Fonte: huffingtonpost
di Alessandro De Angelis – 28 settembre 2017
Il leader vero, sognato e atteso, si chiama Piero Grasso. Sorridente, look casual, camicia sbottonata senza cravatta, parla un linguaggio semplice, diretto. Valori, ideali, legalità, cita Falcone e Borsellino, ripercorre le battaglie antimafia, ricorda Gerardo Chiaromonte: “Io – dice – mi sento un ragazzo di sinistra e chiedo alla sinistra di non fare passi indietro sui principi. Sui principi. Non possiamo metterli da parte quando chiediamo i voti”. Il riferimento è allo ius soli, ma non solo. Anche alla legge elettorale, sulla quale difende la sovranità del Parlamento a esprimersi e a cambiarla. Il “ragazzo di sinistra”, che ricorda l’entusiasmo di quando ha accettato la candidatura, non si sbilancia sul suo futuro e non lo farà finché resterà, nel ruolo di arbitro, sullo scranno più alto di Palazzo Madama. Ma il corteggiamento verso di lui è più di una suggestione.
Napoli, festa di Mdp nel bellissimo chiostro del convento di Santa Chiara, cuore antico di Napoli. Pierluigi Bersani è seduto in prima fila, durante il suo intervento. Annuisce. Quando è la volta di Bersani sul palco, il presidente del Senato resta ad ascoltarlo fino alla fine, segno di un’attenzione ma anche di un rapporto di stima mai incrinatosi sin dall’inizio di questa legislatura in cui, invece, la sua conduzione dell’Aula ha parecchio logorato quello con lo stato maggiore del Pd renziano. I due, a inizio pomeriggio, si sono scambiati due chiacchiere in un bar nella vicina piazza del Gesù, ostentando una certa sintonia.
Il vero “piano a”, quantomeno nei desideri, porta a Grasso – non a Pisapia – soprattutto ora che il suo rifiuto di candidarsi in Sicilia ha scavato un nuovo solco di incomprensione col Pd renziano. Un volto istituzionale, di “governo” e anche affidabile, come frontman di un listone che unisca tutto il mondo a sinistra del Pd, che funziona proprio perché è estraneo a una storia di scissioni, incomprensioni, rancori personali che segnano il rapporto tra il gruppo di Pisapia e gli ex compagni di Sinistra Italiana. E capace di intercettare anche un mondo “di governo” che non crede più nel Pd.
Tra gli stand l’insofferenza verso Giuliano Pisapia, che dovrebbe arrivare domenica, è palpabile. Vissuto come un novello Godot mai arrivato col cuore, ambiguo sul suo rapporto col Pd e con Renzi. Rosario, militante di Napoli, ex Pd: “Io non lo capisco, non capisco cosa vuole, non capisco se ci crede, se si candida. In Europa la sinistra è Corbyn, la Linke, e qui stiamo ancora a cincischiare con Renzi”. Un altro, Nicola, ancora più schietto: “Se non dice una parola definitiva qua domenica gli applausi non se li prende”. E quando sul palco arriva a Bersani la domanda sull’ambiguità dell’ex sindaco di Milano, scatta l’applauso. Questa storia dell’attesa di Pisapia pare già aver logorato la sua leadership, mentre arrivano voci che una parte dei suoi, come Tabacci e Angelo Sanza, non proprio il nuovo che avanza, spingono a “fare l’accordo col Pd se passa il Rosatellum”.
La gente che c’è a Napoli, uscita dal Pd, non vuole sangue. Chiede parole chiare, meno fumi politicisti, un’idea che motivi di più dopo l’uscita dalla casa madre, perché se no “tanto valeva rimanere dentro”. Rispettosa ma fredda nei confronti di Franceschini e Delrio, la cui presenza non è un fatto banale. E anzi non è stata affatto gradita al Nazareno. Il ministro della Cultura parla, in modo un po’ democristiano, di un “dialogo doveroso e necessario con tutte le forze del centrosinistra”. Delrio, senza mai nominarla, contraddice la Boschi sullo ius soli invitando a riaprire il discorso in Parlamento dopo la manovra. Però la sensazione è che la connessione sentimentale non scatta. Scatta col presidente del Senato che, senza mai strabordare dal suo ruolo, fa capire eccome come la pensa un po’ su tutto. Anche sulla legge elettorale: “Rosatellum? Ma perché dobbiamo rovinare il latino che è una bella lingua…”.
C’è un doppio piano, in questa prima festa nazionale di Mdp. Un popolo, stufo del politicismo, preoccupato da una campagna elettorale difficile, che giudica incomprensibile questo percorso accidentato per cui ancora non si sa se e quando si farà il nuovo soggetto unitario a sinistra, se e quando si faranno le primarie, il nome, il simbolo, perché “con Pisapia siamo alle solite”. E c’è la prudenza di un intero gruppo dirigente, cresciuto nei partitoni di massa, attento a non apparire come dei “gruppettari” settari, con Bersani che allontana il sospetto di una rottura sulla manovra, rassicurando sull’atteggiamento parlamentare di Mdp. E continua a difendere l’operazione con Campo Progressista, pur senza tanto entusiasmo. Questa volta Bersani, dal palco, non dice “Pisapia è il leader”, ma si concentra assai di più sui valori del collettivo.
Pare che il 19 novembre ci sarà il voto sulla famosa assemblea dei delegati nel nuovo soggetto. Chissà, la questione della leadership è tutt’altro che chiusa. In parecchi ricordano il precedente Monti: “Scese in campo due mesi prima del voto e prese il dieci per cento. Se Grasso decide il minuto dopo che si sciolgono le Camere… I giochi veri si faranno allora”. Nel frattempo si attende “l’ineffabile avvocato” come lo chiama D’Alema. Alle 21, Arturo Scotto beve una birra con qualche compagno: “Voi non potete capire i messaggi che mi stanno arrivando. Guardate qua. Dicono tutti: mollate Pisapia e scegliamo Grasso. Ha un’altra spinta”. Il ragazzo di sinistra alimenta già una nuova attesa. Più carica di speranze.