di Alfredo Morganti – 6 aprile 2017
L’incidente
Renzi ha voglia di crisi. Si vede, si sente, lo si intuisce dal modo in cui soffre l’attuale stabilità, i toni bassi di Gentiloni, le iniziative di Padoan e di Calenda, le primarie che non decollano, il congresso che procede sciattamente. È a disagio, lo si vede. È costretto persino a smentire di aver detto (come ha detto!) di andarsene davvero (sic!) se perde. Ma che vuol dire perdere? Vuol dire non ‘trionfare’ alle elezioni? Ma se siamo in pieno proporzionale! Chi vince, chi perde, in questo contesto? Il suo mondo, quel mondo fatto di spacconate verbali, non funziona in questa nuova dimensione voluta dalla Consulta. Qui non si lanciano sfide, qui ci si dà un’identità, si concorre nel gioco politico e si prende atto dei risultati acconciandosi in base alla ‘forza’ conquistata nelle urne e nel Paese. Punto. Per uno che è pronto a governare con Berlusconi, poi, tutto questo patire ed agitarsi sulla ‘vittoria’ è falso, peraltro.
Però le elezioni anticipate le vuole, eccome. Non lo può dire, perché ci sono anche i suoi al governo. Ma se potesse, quel governo lo manderebbe all’aria senza complimenti con un calcio, per prepararsi così all’ennesima ‘sfida’, un’altra di quelle di quelle ‘decisive’, da ultima spiaggia, apocalittiche: se non vinco me ne vado, appunto. Ma ribadisco: che vuol dire vincere? E che vuol dire perdere? La politica non è uno sport agonistico. La politica è una faticosissima arte della mediazione, del dialogo anche duro, anche conflittuale, ma sui contenuti, sui punti di vista di cui ogni forza è portatrice, sulle opinioni, facendo leva anche sulle culture politiche che dovrebbero innervare i partiti. La politica è lo scheletro delle democrazie, è il corroborante delle istituzioni rappresentative. La politica è storia in atto, e guai a pensarla in termini unidimensionali oppure fuori dal proprio contesto, come un mero strumento di comunicazione, come comunicazione-politica appunto.
Il PD, che Renzi ha mutato nel DNA, nella composizione sociale, nei caratteri dell’elettorato, nei costumi, nell’etica, nel rispetto, il PD appunto, come il suo leader, sarebbe fuori contesto, se lo spazio politico cessasse di essere un ring di esagitati oppure una parete su cui proiettare slide. Questo partito oggi è solo un’arma nelle mani dell’uomo solo, del comunicatore, è fatto solo per mutarsi all’occorrenza in una falange elettorale (nemmeno troppo efficace, pare), non per ritessere un rapporto effettivo ed efficace con le istituzioni. Ma Renzi ha voglia di crisi, lo abbiamo detto, e quindi lavora agli incidenti, come quello di ieri in commissione affari costituzionali al Senato. Ecco, anche da questo esempio si scorge la lontananza siderale dalle istituzioni, l’idea che esse siano solo appendice del Governo, e il Governo appendice di Palazzo Chigi, e Palazzo Chigi una specie di palazzo delle meraviglie mediali in cui un eroe-vate canta la ‘crescita’ italiana in un tweet. È un mondo sottosopra questo, a cui sarebbe il caso di opporre finalmente (e in molti, senza più scusanti o remore) un’alternativa ‘politica’.