molto semplice, quasi intuitiva, anche se spesso ce ne dimentichiamo. Nell’antica Roma chi si presentava al popolo per essere eletto a una qualche carica indossava una toga bianca, candida appunto, a simboleggiare la propria onestà; per lo stesso motivo, seppur in un’altra epoca, si usava che le spose vestissero di questo verginale colore. Immagino che già gli antichi abitanti dell’Urbe, che ne avevano viste parecchie, fossero piuttosto scettici di fronte a quel nugolo di toghe immacolate che nei giorni precedenti le elezioni passeggiavano per il foro. Per fortuna i tempi sono cambiati e al giorno d’oggi i candidati possono vestirsi – e svestirsi – come vogliono; e possono anche essere palesemente disonesti.
La discussioni e le polemiche di questi giorni intorno alle liste mi hanno fatto tornare in mente una storia accaduta solo ventiquattro fa, nel marzo del 1994, durante la campagna elettorale per le elezioni politiche di quell’anno, le prime con il sistema maggioritario. Noi del Pds avevamo dato vita alla coalizione dei Progressisti, passata alla storia per l’infelice definizione dell’allora segretario Achille Occhetto come la “gioiosa macchina da guerra”. I collegi dell’Emilia-Romagna erano “sicuri”, avrebbe vinto il candidato dei Progressisti chiunque fosse, e quindi furono diversi gli alleati paracadutati qui da ogni parte d’Italia e anche i dirigenti nazionali del nostro partito che preferirono farsi votare qui piuttosto che nelle loro città. Nel collegio 19 della Camera – che comprendeva anche Granarolo – venne candidato Ottaviano Del Turco. Al di là del giudizio sulla persona – che ricordo con piacere – fummo i più sfortunati della provincia, perché sui rapporti tra noi e i socialisti pesava ancora, e molto, Craxi: per noi sarebbe stata una campagna elettorale non delle più semplici. Ricordo le riunioni in sezione, i mugugni dei compagni, ma alla fine il candidato era quello, anzi i compagni di Bologna ci spiegarono che la scelta non era così strana, dal momento che in alcuni comuni importanti del collegio – come Budrio – il Psi era ben radicato e poi c’era anche Molinella, da sempre roccaforte dei “saragattiani”: in queste particolari circostanze Del Turco sarebbe stato il candidato ideale. Ci parve una giustificazione stiracchiata, ma cominciammo a lavorare e fu una bella campagna elettorale. Per inciso ricordo che le maggiori difficoltà in quelle settimane furono causate proprio dai socialisti del nostro territorio, che non amavano quel loro dirigente per come si era opposto a Craxi e che non fecero nulla per facilitarci il lavoro. Peraltro Del Turco ci chiese di visitare molte fabbriche, cosa su cui nutrivamo qualche dubbio visto che per i nostri compagni era quello che aveva spaccato la Cgil sul referendum della scala mobile; ma anche questi incontri andarono bene, perché spesso era lui per primo che affrontava la questione, e non evitava di parlarne: la sua franchezza e la passata comune militanza sindacale furono premiate.
Per me quella fu la prima volta in cui ebbi l’opportunità di uscire dal mio paese per fare politica. Si costituì una sorta di coordinamento con rappresentanti di tutti i comuni e di tutte le forze politiche, affidato dalla Federazione alla capacità e alla pazienza di Paola Bottoni, e io fui indicato come il rappresentante di Granarolo. Oltre a Paola, e ai compagni di Castenaso che conoscevano mio padre e questo a loro bastava per conoscere anche me, conobbi alcuni compagni – voglio ricordare per tutti Augusto Dallacasa – con cui avrei lavorato in molte occasioni negli anni a venire: in qualche caso mi toccò fare la parte del compagno di Bologna che doveva giustificare, in qualche modo più o meno convincente, una candidatura non gradita.
Vincemmo nel collegio 19, vincemmo praticamente in tutti i collegi delle cosiddette “regioni rosse”, ma quelle elezioni le vinse – come noto – Berlusconi e cominciò tutta un’altra storia.
Credo che possiate legittimamente chiedermi perché vi ho parlato di questa storia. Francamente non lo so. Probabilmente solo per il gusto di raccontarvi qualcosa. O forse per ricordare a voi – e anche a me – che non conta tanto il modo di scegliere i candidati – che può essere pessimo, come gli indecorosi spettacoli a cui abbiamo assistito in questi giorni da parte di quasi tutte le forze politiche, ma che non è mai perfetto, perché il sistema perfetto non esiste – e non contano neppure tanto i candidati scelti in questi vari modi – che possono essere pessimi, come gran parte di quelli che ci saranno propinati nelle prossime settimane, e che non saranno mai perfetti, perché anche noi elettori non lo siamo – ma quello che conta davvero è la politica. Allora mi pare che provassimo a farla, poi non la facemmo bene visto quello che è successo in questi ventiquattro anni. Ma almeno possiamo dire di averci provato. Sarebbe bello che qualcuno tornasse a provarci.