di Celeste Ingrao – 22 settembre 2017
Tomaso Montanari ha scritto giovedì un articolo sull’Huffington Post in cui di primo acchito qualsiasi persona di sinistra tende a identificarsi. Come non essere d’accordo sul fatto che la sinistra debba nascere dal basso e non in ristretti conclave? Come non plaudire a una sinistra che nasca nelle piazze e non intorno a un tavolo?
Se però ci si ferma un attimo a ragionare, a me pare che questo sprezzo a priori dei “tavoli” sia sbagliato e pericoloso.
Chiunque abbia un minimo di esperienza politica sa che organizzare un’assemblea che funzioni – tanto più se si tratta di un’assemblea nazionale chiamata a deliberare – è cosa assai complessa. Bisogna innanzitutto decidere chi ha i titoli per partecipare e votare (e, ancora prima, per convocarla); chi e come la presiede; quali documenti vengono preparati per la discussione e da chi; su cosa e con che modalità si vota; ecc. ecc. ecc. Se non si sciolgono questi nodi parlare di “una grande assemblea nazionale, eletta … da tutti i cittadini … che si riconoscano in questo orizzonte comune” è una bella affermazione che – purtroppo – non significa nulla.
E solo dei gruppi dirigenti in qualche modo riconosciuti e visibili possono farsi carico di sciogliere questi nodi. L’assemblea può, anzi deve, decidere sulla o sulle leadership, ma potrà assumere questa e altre decisioni solo se a monte ci saranno delle organizzazioni e, sì, anche dei dirigenti un minimo autorevoli che la legittimano.
Va benissimo, allora, che si svolgano in ogni parte di Italia incontri, riunioni, dibattiti, il più possibile aperti a tutti, in cui si confrontano le idee, si delineano obiettivi e si costruiscono ipotesi di programma. Solo con un retroterra di questo tipo è possibile costruire una soggettività, e quindi una lista elettorale, in cui tante e tanti possano riconoscersi. Solo coinvolgendo le persone già nella fase di costruzione sarà possibile riattivare entusiasmi e voglia di partecipare.
Ma a un certo punto bisognerà pur tirare le fila di questo lavoro. Bisognerà che ci siano dei signori (e sperabilmente anche un buon numero di signore) che dicano: ecco, ci siamo, per mettere tutta questa bella roba insieme, a partire da oggi facciamo così e così. E siccome questi signori e signore hanno storie, culture politiche e appartenenze diverse, bisognerà che si parlino, si incontrino più volte, e cerchino dei possibili punti di convergenza e di mediazione, facendo anche – ciascuno – dei compromessi in nome del raggiungimento di un obiettivo condiviso. Verrebbe naturale pensare che ciò avvenga comodamente seduti intorno a un tavolo, ma naturalmente non è “il tavolo” che conta. Ciò che conta è la volontà politica comune. E siccome, benché mal ridotti, non partiamo proprio dall’anno zero, viene naturale pensare che a questo tavolo, fisico o virtuale che sia, si dovranno necessariamente sedere i personaggi di cui si parla sui giornali. E quindi Bersani, D’Alema, Fratoianni, Civati, Montanari, Falcone, Pisapia se forse vorrà, Acerbo se, non si sa mai, dovesse volere. E insieme a loro alcuni dei tanti (o pochi) che li seguono. Non perché spetti loro un diritto divino di primogenitura, ma semplicemente perché, allo stato, questi, ci piaccia o no, sono i dirigenti di cui disponiamo.
E’ vecchia politica? Può darsi. Ma le elezioni sono fra qualche mese. Pensare che in questi pochi mesi possa nascere, con un percorso tutto da costruire e da inventare, qualcosa di radicalmente nuovo, senza che nel paese si avvertano i segni di grandi lotte e sommovimenti sociali, mi sembra illusorio. L’alternativa a questa “vecchia politica” mi pare solo quella di “saltare il turno” e lavorare per un futuro non proprio prossimo. Prospettiva assolutamente legittima ma che, nel caso, va apertamente dichiarata (personalmente penso che sia meglio dedicarsi a cercare di rendere un po’ meno brutta e vecchia questa brutta vecchia politica, ma forse sono condizionata dalla mia età avanzata, ormai insofferente agli orizzonti troppo lontani).
Queste cose che qui accenno le sanno benissimo, molto meglio di me, tutti i soggetti interessati. Prima di tutto politici di lunga data come un D’Alema e un Bersani. Se il “tavolo” non è stato ancora convocato, se si indugia, è perché ci sono dei nodi politici che non sono stati sciolti e che non si ha il coraggio di affrontare apertamente. Si aspetta. La Sicilia, la legge elettorale, la finanziaria … E intanto vanno avanti percorsi paralleli che si incrociano nelle feste estive e nei dibattiti, ma non riescono a diventare decisione comune. Ecco io penso che questo sia il vero pericolo. Indugiare in attesa di non si sa cosa, perdersi in lotte di primogenitura, restare ciascuno attaccato alla propria idea, alle proprie pregiudiziali. E non accorgersi che nel frattempo non è la aspettativa che cresce, ma la delusione e lo sconforto. Con il rischio, che poi alla fine, quando le elezioni saranno alle porte, ci si riduca, per disperazione, a fare un accordicchio di basso livello. Alla faccia di tutte le costruzioni dal basso.
6 commenti
Credo che Celeste Ingrao, abbia perfettamente ragione. Le cose dal basso nascono quando ci sono delle rivoluzioni, che ribaltano il tavolo, e al comando si pone il rivoluzionario che ha organizzato la rivoluzione e coalizzato il popolo in rivolta. In democrazia, credo che dal basso debbano essere raccolte le idee e i valori, ma l’organizzazione deve consolidare coloro che vengono eletti dal basso, per rappresentarci. Dal basso si finisce per nominare persone che neppure si conoscono. Io condivido totalmente l’operato di Montanari e Falcone e riserverei per loro una posizione importante in un quadro dirigenziale, ma non trascurerei affatto uomini politici con esperienza di partito e di politica, di cui non si può fare a meno se non si vuole fare i grillini. Certo personaggi come D’Alema, Bersani e altri della stessa generazione, non li chiamerei in causa per governare direttamente, perchè li vedo anche un pò stanchi, ma sento dai loro discorsi, molte cose buone che andrebbero prese in considerazione come consigli di saggi e applicate in un contesto come quello attuale. La rottamazione, non mi sembra proprio che abbia giovato a chi l’ha fatta e chi ha subito le conseguenze è sempre il popolo italiano. I politici veterani sono delle bandiere e nel corso della loro carriera politica hanno assimilato esperienze ed errori che possono sicuramente essere utili a chi verrà ora per non ripeterli.
ottima e costruttiva critica.
Concordo; come concordo con Montanari. Sono un semplice elettore in cerca di una proposta politica, programmatica in cui far confluire i miei ” istinti” di sinistra. E d’istinto dico che non percepisco nessuna ricerca sociale, culturale cui ancorare un progetto politico.Forse sono ottuso o disattento ma non ho letto, sentito niente che vada molto oltre a frasi fatte o formule di schieramento a prescindere. Sento la mancanza di un leader? NO! Non percepisco personalità che si spendino in una proposizione ideal-programmatica. Piccolo esempio, M.Prospero recentemente terminava un suo scritto con una “piccola” riflessione sulla necessità di un “nuovo pensiero”. Non credo che Prospero per nuovo intenda nuovismo o superamento del pensiero di sinistra. Non ho letto, mia cecità, non sentito per mia sordità, nessun commento “autorevolmente approfondito”. Il 4 dicembre è passato il jobs act pure; l’insufficienza delle istituzioni e dello stato sono ancora qui pur avendo evitato il loro tracollo; i licenziamenti indiscriminati vanno avanti, l’economia non decolla pur rullando sulla stessa pista e destinazione di sempre…posso continuare con il Mediterraneo che tutto inghiotte come con il clima e l’ambiente. Ecco, sono ottuso, tra un caffè preso in piazza aspetto un pensiero da condividere.
Condivido buona parte dell’intervento e sulla necessità di realismo politico, ma i comitati per il No al referendum con Anna Falcone e Montanari protagonisti sono stati l’unica novità positiva di questi anni di tristezza politica
Benedetta Celeste signora, il suo commento alla lettera di Montanari può sembrare ad una prima lettura pieno di buon senso, poi facendo un’analisi un pò meno frettolosa ci si sofferma a ragionare su una serie di frasi che svelano qualche falla, lei scrive : “…. non partiamo proprio dall’anno zero, viene naturale pensare che a
questo tavolo, fisico o virtuale che sia, si dovranno necessariamente
sedere i personaggi di cui si parla sui giornali. E quindi Bersani,
D’Alema, Fratoianni, Civati, Montanari, Falcone, Pisapia se forse vorrà,
Acerbo se, non si sa mai, dovesse volere. ….”, e a questo punto le chiederei : ma lei è proprio sicura che a quei tavoli ci si debbano sedere i personaggi…….?, no perchè due quesiti a questo riguardo mi tormentano 1) dobbiamo proprio affidare ai giornali e a ciò che scrivono di questo o quel personaggio la garanzia di autorevolezza e competenza a discutere nelle “segrete stanze”? Lei ha verificato che spesso i giornali abbiano anticipato il valore reale di Tizio o Caio? (a meno che non si tratti di soggetti tipo Berlusconi che è proprietario di media, in tal caso sono proprio TV e giornali che creano un “personaggio” e che personaggio )!, a me non pare; nella maggior parte dei casi i giornali, Celeste signora, come diceva Scalfari creano essi stessi ciò a cui noi dobbiamo, possiamo o vogliamo credere, procedono su percorsi e verso obiettivi a noi molto spesso, più o meno, sconosciuti; ma queste cose lei le conosce benissimo. Il secondo quesito che mi arrovella è molto più sintetico 2) ma a lei risulta chiaro che dal Brancaccio ( 2000 dentro e 2000 fuori ) sia scaturita una volontà, precisa, inconfutabile, ferma, di costruire una nuova soggettività che si vuole di “sinistra” e non una riedizione, magari riveduta e corretta, di “centrosinistra”? Se fosse positiva la sua risposta, vuole spiegarmi cosa potrebbero o dovrebbero dirci ancora personaggi come Pisapia, D’Alema o Bersani su tale argomento? è proprio questo sistema di dialogo tra linguaggi completamente diversi la causa, in passato ed oggi, che induce a ” non accorgersi che nel frattempo non è la aspettativa che cresce, ma
la delusione e lo sconforto. Con il rischio, che poi alla fine, quando
le elezioni saranno alle porte, ci si riduca, per disperazione, a fare
un accordicchio di basso livello. Alla faccia di tutte le costruzioni
dal basso.”
La retorica è tradizionalmente intesa come l’arte del dire, del parlare, e più
specificatamente del persuadere con le parole. L’arte retorica già nella Magna
Grecia era così importante che vi ci si dedicava per tredici anni.
Attenzione però, perché la retorica venne concepita come un’arte capace di sedurre ed indurre dalla propria parte vasti pubblici, non sempre sostenendo le proprie ragioni con fini ragionamenti, ma piuttosto con esempi clamorosi, frasi ad
effetto…tutti i mezzi erano leciti e la verità o la presunzione di verità del
proprio discorso era cosa del tutto trascurabile. Insomma, i retori sofisti
erano dei veri e propri “professionisti della parola”, nel V secolo a.C.
Oggi, cari amici, vi sembrano che le cose siano mutate? Ho timore di no e penso che, oggi,i professionisti della parola si chiamino politici.
E hanno imparato bene la lezione dei maestri greci: non il vero, né il giusto si deve
difendere con la propria parola, ma il verosimile o meglio ancora l’utile.
Capisco, vi passano davanti agli occhi, leggendo queste parole molti dei nostri politici, avrete pensato a quelli di oggi, a quelli del passato, a quelli che hanno usato la retorica come scienza serva della verità e a quelli che hanno ingannato le masse portando intere nazioni a buttarsi in guerre assurde…
Oggi, i politici hanno dei team di professionisti che ne studiano il look, la posizione
da tenere in pubblico, la pronuncia, danno loro gli strumenti per gestire la
forza dei loro discorsi, gli escamotage per renderli più credibili, più vicini
alla gente. Personale addetto alla formulazione stessa dei discorsi. E chi non
ha questi professionisti, chi non li può o non li vuole pagare, si riconosce.
Siamo talmente abituati al rispetto della forma, che la sostanza passa in secondo piano. Se un politico durante un discorso ha la cravatta storta è possibile che sia quel
particolare a catturare la nostra attenzione e a fare notizia, piuttosto che
quello che ha detto.
La retorica però, cela anche un altro grande aspetto. Il discorso retorico deve concludersi con un comando, un’azione, un gesto che viene richiesto. Per esempio: “votami”,oppure “iscriviti”…
Allora, se volete mantenere il vostro libero arbitrio in uno stadio da esseri umani, se
non vi piace che qualcuno che non sia un romanziere famoso o un bravo regista
possa portarvi a pensare o a fare cose di cui non sareste d’accordo, guardatevi
da coloro che: utilizzano frasi ad effetto, esempi eclatanti, aneddoti ai
limiti della realtà, battute o gag, ricorrono ad artifici dialettici quando gli
avversari chiedono loro di dare spiegazioni circa il loro operato, o sono
incapaci di riconoscere gli errori o ancora propongono un approccio troppo
emozionale alla politica…
E, soprattutto, valutate. Valutate e confrontate a mente fredda, a qualche giorno
di distanza dal discorso, alla luce dell’operato che ha condotto sin là quel
tal politico. Esercitate il vostro potere discrezionale. Che sia anche questo
un esercizio retorico?!
PAROLAI
di Fausto Corsetti