di Fausto Anderlini – 21 dicembre 2016
2. La giusta dose
Al Mattarellum sono stato affezionato, se non altro perchè fui io (assieme ad Arturo Parisi e con l’attenta ricezione di Antonio Mussino allora nella commissione governativa centrale) a ritagliare i collegi per l’Emilia Romagna, coronando uno dei rari successi della mia carriera di geografo politico di corte. Applicai i requisiti di legge come meglio non si poteva e senza ricorrere ad alcun gerrimandering composi un puzzle che si trasferì in una saturazione quasi totale della capacità maggioritaria del centro sinistra. Cionondimeno, salvo la Pennacchi, non fui mai ringraziato da alcuno dello stuolo di onorevoli e senatori che transitarono da queste parti.
Il Mattarellum fu abrogato dalla destra in ragione del surplus territoriale appannaggio del centro-sinistra, capace di mettere in campo con più efficacia le proprie reti di capitale sociale nonchè una classe politica più radicata. Il Porcellum (tale proprio per la porcata in esso implicita) dovette la sua adozione anche per la colpevole debolezza di Ciampi che rinunciò, fra l’altro, a far valere la legittimazione referendaria del Mattarellum.
Il Mattarellum sarebbe stata la prima e più naturale scelta dopo la sentenza della Corte Costituzionale, ma le cose presero un’altra piega: la strada chiusa dell’Italicum, cioè di un Porcellum peggiorato.
Cionondimeno oggi mancano totalmente quelle condizioni che nei ’90 permisero al Mattarellum di dare buona prova, rispondendo alla congiuntura politica dell’epoca, cioè sostenendo una peculiare forma di bipolarismo coalizionale, garantendo una governabilità sostenibile e salvaguardando requisiti minimi di rappresentanza, senza intaccare il regime parlamentare nella sua sostanza.
Da un lato c’è il superamento di fatto del bipolarismo (tema da molti declinato), ma dall’altro c’è anche il superamento delle fratture territoriali nell’insediamento dei partiti. Il Mattarellum, per nulla paradossalmente, rafforzò le fratture storico-geografiche, fissatesi nel regime proporzionale della prima repubblica. Trasformandole in un elemento di garanzia e stabilizzazione, pure in presenza di attori politici totalmente nuovi. Nella sostanza ogni forza poteva contare su un ‘proprio’ territorio, ovvero stabile retro-terra, proprio come negli Stati Uniti e latamente in ogni realtà uninominale, rinviando alle regioni ‘swing’ l’esito delle consultazioni (nella sostanza: gli Abruzzi, la Calabria e la Sardegna).
Con le elezioni del 2013 tale peculiarità è evaporata. Salvo (forse) la Lega nel nord-est, nessuna forza politica è in grado di ‘detenere’ un proprio territorio. Neppure il Pd nella fu zona rossa.
In tali condizioni il Mattarellum potrebbe risolversi in esiti random e paradossali: o produrre un risultato segnato da un abnorme squilibrio maggioritario oppure una fotografia perfettamente proporzionale. Le sue conseguenze, in sintesi, sono totalmente imponderabili.
Si capisce la ragione tattica che perseguono i renziani nel riproporlo: costringere le forze ai lati a coalizzarsi attorno al Pd e alle sue condizioni. Aspetto, quest’ultimo, che ne sconsiglia ulteriormente l’uso. Il ripristino di una sorta di coalizionismo coattivo e aprioristico, sorretto da nessun’altra mediazione che non siano convenienze spartitorie, già deformante se non odioso in sè, non sarebbe compensato, per le ragioni elencate, da alcuna garanzia in termini di governabilità.
Siamo a un tiurning point. Il misto di personalismo pseudo carismatico e di cartel party della tarda democrazia non è più sostenibile, pena il collasso. La democrazia italiana ha bisogno di ricaricare le pile, in certo senso di ri-fondarsi. Seguendo il dettato costituzionale, così come suffragato dai 19 milioni di No del 5 Dicembre. Il teatro elettorale è quello dove si determina la rappresentanza, quello parlamentare l’ambito nel quale si risolve, con le alleanze compatibili, la governabilità. Rappresentare, dunque governare. Simplex sigillum veri. Trasferendo nella competizione elettorale il confronto/conflitto fra programmi e progetti di società. Emancipandola dall’ossessione della governabilità come progetto di occupazione di potere.
E se bisogna ricaricare le pile della democrazia cosa di meglio di un sistema proporzionale ?