Le ‘riforme’ nella PP.AA. Il pesce puzza sempre dalla testa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 27 luglio 2016

Nulla di nuovo in realtà in questo testo unico in progress sfornato dal Pdr. Anche se lo tengono nascosto, dopo aver visto le conseguenze elettorali di segno non previsto della forsennata campagna criminalistica contro il pubblico impiego ingaggiata prima delle amministrative. Nulla di nuovo rispetto al ‘riformismo’ bassaniniano e alla sua implementazione brunettiana.
La licenziabilità dei dipendenti in ‘esubero’ compie semplicemente un tragitto che data ormai da due decenni – e già c’era stata la tentazione di fare esperimenti nel caso della vicenda delle Province ‘riformate’ col decreto Del Rio.

Le ‘riforme’ bassaniniane volevano efficentare le amministrazioni transitando da una burocrazia di matrice weberiana, legittimata dal rispetto di sè e dall’incarnazione della razionalità pubblica, a una dirigenza di tipo manageriale selezionata per meriti con lo spoil system e giudicata/incentivata sulla base dei risultati.
Gli esiti di queste trasformazioni sono stati mostruosi. Le nuove dirigenze hanno preso su di sè il peggio dei due modelli fondendoli in un ibridus sconcertante senza peraltro scalfire, anzi rafforzandolo, il rapporto di clientela con la politica.

I processi di esternalizzazione hanno ridotto gli apparati a macchine amministrative esangui e regolamentaristiche, senza più una burocrazia tecnica capace di expertises settoriali impegnata sul campo. Ormai le amministrazioni sono presidiate solo da amministrativi-manager intenti a svolgere funzioni di controllo sui subordinati. Esperti di nulla (amministrativi, organizzativisti, valutatori ecc.) essi impegnano il loro tempo a mettere zeppe per impedire di fare a chi ha voglia e idee. Alla faccia della dominante cultura neo-liberista i processi valutativi seguono modalità quantitativistiche ancor più grottesche di quelle del Gosplan sovietico (io ad esempio ero giudicato in funzione delle tabelle statistiche prodotte, il cui ammontare, naturalmente, servivo un tanto al chilo). Il rapporto coi dipendenti è diventato ancor più gerarchico e discriminatorio. Si potrebbe dire una situazione ‘scolastica’ e ‘infantilistica’, dove il valutatore agisce ex cathedra e non fa altro che sorvegliare e punire. Il dirigente è diventato un mero guardiano con il compito di redigere ‘pagelle’ da smistare alla direzione generale. Come conseguenza il germe della malevola concorrenza e del paraculismo ha impestato le comunità di lavoro, deresponsabilizzandole. Ogni sistema incentivanete, peraltro, ha un lato perverso con effetti rancorosi: serve più a punire chi non è considerato degno, quasi sempre ingiustamente, demotivandolo del tutto, che a premiare i presunti capaci (quasi sempre paraculi). Come in ogni scuola di bambini cattivi e indisciplinati l”infirgandaggine, la dissimulazione, in sintesi, il ruffianismo, regnano sovrani.

Un effetto contro-intuitivo da manuale. Nate per ‘motivare’ le riforme hannpo generato una smobilitazione clamorosa, accentunado gli elementi di inerzia, inefficienza e arbitrarietà. Con l’aggravante che le esternalizzazioni, il blocco del tour-over e i ripetuti tagli ‘lineari’ hanno finito per buttare via i bambini (che esistevano, e numerosi) accrescendo il peso specifico dell’acqua sporca.

Le ‘riforme’ post-bassaniniane fatte procedere dal Pd renziano hanno aggiunto al modello neo-liberista manageriale imperante un plus di protervia così massivo da fare impallidire come un povero dilettante il buon Brunetta. Dietro i peana per il ‘merito’ si cela una filosofia della punizione di taglio ottocentesco. Più prosaicamente si pensa di far lavorare la gente intimorendola e maltrattandola. Il lavoro come oscura fatica. Cioè il dolore come motivazione. La compressione libidica come carica energetica. Una aberrazione che apre all’inefficienza più dispiegata e all’arbitrio gerarchico. Un lavoro del genere potrà al caso prendere una guisa zelante e dissimulatoria, ma non sarà mai nè impegnato, nè creativo.
Ed è questa roba sperimentata nella P.A. che si vuole ora mediare al mondo scolastico, sotto la guida di geni come la Puglisi!

Nei ’60-’70, in Emilia, furono i lavoratori a creare gli asili nido e i servizi sociali. La motivazione non veniva da regolette del cazzo o dai ricatti dei mazzieri, ma dall’ambiente in cui erano inseriti. Più precisamente da una cultura che li ingaggiava nel confronto sociale e li stimolava a fare, inventare, migliorare. Senza neppure la carota di incentivi monetari. Allora i dirigenti, malgrado qualche inevitabile rimbambito, sapevano far qualcosa e ‘guidavano’ in nome di un’autorità riconosciuta come sostantiva, non meramente formale. E la politica aveva una classe dirigente che escludeva ambiziosetti da due soldi.

Confrontiamo quell’epoca con la situazione odierna. Il pesce puzza sempre dalla testa.

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L’articolo di Lorenzo Salvia pubblicato sul Corriere della sera

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http://www.corriere.it/economia/16_luglio_25/cadono-due-pilastri-statali-via-posto-fisso-scatti-automatici-b4c2e020-5293-11e6-9335-9746f12b2562.shtml

Cadono due pilastri degli statali. Addio al posto fisso e scatti automatici

Sulla copertina c’è un bel timbro con la scritta «Top secret». E a leggere le 133 pagine che seguono si capisce bene il perché. La bozza del nuovo testo unico sul pubblico impiego cancella due incrollabili certezze dello statale, i due motivi che rendono il lavoro nel pubblico più sicuro di quello nel privato: il posto fisso e l’aumento automatico dello stipendio con gli scatti di anzianità.

 

Il posto fisso

La fine del posto fisso arriva alla pagina 72 del decreto elaborato dai tecnici del governo, la norma attuativa più attesa fra quelle legate alla riforma della pubblica amministrazione approvata un anno fa. Ogni anno, dice il documento, tutte le amministrazioni devono comunicare al ministero le «eccedenze di personale» rispetto alle «esigenze funzionali o alla situazione finanziaria». Detto brutalmente, i dipendenti che non servono o che la situazione di bilancio non consente di tenere in carico. Le «eccedenze» possono essere subito spostate in un altro ufficio, nel raggio di 50 chilometri da quello di provenienza con la mobilità obbligatoria. Altrimenti vengono messe in «disponibilità»: non lavorano e prendono l’80% dello stipendio con relativi contributi per la pensione. Ma se entro due anni non riescono a trovare un altro posto, anche accettando un inquadramento più basso con relativo taglio dello stipendio, il loro «rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto». Licenziati. In teoria un meccanismo simile c’è già adesso. Ma agli uffici che non comunicano le eccedenze non succede nulla e infatti tutti si guardano bene dal farlo. Con le nuove regole, invece, ci sarà lo stop alle assunzioni e il procedimento disciplinare per il dirigente. Una differenza non da poco.

Gli scatti

Sullo stipendio la novità era nell’aria, visto che gli scatti di anzianità sono stati congelati a lungo. Il nuovo testo unico, però, li cancella per sempre. Ogni anno tutti dipendenti pubblici saranno valutati dai loro dirigenti per il lavoro fatto. E sulla base di quelle pagelle sarà assegnato un aumento, piccolo o grande a seconda delle risorse disponibili, a non più del 20% dei dipendenti per ogni amministrazione.

 Buoni pasto e altre novità

Nella bozza ci sono tante altre novità. L’obbligo della conoscenza dell’inglese come requisito per i concorsi pubblici. La visita fiscale automatica per le assenze fatte al venerdì e nei prefestivi. Un procedimento disciplinare più veloce, sull’esempio di quello in 30 giorni per gli assenteisti colti in flagrante. E ancora la fine dell’indennità di trasferta e il buono pasto uguale per tutti, sette euro al giorno. Tutte materie che vengono regolate per legge, togliendo margine di manovra ai sindacati. Restano da capire i tempi, però.

I tempi

La riforma della pubblica amministrazione dice che questo pezzo delle delega può essere esercitato entro febbraio dell’anno prossimo. Finora il governo aveva parlato di settembre. Subito dopo, però, ci sarà il referendum sulla riforma costituzionale. Voteranno anche 3 milioni di dipendenti pubblici. E il documento «top secret» non lo manderanno giù facilmente.

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