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di Luca Billi, 26 giugno 2017
Ardente è la traduzione della parola araba ramadam e infatti il ramadam è il mese caldo per eccellenza – e il giugno di quest’anno è stato decisamente ardente – il mese in cui le persone che professano la religione musulmana devono astenersi durante il giorno dal bere, dal mangiare, dal fumare, dal fare l’amore. Abbiamo anche noi imparato a sapere cos’è il ramadam, perché molte persone che vivono qui, insieme a noi, praticano questa lunga e difficile forma di devozione religiosa, che a noi sembra estrema, al limite del fanatismo, eppure che loro accettano con tenacia e passione.
Il vantaggio di essere atei – oltre al fatto che possiamo mangiare quello che vogliamo, quando vogliamo, anche la carne il venerdì – è soprattutto quello di provare a capire cosa le religioni, tutte le religioni, possano insegnarci. Come la morte di un innocente in croce, anche se non crediamo che quell’uomo sia il figlio di dio, ci interroga sul senso di quella morte, sull’ingiustizia che c’è nel mondo e sulla nostra volontà di lottare affinché sia sconfitta quell’ingiustizia, anche qui nella Gerusalemme terrena, perché di quello che avverrà in quella celeste nulla possiamo sapere e fare, così quelle privazioni autoimposte ci ricordano che nella vita dobbiamo imporci, tutti, una qualche forma di disciplina, se vogliamo rendere migliori noi stessi e il mondo in cui viviamo.
Poi il ramadam, come i digiuni prescritti dalla religione cristiana – per quanto poco frequentati dai cristiani – dovrebbero anche ricordarci un tempo, che ora a noi pare lontanissimo, in cui mangiare o non mangiare non dipendeva tanto dall’osservanza di precetti religiosi, ma dalla povertà delle nostre famiglie. Per quelle dei miei genitori – e immagino che anche molti di voi condividano questa esperienza – mangiare “di magro” era una necessità dettata dalla miseria, e mangiare la carne era un lusso, che potevi permetterti solo alcuni giorni, che appunto diventavano di festa.
Ora che noi possiamo mangiare la carne anche tutti i giorni – anche se non ci fa bene e anzi ci imponiamo bizzarre diete per diventare più magri e più belli – forse fatichiamo a capire quel mondo lì. E magari ricordarlo rispettando alcune consuetudini familiari – ad esempio mangiare di magro il venerdì – non ci fa poi così male, indipendentemente dal fatto che crediamo o no, indipendentemente se vogliamo dimagrire o no. E anche per tanti che oggi si sottopongono alle rigide restrizioni imposte dal ramadam quel sacrificio ricorda il tempo, non troppo lontano, quando mangiare e bere era un lusso, quando mangiare e bere durante le assolate ore del giorno – e non c’erano certo i condizionatori – poteva far male.
E la festa che ogni sera per un mese i nostri vicini musulmani fanno di fronte alle loro tavole imbandite ricorda anche a noi, atei, cristiani, variamente credenti, il valore del cibo, che siamo ormai così abituati a sprecare. Per mia madre risulta semplicemente inconcepibile che qualcuno possa buttare via il pane, quasi come l’arrivo degli alieni, semplicemente perché era stata educata così e così ha insegnato a me. Eppure ogni giorno in Italia buttiamo 13mila quintali di pane. E allora forse imporci una qualche disciplina nel modo in cui consumiamo non è poi così sbagliato.
Non so se si dice buon ramadam, come diciamo buon natale, ma credo dovremmo cominciare ad augurarcelo.