I vigliacchi e gli acquiescenti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 13 marzo 2017

Il Lingotto ’17 è stato come un vaso di pandora. È bastato rilassarsi un attimo ed è uscito fuori di tutto. Quella sciocchezza dei reduci e degli eredi, per esempio. Oppure la riesumazione della parola ‘compagni’, del tutto nominale visti l’atmosfera e il contesto in cui è avvenuta la riesumazione. O, addirittura, la decisione di intitolare a Pier Paolo Pasolini la cosiddetta Frattocchie 2.0 del PD! Nonché lo spregio, immagino applauditissimo, verso la bandiera rossa e chi la impugna. L’attacco a D’Alema, parificato alla xylella, è invece d’uopo, quasi un must, come quelle cose che tutti si aspettano e prima o poi arrivano in modo quasi liberatorio, con tanto di ovazione.

Detto ciò, il punto di massima sconcezza il Lingotto ’17 l’ha raggiunto quando l’attacco è stato portato a chi se n’è andato. Qualcuno, Serracchiani, Chiamparino, ha avuto la brillantissima idea di definire vigliacchi gli ‘scissionisti’. Chiamparino ha detto che è vigliacco chi cambia casacca se cambia il vento. E poco importa che sul Corsera abbia voluto chiarire il concetto, sostenendo che si riferiva a se stesso: il fatto di riferirsi a se stesso non significa che non ci si riferisca anche ad altri posti nella stessa, ipotetica (o reale) condizione del cambio di vento. Il ragionamento della Serracchiani, invece, è stato questo: “la soluzione non è girare le spalle, vigliaccamente andarsene e poi condizionare il partito da cui si è usciti, non ci faremo condizionare”. I vigliacchi se ne vanno, lei resta. Con la bandiera in mano (non quella rossa, of course).

Pensateci. I vigliacchi sono giudicati tali se abbandonano la trincea quando intorno è una Caporetto: questo voleva dire la Governatrice. Intorno è una Caporetto, appunto. Il vento è cambiato, come dice Chiamparino. L’impressione è proprio quella dell’assedio. E lo si vede dal tono ‘orgoglioso’ della kermesse di presentazione del candidato Renzi, dai richiami sprezzanti, alteri fatti dal palco, dall’incitamento a continuare ciechi e sordi fino alla “vittoria”. E soprattutto dalla totale mancanza di politica. Perché non è ‘politico’ un discorso che si presenta come una pura sequela di opinioni personali, rese pubbliche solo per lo streaming. Nelle parole dell’ex tutto non c’è stata analisi, argomentazione, non c’è stato scavo, non una parola sulla Caporetto in corso, non un termine che richiamasse la realtà, piuttosto che ovattarla nei simbolismi spiccioli. Una comprensione che deve venire prima (e al posto) dell’insulto liberatorio e rancoroso (e forse un po’ invidioso).

Orgoglio più insulto: questo è stato il Lingotto renziano, che si è posto persino un passo indietro rispetto a quello veltroniano. Secondo una linea che va dalla ‘rottamazione’ allo spregio finale. Una linea netta, continua, che non risente nemmeno delle sconfitte. Una linea che dovrebbe portare alla vittoria, ma che spinge in un angolo. Un lento retrocedere che vorrebbe mostrarsi come un avanzare. Una ritirata coperta dal polverone prodotto da maschi alfa sempre più perplessi e impauriti. I presunti ‘vigliacchi’, gli ex gufi, sono stati quelli in realtà che hanno avuto più coraggio di tutti. Non hanno accettato prebende, bonus, poltrone, incarichi speciali. Con coraggio si sono attenuti alle proprie idee. Con pazienza (anche troppa, direi eccessiva!) alcuni hanno tentato fino all’ultimo una discussione. Mostrando in controluce come i vili veri siano quelli la cui unica dote, per così dire, è l’acquiescenza. Null’altro.

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