Tav, maxi balle, maxi processo

per Gian Franco Ferraris

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C’è un maxi processo in giro. Contro una qualche mafia di cui il Paese è ricco come l’Arabia Saudita lo è di petrolio? Contro un qualche clan affaristico? No, contro 53 No Tav accusati di lesioni, resistenza e devastazione per gli scontri del 27 giugno del 2011: l’aula è la medesima dove va avanti il processo contro altri  4 no tav addirittura per terrorismo, notoriamente istigato da Erri De Luca e Gianni Vattimo.

Ora vi chiedo di fare un esperimento mentale, uno di quelli che farebbe Max Weber, secondo il quale la storia la si capisce davvero solo con i se, al contrario di quanto sosteneva il nostro idealismo meridionale che ha poi ha figliato la frase fatta, “la storia non si fa con i se” tanto cara ai gattopardi. Immaginiamo per un attimo che una resistenza così vivace e determinata contro un grande opera si fosse sviluppata non in val di Susa, ma a Venezia, che vi fossero stati maxi processi e severe reprimende del diritto di parola e di opinione nei confronti di intellettuali dissidenti. Ma che poi  fosse saltato fuori il verminaio che sappiamo. Cosa si dovrebbe pensare? Che tutti i poteri dello stato sono stati complici della cupola lagunare nella ventennale rapina di diritti e di denaro nei confronti dei cittadini.

Che senso avrebbero più le istituzioni? E come si potrebbero convincere le vittime dirette e soprattutto quelle indirette, ossia i cittadini che la protesta violenta è sempre inammissibile, fuori dalle regole democratiche, visto che la prima è stata ampiamente usata per scopi illegittimi e le ultime sono state violate per vent’anni dagli stessi che le reclamano attingendo consenso proprio dai mezzi raccolti grazie a un sistema illegale?

Certo è un esperimento mentale, ma non si può non considerare singolare se non sospetta la determinazione nel voler a tutti i costi dedicarsi a un’opera patentemente inutile visto che i flussi merci diminuiscono ormai da 15 anni tra Francia e Italia; che Bruxelles ha dimezzato i contributi a causa dei ritardi “tecnici e burocratici” e detto che comunque occorre prima potenziare la linea già esistente, peraltro sottoutilizzata; che l’inizio dello scavo del tunnel è stata una forzatura avvenuta quando già si sapeva che non si sarebbe potuto finire entro la data stabilita per i contributi europei; che la Francia è assai poco interessata all’opera e che i tunnel in sé servirebbero a ben poco senza opere ferroviarie e infrastrutture da una parte e dall’altra del confine, che hanno un costo stratosferico calcolato in una cifra che va dai 37 ai 46 miliardi e non prevedono alcun aiuto da parte della Ue.

Tutto questo avviene mentre si raschia il fondo del barile dell’erario, il debito pubblico sale nonostante, anzi a causa dell’austerità, si fa strage di diritti, si colpiscono i pensionati, la sanità, la scuola, i servizi, mentre ci si bea della precarietà espansiva che è solo una stupidaggine: un po’ troppo per essere convinti che l’adesione tetragona all’opera della cupola amministrativa, bancaria, politica, istituzionale torinese e per riflesso nazionale, sia solo frutto di un abbaglio o di una ottusità che impedisce di comprendere come le situazioni siano radicalmente mutate da quando fu immaginata l’opera. Quantomeno c’è abbastanza fumus per ipotizzare l’arrosto. Ed è evidente che invece di maxiprocessi intimidatori si dovrebbe quanto meno depotenziare l’area No Tav mostrando che gli argomenti generici e un po’ ridicoli che vengono portati a favore dell’opera ( linea strategica, apertura all’Europa e balle di questo tipo) non nascondano un sistema tipo Mose.

Tutta la storia dell’opera fin dal colpo di Mano Berlusconi – Micciché a governo quasi scaduto per sottrarre la Tav dalle procedure ordinarie inserendola nella legge Obiettivo, ha pochissimo di chiaro. E mi meraviglia che siano adesso sul banco degli imputati gli attivisti No Tav che hanno tagliato le reti di protezione di Chiomonte e non quelli che hanno fatto un inchiesta, bastata su documenti ufficiali, sul pm del processo, il Pro Tav Rinaudo, del quale si indicano corposi contatti con la mafia calabrese e in particolare  la presunta amicizia con tale Antonio Esposito, emissario di Rocco Lo Presti, boss della ‘ndrangheta, che operava a Bardonecchia, comune che nel 1995 è stato commissariato per infiltrazioni mafiose. Conoscendo per esperienza la suscettibilità dei magistrati, è davvero strano che gli autori dell’inchiesta non siano in ceppi.

Di fatto, come sappiamo lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980, divenuto un modello: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d’appalto in virtù della presunta urgenza dell’opera in modo che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d’opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per miliardi. Per non parlare delle possibili infiltrazioni mafiose visto che il Piemonte, come dice la Dia in un rapporto del 2011 è una consolidata roccaforte della ‘Ndrangheta dopo Calabria e Lombardia.

Per contrastare i No Tav sarebbe davvero opportuno che in tanto dinamismo si creasse la commissione d’inchiesta sull’opera della cui formazione con disegno di legge è stata delegata l’ 8° commissione permanente (Lavori pubblici) , anche se non se ne parla più dal 22 gennaio, data nella quale lo scottante compito è stato assegnato. Almeno per avere la consolazione che è per sola e limpida stupidità che si procede a buttare miliardi per un’opera inutile. Dopo tutto chi lo dice che “ca’ nisciuno è fesso?”

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