Fonte: Sinistra in Europa –
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di Filippo Errante, Nicola Cucchi 22 dicembre 2016
Con il voto del 4 dicembre si è indubbiamente chiusa un fase politica. Le politiche degli ultimi tre anni del Governo Renzi, infatti, avevano due obiettivi: da una parte, costruire il “Partito della Nazione”, con lo sfondamento nell’elettorato di centro destra, dall’altra, rilanciare l’occupazione attraverso politiche di stampo blairiano.
Entrambi gli obiettivi strategici del Governo e del Partito Democratico risultano falliti, come si evince dai flussi elettorali espressi nel voto, tutto politico, del referendum costituzionale e dai dati sull’occupazione.
Un’analisi insufficiente della sconfitta referendaria
La grande aspirazione di Renzi, dopo l’illusione del 40% delle ultime elezioni europee (2014), è sempre stata la costruzione del “Partito della Nazione”; un disegno neocentrista a lungo inseguito con politiche che strizzavano l’occhio all’elettorato di centrodestra – Abolizione dell’Imu sulla prima casa per tutti, l’innalzamento dell’utilizzo del contante fino a 5000 euro, l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il rilancio del Ponte sullo Stretto. Questo disegno politico, tuttavia, si è dovuto scontrare con i dati della realtà: 3/4 degli elettori di Forza Italia hanno seguito l’indicazione di Berlusconi e hanno votato “NO” al referendum costituzionale.
L’idea del Partito della Nazione risulta sconfessata da tutti gli ultimi esiti elettorali: dalle elezioni amministrative in poi non esiste alcun blocco sociale che costituisca un’area fortemente maggioritaria, ma, al contrario, le dinamiche dei ballottaggi hanno dimostrato che le politiche di Renzi hanno isolato il Partito Democratico – alle ultime amministrative il PD ha perso 19 ballottaggi su 20 contro il Movimento 5 Stelle.
Renzi, dunque, non sfonda al centro, non riuscendo nell’intento di colmare il vuoto di rappresentanza di una parte dell’elettorato moderato, causato dalla crisi del centro-destra. E d’altra parte distrugge il centrosinistra. A causa di politiche e linguaggio esplicitamente ostili verso l’area a sinistra del Pd risulta difficilmente immaginabile la ricostruzione dello spazio ampio in grado di riprodurre l’esperienza dell’Ulivo. I risultati di questi anni del Pd nelle periferie sono indicativi di un partito che sta cambiando base sociale, allontanandosi sempre di più dalle condizioni di disagio.
L’altro obiettivo, il rilancio dell’occupazione, inseguito con il Jobs Act non solo non ha prodotto i risultati auspicati dal Governo, ma, al contrario, ha prodotto una profonda e radicale rottura con il sindacato di riferimento della sinistra e con vasti settori del mondo del lavoro. E non è un caso che i giovani, coloro che subiscono maggiormente gli effetti della precarizzazione del mondo del lavoro, abbiano punito in maniera inequivocabile la scelta del Governo. Si tratta di un “no sociale”.
Renzi, dunque, non solo non è riuscito a costruire l’auspicato “Partito della Nazione”, ma, con le “politiche di inseguimento” dell’agenda della destra, ha demolito il centrosinistra. L’opera di demolizione non ha colpito solo il campo dell’alleanza dei soggetti politici, ma, anche, il vasto mondo dei corpi intermedi che tradizionalmente operano nel mondo della sinistra italiana.
Le rotture con l’ANPI, con la CGIL, con l’ARCI e con ampi settori del volontariato politico e sociale del centrosinistra avranno, inevitabilmente, pesanti conseguenze sulla strada della ricostruzione di un centrosinistra competitivo.
Le prospettive incerte dopo la sconfitta referendaria
Dall’Assemblea del PD di domenica ci si sarebbe aspettata una qualche analisi sulle due grandi tematiche che sono state alla base del governo e della segreteria Renzi: il destino del PD, in un eventuale centrosinistra ed il tema del lavoro. Nella relazione introduttiva, Renzi, però, non ha fatto alcun accenno a questi due grandi temi; incentrando tutta la sua analisi sugli “errori di comunicazione”, rimuovendo completamente gli errori di natura politica.
“Siamo stati poco empatici”, “gli italiani non hanno capito che volevamo semplificare”. Con queste affermazioni Renzi rimuove i dati della realtà: cioè che si sta costituendo un’opposizione sociale e strutturale alla sua visione del paese, della società e della democrazia.
La questione chiave per il sistema che verrà è legata alla legge elettorale, uno dei doveri principali del governo Gentiloni. In questa direzione l’unica proposta concreta uscita dall’Assemblea risulta essere il ritorno al Mattarellum. Ma, Renzi, sbanda anche su questo. Il Mattarellum, infatti, presuppone le coalizioni e in generale il bipolarismo. I collegi funzionano con il sistema “winner takes all”, quindi induce alleanze in uno schema bipolare che oggi non esiste più.
Chi conquista più voti si aggiudica il seggio e questo impone la costruzione di grandi coalizioni capaci di prendere un voto in più dell’avversario. Coalizione di centrosinistra che Renzi ha scientificamente distrutto inseguendo la “vocazione maggioritaria” e le sirene dell’Italicum.
Un’inversione ad U che, da osservatori, risulta difficile comprendere. In una condizione multipolare come quella attuale un collegio uninominale risulta, infatti, una forzatura eccessiva delle forze in campo. Peraltro, dubitiamo fortemente che ci siano le condizioni politiche per un ritorno al Mattarellum che serve più ad unire il PD e ad essere una base di partenza per le future trattavi parlamentari. Probabilmente dietro la facciata della proposta c’è la consapevolezza della necessità di un ritorno al proporziale, vedremo in quali forme.
Associato alla legge elettorale c’è il problema del Partito come organizzazione in grado di rimettere in moto la società nonché rialfabetizzarla a livello politico. La grande scalata – rottamazione renziana – non si dimostra minimamente in grado di articolare un’idea di partito innovativa, di immaginarne un ruolo nella società, di determinare nuovi e inclusivi processi di partecipazione democratica e di selezionare una nuova classe dirigente.
Per questo non si preoccupa di organizzare un vero Congresso in tempi brevi. Per Renzi finora il partito si è ridotto esclusivamente a macchina del consenso al servizio del leader, che si regge sulla fiducia popolare estremamente volatile.
Dopo la bocciatura della riforma costituzionale, siamo costretti ad interrogarci sul prossimo futuro della repubblica: saremo indotti a tornare prima del 1993, con l’approvazione di una legge proporzionale? E in tal senso quale ruolo potrebbe giocare una forza che nasca a sinistra del Pd con l’obiettivo di influenzarlo su alcune tematiche chiave?
Nonostante gli errori commessi al governo e le prospettive alquanto incerte, Renzi rimane, oggi, assoluto protagonista della vita del partito e delle prospettive di governo, e la sua maggiore forza sta nel non avere alternative credibili, in termini di alleanze e di leadership, in attesa che a sinistra del PD qualcosa si muova, magari in occasione del prossimo Congresso. Su questo è utile l’intervista che abbiamo fatto recentemente a Marco Damiani sulle prospettive della sinistra dopo il Referendum.