Neoaristocrazia tecno-finanziaria e Terzo stato globalizzato

per ppcaserta
Autore originale del testo: Pier Paolo Caserta

di Pier Paolo Caserta – 26 giugno 2017

Il dominio di classe ha raggiunto il culmine della sua efficacia da quando ci hanno convinto che le classi sociali non esistono più. Certo, non esiste più la borghesia capitalistica dell’Ottocento. Anche il proletariato non ha più la stessa fisionomia che aveva allora, e sono mutati i luoghi del conflitto tra capitale e lavoro. Questo non significa che non esista più il conflitto sociale, come da più parti si vuole far credere. Significa, appunto, che si è spostato altrove. Questa dell’egemonia neoliberale è l’epoca del dominio di una neo-aristocrazia finanziaria (allo stesso tempo post-borghese e iper-borghese) che si erge dinanzi ad una sorta di Terzo stato globalizzato che comprende ormai anche il ceto medio, ma che naturalmente ad oggi è lontanissimo dall’aver acquisito una coscienza di classe.

La classe sociale oggi egemone è una neoaristocrazia tecno-finanziaria che ha addomesticato la politica, rendendola subalterna, svuotandola di autonomia, riducendola alla governance. È riuscita ad installare nei sistemi politici nazionali partiti di destra e di pseudo-sinistra (socialdemocratici di nome ma socio-liberisti di fatto, Pd ecc.) del tutto indistinguibili nei programmi, docili ai dogmi nel neoliberismo e dell’austerity dalle presunte virtù moralizzatrici, sua ultima versione in ordine di tempo; è riuscita ad imporre politiche anti-sociali che hanno come scopo il trasferimento di ricchezza dalla società ai mercati. Il nuovo conflitto (nuovo rispetto alle forme di conflittualità sociale tipiche delle società industriali) vede, di fronte a questa neo-aristocrazia, una grande massa di persone che comprende sia le classi meno abbienti (inclusi gli immigrati) che i ceti medi impoveriti dalle stesse politiche economiche di austerity. Questi diversi segmenti sociali, però, quasi mai hanno la chiara percezione di trovarsi dalla stessa parte nello scontro in corso.

Il mercato, con le infinite e illusorie possibilità che offre all’individuo sempre più atomizzato, è il modo specifico per disinnescare la percezione del conflitto sociale.  Da qui a spiegare perché i Macron non sono la risposta ai populismi di destra ma il loro comburente non c’è che un passo, e anche breve. L’egemonia neoliberale ha un bisogno fondamentale di questi politici dell’ottimismo (in realtà poco politici e molto tecnici), indispensabili per tenere vive le aspirazioni di ascesa sociale del ceto medio impoverito proprio mentre si continuano le politiche atte ad impoverirlo. Quello di Macron è un progetto politico a due facce: start-up nation da un lato, prosecuzione delle politiche anti-sociali dall’altro.

Questi politicanti verniciati a nuovo, che appiaono sulla scena al momento giusto quando le vecchie facce e le vecchie insegne sono logore e screditate, cercano il consenso necessario a proseguire le politiche di macelleria sociale riconnettendo le aspirazioni di questo ceto medio esangue con i valori della nuova Nobiltà proprio nello stesso momento in cui la ricchezza viene trasferita dal primo alla seconda; dalla società ai mercati. Si cerca in ogni modo di continuare a dispensare al ceto medio il miraggio di un’ascesa sociale che gli viene invece preclusa. Si tolgono diritti, si toglie potere d’acquisto, ma si reitera questa falsa promessa, nella quale svolge un ruolo essenziale il mercato, e in particolare la forma finale che esso assume nell’epoca del dominio della tecnica. Nel Terzo stato globalizzato, proprio come in quello di Antico regime, c’è un po’ di tutto: dai migranti al ceto medio. Il compito di questi politicanti diventa allora quello di evitare che il Terzo stato globale divenga consapevole di essere una classe, di stare dalla stessa parte. Per questa via si capisce anche come il razzismo, condannato a parole dalle posizioni liberal-progressiste care all’élite tecno-finanziaria e ai suoi esecutori politici, sia in realtà il benvenuto, perché trasla la percezione del conflitto dalla dimensione sociale a quella etnico-culturale (approfondendo il ragionamento, verrebbero da qui spunti per riflettere sul fatto che questi politicanti non hanno un reale interesse ad affrontare le problematiche legate all’immigrazione trovando più funzionale tenere in piedi la percezione dell’”invasione”). Purtroppo gli strumenti atti ad evitare il sorgere di una coscienza di classe si dimostrano molto efficaci (e questa consapevolezza all’orizzonte non si intravvede), per esempio:  a) attraverso una adeguata miscela di paternalismo, demagogia e politiche del lavoro divisive e lesive dei diritti si alimenta l’invidia sociale tra diverse categorie di lavoratori; b) si predispone tutto per creare  la percezione di una unità fittizia che non è fornita dalla coscienza di classe bensì dalla possibilità di accedere alla tecnologia di base che distrae, massifica, omologa; c) di fatto si incoraggia la guerra tra poveri, che diventa l’ultima valvola di sfogo delle politiche antisociali che distruggono i salari, il lavoro, il potere d’acquisto, la sicurezza. Si condanna a parole il razzismo palese dell’estrema destra, si usa il lessico del falso progressismo al quale sono sensibili anche larghi segmenti di quegli stessi ceti medi, ma si perseguono politiche classiste che sono l’altro lato del razzismo. E non a caso si continua ad andare alla guerra, in nome della pretestuosa difesa neo-illuministica dei sacri valori dell’Occidente sotto attacco.

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