di Alfredo Morganti – 7 febbraio 2017
“Macron – dice il politologo Dominique Moïsi – può essere la risposta europea all’ascesa dei populismi”. La risposta di primo acchito sembra corretta. Di fronte a Macron candidato indipendente di centrosinistra, molto probabilmente, al ballottaggio vi sarà Marine le Pen, campione del populismo transalpino. Poi però viene a mente un reportage di Stefano Montefiori letto il giorno prima (domenica) sul Corriere, dove il giornalista sintetizza così il principale desiderio del candidato indipendente: “Macron vuole andare oltre la divisione tra destra e sinistra”. Così, palmare. Nel suo variegato Pantheon ci sono Daniel Cohn-Bendit e De Gaulle, la fiaccolata per Charlie Hedbo e Simone Veil, promotrice della legge sull’aborto. Una specie di album di famiglia che si sposa perfettamente con l’idea di cancellare (andare oltre) la distinzione politica moderna tra destra e sinistra. Mi chiedo allora: ma siamo certi che una ‘finalissima’ tra Macron e Le Pen sia uno scontro tra politica istituzionale-rappresentativa e bieco populismo? Ma cos’è il populismo se non l’idea di fondo che destra e sinistra non esistano più? Che al posto degli schieramento politici, sociali, economici variamente distinti e in conflitto, si sostituisca una ‘palude’ indefinita dove, in fondo, siamo tutti francesi (e italiani, e americani, e svizzeri, e scozzesi…) e questo solo conta, e al bando i partiti che ostinatamente ci dividono? Lo stesso Moïsi, d’altra parte, rivela come la Le Pen abbia “un’ideologia anticapitalista molto vicina all’estrema sinistra”, ossia abbia rotto le barriere, sia già andata oltre la divisione tra destra e sinistra, così come vorrebbe fare lo stesso Macron, partendo da un altro punto di vista.
Qual è il punto? Questo. Se il populismo è quella cosa che svuota e annulla la politica dei partiti, la rappresentanza, le istituzioni, le mediazioni, i corpi intermedi, la dialettica democratica – tra Macron e la Le Pen (a parte i toni roboanti, certe volgarità e i diversi punti di partenza) qual è la differenza di fondo? Difficile dirlo. Verrebbe da dire nessuna. Anche perché tra loro c’è almeno un elemento a unirli saldamente, ossia la svalutazione della democrazia dei partiti e rappresentativa, della distinzione politica tra destra e sinistra, della democrazia come scontro di opinioni. C’è l’idea di un Capo-Presidente, eletto con mandato popolare, che riassume in sé l’intera organizzazione istituzionale e parla direttamente, magari sostenuto da esperti e tecnici di marketing e mediali, al popolo inteso ideologicamente come indifferenziato, ‘tutto’ francese, ‘tutto’ uguale, non più ‘distinto’ artificiosamente tra destra e sinistra. Tutti appartenenti ‘naturalmente’ a una nazione. Questo è populismo, così come lo è principalmente il proposito: oltre la destra e la sinistra, tanto c’è un Capo per tutti. Le coloriture, i toni, le radici, le provenienze cambiano, ma il senso è lo stesso. E non vale la regola trumpiana, della lotta (populista) al politicamente corretto. Non c’è nessuno più buonista di Macron, e dunque non è questa la caratteristica distintiva rispetto a un populismo invece più aggressivo, alla Le Pen appunto. Semmai ci sarebbe da chiedere dove ci abbia condotti il ‘buonismo’ italiano, che fu un ingrediente della ricetta veltroniana del PD e che oggi ha ingenerato, in ultimo, il ‘centrismo’ renziano, che appare sempre più come un nuovo ‘oltre la destra e la sinistra’, come la risposta italiana al populismo, che non sappiamo, anche qui, quanto e come si differenzi (a parte i toni meno irruenti rispetto a Salvini) dal populismo che pure si vorrebbe combattere. Chiedere lo scioglimento delle Camere, di modo che i parlamentari non possano godere della pensione, e contribuire a infangarne il prestigio, mi pare una cosa davvero alla Grillo o alla Le Pen. O forse peggio.