Qualche considerazione post-corbyniana

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 9 giugno 2017

Uno. L’affermazione improvvida per cui il sistema maggioritario eviti le larghe intese è smentita dai fatti. In GB c’è un maggioritario assoluto ma non c’è alcun partito che abbia una maggioranza tale da potersi ritenere ‘padrone’ del governo. Dovranno costruire delle alleanze in Parlamento, è a me questa pare persino una buona notizia.

Due. La sinistra (una sinistra riformista, mica un manipolo di cosacchi) può essere competitiva a livello elettorale semplicemente essendo se stessa, semplicemente ponendo come temi del proprio programma il lavoro, l’uguaglianza sociale, il welfare e i diritti. Senza inventarsi nulla di estraneo alla propria identità (per quanto storicamente mobile) e senza rincorrere moderati e conservatori sul loro terreno.

Tre. Vedrete, anche Renzi adesso diventerà corbyniano. Se fosse vissuto nel 1917 sarebbe stato una guardia rossa. Se potesse, diverrebbe juventino, anzi del Real Madrid. Primum vincere, gli ideali e le identità sono solo vecchie zavorre. Da rottamare assieme agli uomini che se ne sono fatti portatori.

Quattro. Scordatevi un Corbyn italiano. Primo perché saremmo sulla stessa linea dell’Obama bianco o del Macron italiano: cioè nel campo della ‘riproducibilità’ tecnica del leader, fenomeno più di tipo comunicativo che politico in senso forte. E poi perché il PD ha fatto terra bruciata dei leader di sinistra, prima annacquando il vino della sua identità (Veltroni) e poi bevendosi direttamente l’acqua (Renzi). A dire il vero due possibili Corbyn li avremmo pure: Bersani o D’Alema, dico io esponendomi a un sicuro bombardamento non solo grillino. Ma in questo Paese sui leader di sinistra si spara alzo zero, e anche quando meriterebbero solo delle critiche circostanziate, per sicurezza si punta direttamente a cannoneggiare la loro moralità o la loro presunta infingardaggine. Credo che la sinistra italiana, in questo, sia davvero una caso di scuola.

Cinque. Renzi adesso vira su Pisapia. Se gli riesce è un bel colpo. Se non gli riesce è meglio, avremo più filo da tessere. Certo, adesso a sinistra si dirà: ‘Facciamo come Corbyn! Pisapia e i suoi regaliamoli a Renzi!”. Ma in Italia una tradizione della sinistra è poco attuale. Siamo l’unico Paese d’Europa che non ha Labour, SPD, PSOE, PS, ecc. Voi dite che è finita l’epoca dei grandi partiti di sinistra? O dei grandi partiti tout court? Io vi rispondo: ad averceli la SPD o il Labour in Italia, e magari il PD fosse un partito davvero in linea con quella tradizione di lavoro, uguaglianza, diritti, con tutti i limiti e le contraddizioni del caso. E invece il segretario del PD è già in campagna elettorale (anche senza data elettorale prefissata) e invoca liberisticamente il taglio delle tasse. Capite il punto?

Sei. Se in Italia non c’è più un partito della sinistra riformista (cattolica, socialista, comunista, laica) e se il PD non è nemmeno un milionesimo di quel che ci si aspettava, la colpa è dell’intera sinistra, non solo di quella renziana, ma anche di quella non renziana. Non solo degli sporchi revisionisti, ma anche dei duri e puri. C’è una corresponsabilità vasta, diffusa, che riguarda a vari gradi tutti. Il PCI (e in generale i grandi partiti di massa, ma il PCI per primo e con più convinzione) aveva indicato l’unità come via maestra (unità popolare, nazionale, democratica). Che non voleva dire irenismo, o buonismo, o grande ammucchiata. Al contrario, era un modo netto, preciso per circoscrivere il conflitto, per delimitare istituzionalmente e socialmente lo scontro. Per rendere collettiva e diffusa la responsabilità sociale e istituzionale. Quell’insegnamento è stato tradito. Non solo da Renzi (e #chissenefrega). Ma anche da chi doveva esserne l’alfiere. Oggi siamo all’uno contro uno, al tutti contro tutti, al gruppo contro gli altri gruppi, spesso con motivazioni astratte, più culturali che politiche, o peggio solo di bottega e di poltrone. Io credo che il compito di Articolo Uno – MDP, invece, debba essere quello di mediare e ‘raccordare’, in vista di una unità che non sia solo formale o elettorale, ma tracci una circonferenza entro cui attivare il dibattito e regolare i conflitti, nonché indicare il percorso e le prospettive da intraprendere, in vista di un raggruppamento ampio, plurale, di massa, riformista, che punti a divenire sempre più forte nelle istituzioni e nel Paese.

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