di Roberto Farneti – 8 novembre 2017
Commento critico all’intervento di Tomaso Montanari oggi sull’Huffington post e riportato su Nuovatlantide
Montanari non lo reggo. Quel suo linguaggio sessantottino, quel suo modo ingenuo, radicale e utopistico di intendere la politica mi fanno tornare alla mente quel monologo di Nanni Moretti nel film Palombella Rossa: «Mi ricordo il movimento degli indiani cicorioni. Mi dissero che dovevo requisire due aerei per portare il loro movimento in Perù alla “festa del sole”. Poi, dovevo convincere il partito a far distruggere l’Altare della patria per far posto a una comunità alla quale avrebbero aderito tutti gli animali e le piante della zona. Avrebbero aderito spontaneamente…». Purtroppo la politica è un’altra cosa e soprattutto siamo nel 2017. Montanari va ringraziato per il lavoro svolto in questi mesi insieme ad Anna Falcone, prima e dopo l’Assemblea del Brancaccio. Poi però deve anche decidersi: da un lato ci ricorda che l’appello del Brancaccio era “per una lista unica alla sinistra del Pd”, ammette che per raggiungere questo risultato “non possiamo poi rifiutarci di trattare”, salvo poi precisare che “se il risultato non sarà innovativo, non lo legittimeremo, e anzi scenderemo dall’autobus, anche fragorosamente”.
Mi pare un approccio sbagliato e contraddittorio: se si sceglie il metodo democratico, lo si accetta fino in fondo, non solo se la maggioranza ti dà ragione (senza contare quel “non lo legittimeremo”, come se la legittimazione di una forza politica venisse da Montanari e non dagli elettori. Francamente, nun se po’ senti’). La dico, con consapevole autoironia, alla Fassino: se Montanari è convinto che, per la rinascita della sinistra e per riconquistare i delusi, sia fondamentale la “purezza” del progetto, allora si faccia una lista per conto proprio e vediamo quanti voti prende. Se invece concorda sul fatto che una sinistra divisa è destinata a perdere, allora la smetta di dettare condizioni e soprattutto abbia più rispetto per i suoi compagni di viaggio. E prenda atto del fatto che è Rifondazione che si autoesclude, nel momento in cui pone veti inaccettabili.
Montanari non ha tutti i torti quando afferma che la credibilità di un progetto passa anche attraverso la proposizione di volti nuovi, però non è che puoi pensare di fare una lista unica dicendo a Grasso “non sei nessuno” o processando D’Alema, Bersani e lo stesso Civati per il loro passato piddino. Ci vuole rispetto prima di tutto, in particolare verso chi, con quel passato, ha dimostrato di saperci fare i conti, facendo autocritica. E se le assemblee decidessero che il leader “capace di coordinare senza comandare”, come lo vorrebbe Montanari, è proprio Grasso? Che succede? Montanari si porta via il pallone?
Suvvia, siamo seri. Al di là della retorica assembleare e della demagogia, è evidente che le assemblee voteranno documenti, candidati e leader frutto di un accordo politico. Non potrebbe essere altrimenti, dato che la sinistra non esiste ancora: l’alternativa è la corsa al tesseramento fatta all’ultimo minuto e in modo non trasparente. D’altra parte, non si può mica far decidere se è meglio Grasso o Farneti (sono io) dal primo che passa di là e magari sgancia due euro, come accade per le primarie del Pd! Ci vuole un po’ più di concretezza. E soprattutto chiarezza sulla strategia: Montanari sembra avere in mente una forza politica populista di sinistra, tipo Podemos, di rottura con la sinistra tradizionale e in grado di canalizzare la rabbia contro il sistema, una forza rivolta soprattutto a chi a votare non ci va più. Mi spiace, ma arriviamo tardi: quello spazio politico ormai è occupato dal M5S, ci piaccia o no. Il resto viene di conseguenza. Mi scuso per la lunghezza.
1 commento
Fuori uno e vai