di Giulio Cavalli – da L’Espresso 13 luglio 2014
Ci pensavo stamattina mentre viaggiavo verso Livorno per il #politicamp di Civati: il centrosinistra non esiste più. Mi ero convinto che non esistesse per il fallimento dell’alleanza “Italia Bene Comune” ma l’involuzione non è stata così semplice e così banale, no. L’ultima campagna elettorale (quella in cui Bersani “non vinse”, per capirsi) non ha mai voluto veramente staccarsi da quell’amore di montismo sfrenato di Napolitano, di buona parte del PD e di molti nel centrodestra che vedono le larghe intese come soluzione senza alternative per superare la crisi senza scalfire le posizioni consolidate. Macroeconomia come unico termometro sociale e conservazione condita da retorica riformista: se rileggiamo le cronache politiche dall’insediamento di Mario Monti ad oggi il filo rosso dell’azione è questo. L’alleanza con SEL serviva (ed ha funzionato) per poter dire che si era fatto tutto il possibile.
Qualcuno mi dirà che si sapeva che sarebbe finita così, certo, eppure io continuo a vedere senso politico in chi ostinatamente ha provato (e tuttora è al lavoro) perché il risultato fosse diverso: SEL e Civati e i suoi sono rimasti comunque sulle loro posizioni, ancora oggi. Ma il centrosinistra non esiste perché oggi la maggioranza degli eletti nelle fila dei democratici non lo vuole e ha finto (male) di accettarlo in campagna elettorale per chiarirlo subito nella giornata nera dei 101 e Renzi di questa tesi oggi ne è il migliore interprete possibile: conservazione condita da retorica riformista, dicevamo. Appunto.
Il centrosinistra non esiste più perché è un colorito paramento utile a Renzi e i suoi per non perdere il consenso di coloro (e sono tanti) che votano PD credendolo nipote naturale del PC, per coloro che rassicurati dalle alleanze locali credono che le larghe intese nazionali siano un inghippo momentaneo e così votano il centrosinistra per il proprio comune e intanto spediscono Renzi insieme ad Alfano a rappresentarci in Europa. Evviva.
Il centrosinistra non esiste perché se il governo affronta il cammino delle riforme con il centrodestra come unico interlocutore non è centrosinistra. Bene che vada è centrocentrocentrodestra, bene che vada.
Per questo forse conviene cambiare strada per disarmare questo (brutto) inganno elettorale non solo provando a dirlo, ripeterlo sempre, dirlo anche forte se serve ma soprattutto perseguendo un’attività politica e parlamentare “altra”: portare al voto in Parlamento le proposte di legge sul reddito minimo, rilanciare l’uguaglianza sociale, tassare la speculazione per rilanciare il lavoro e molto altro, poi osservare chi vota sì e il centrosinistra è lì. Uscire da questa ossessione di contarsi piuttosto che contare, non accontentarsi di vedere sullo stesso palco Landini insieme a Vendola e Civati e tutti gli altri ma pretendere di vederli coesi in Parlamento nelle proposte e nelle votazioni, fissare pochi chiari obiettivi da perseguire insieme dappertutto, fare una rete interpartitica che poi se conta (e conterebbe) si conterà. Fare politica, insomma.