La frantumaglia politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 27 ottobre 2017

Il sistema politico italiano, come vada vada, è terremotato. E ancor più lo sarà, in termini imprevedibili, dopo il confronto elettorale. Il PD stesso chissà che volto avrà l’indomani del voto. Le urne saranno davvero uno spartiacque, perché stavolta anche le coalizioni pre-voto sembrano più che altro un escamotage, dei rassemblement appena utili a giocarsela nell’uninominale. Tuttavia, non avendo esse un precipuo carattere politico, non sappiamo ancora come verrà effettivamente speso il capitale di consenso e di seggi raccolto. L’ipotesi più seria è la realizzazione di larghe intese, con un asse FI-PD al governo, che preveda, nel caso, la rottura della possibile alleanza elettorale con la Lega, oppure un crack interno alla Lega stessa tra salviniani e moderati. La cosa evidente è che siamo passati dalla ferrea stabilità della Prima Repubblica (non vi fate ingannare dall’avvicendamento di capi del governo: vi siete già dimenticati di quella che chiamavamo la conventio ad excludendum verso il PCI?), alla polarizzazione con coalizioni forzate della Seconda Repubblica, al caos totale di questa Seconda/Terza, indecisi anche nella scelta del numero d’ordine: ancora Seconda? O già Terza?

Se lo scopo era quello di provocare un parapiglia, e su di esso costruire un esecutivo populista di destra o sinistra poco importa, ebbene questo tentativo è riuscito appieno. Sul deserto delle istituzioni e le macerie del Parlamento, ci avviamo verso un regime dove un esecutivo sorretto da maggioranze né politiche né ideologiche ma di comodo, al più tecniche, tenta di parlare direttamente al ‘Popolo’, fuori di ogni mediazione istituzionale. Il fenomeno è così descrivibile: l’establishment cerca di cortocircuitare con la ‘gente’, presentandosi come anti-establishment. Ecco il miracolo che si sta tentando, inventandosi la più grande rivoluzione passiva che si sia mai vista in Occidente. E la sinistra? Ha molto spazio davanti a sé, purché non si releghi sin dapprincipio al ruolo di testimone. C’è uno spazio di movimento in alto come in basso, ci sono fratture, faglie, contraddizioni che sarebbe da sciocchi negare. La forza non è tanta, ma facendo leva sulle debolezze altrui si potrebbe senz’altro crescere. Per collocarci magari al centro di un progetto di trasformazione di cui oggi abbiamo assoluta necessità. Non solo noi, ma tutto il Paese.

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