di Alfredo Morganti – 14 novembre 2016
C’è uno spettro che si aggira per il mondo: stavolta è lo spettro delle diseguaglianze. Perché è uno spettro? Perché per molti non esiste. Chi è in posizioni di vantaggio, per esempio, se ne infischia. Chi sta dal lato giusto dell’abisso, non vede neanche quel che accade sul lato opposto, quello dei perdenti. Considera il tema antico, superato, vecchio. Dice: se la fonderia chiude è perché adesso l’economia è immateriale, ma questo è il progresso, è giusto che sia così, che ci possiamo fare, vogliamo fermare il progresso? E si tratta di un ‘progresso’ del quale, magari, se ne avvantaggia, occupando una ragguardevole posizione sociale. Diverso il caso di chi sta dall’altra parte, di chi nella fonderia ci lavorava, magari, o nelle miniere, e non ha la stessa larghezza di vedute, e non ritiene il progresso il mantra giusto, semmai subodora l’esistenza di un regresso. Storie diverse, opposte, che l’effetto Trump ha avuto almeno il merito di mettere in luce con forza. Perché il paradosso è proprio questo: prima di Sanders e prima di Trump eravamo tutti cosmopoliti, tutti giovani cervelli in fuga, tutti intellettuali high tech, tutti seguaci delle magnifiche sorti e progressive del mondo in rete e tecnologizzato. Dall’8-9 novembre non è più così. È suonata la sveglia, le nozioni di progresso e regresso iniziano a sovrapporsi pericolosamente. E vengono a galla le magagne. Oltre l’abisso non ci sono solo vecchi scheletri dell’età del ferro, ma donne, uomini, famiglie in carne e ossa, bianchi, neri, di tutti i colori. Scopriamo che non c’è il progresso, e forse non c’è mai stato. La storia non è finita, il pensiero non è unico. Che tutto è maledettamente più complicato di: noi-loro, avanti-indietro, vincere-perdere, nuovo-vecchio, rottamanti-rottamati. Semmai a dire il vero sembrano più in pericolo i rottamanti che i gufi, che perlomeno vedono i problemi prima di certi galletti canterini, o di usignoli che tweettano troppo spesso a sproposito.
I giovani? Le belle speranze? Morgan, che vive al Village (fonte Corsera), dice che “con gli amici rimasti in Ohio fatica a comunicare: ‘Io parlo di Siria, loro mi parlano dell’assicurazione e dei mutui. Io parlo di proliferazione nucleare, loro del lavoro che non si trova’”. Ecco. L’abisso è ormai un muro, che separa realtà apparentemente omogenee (come quella dei ‘giovani’) ma che, in realtà, non lo sono. Come dice Sanders a ‘Repubblica’: ‘L’orario di lavoro è aumentato e gli stipendi diminuiti, i lavori pagati dignitosamente si spostano in Cina o in Messico. Queste persone sono stufe di avere capi che guadagnano 300 volte più di loro, e che il 52 per cento di tutti i nuovi proventi vada all’un percento della popolazione’. Eccolo lo spettro che prende consistenza e appare sempre più ingovernabile dalle élite urbane e dai ceti cosmopoliti, che viaggiano, volano, degustano prelibatezze, ma della loro terra non sanno quasi più nulla. Alessandro Portelli ha raccontato come le TV americane, per raccontare lo sciopero nelle miniere del Kentucky, abbiano prima dovuto mostrarne il posizionamento sulla mappa. Oltre l’abisso delle disuguaglianze anche le città e le regioni scompaiono, non solo le donne, gli uomini, la loro vita e i loro problemi.
Così in Italia. Cosa credete, che il problema sia solo americano? Aumentano i voucher e vorrebbero risolvere i problemi con gli sgravi fiscali, oppure stravolgendo la democrazia parlamentare, oppure cambiando la ‘narrativa’ (sic!) ove si tratti del Sud. Chi è savio, allora, e chi è il pazzo: quello che ‘danza nelle tenebre’, come ha cantato profeticamente Springsteen nella chiusura di campagna per Hilary, oppure quello che i problemi li segnala, li studia, li espone, non li nasconde dietro qualche annuncio mirabolante o due soldi di bonus? Oggi è tempo di gufi, cari miei, gli unici che in questi mesi hanno tenuto la barra diritta sulle disuguaglianze, sulle iniquità, sugli abissi che separano sempre di più gli uomini dagli uomini. Le cicale e i farfalloni sembrano sempre più piccoli e impotenti dinanzi ai problemi che ci sovrastano. Preghiamoli di andarsene. Il NO è un primo passo.