La decrescita prima della decrescita

per Gabriella
Autore originale del testo: Claudio Gallo
Fonte: materialismostorico
Url fonte: http://materialismostorico.blogspot.it/2016/06/il-pantheon-postmoderno-del-guru.html

LA DECRESCITA PRIMA DELLA DECRESCITA – di SERGE LATOUCHE – ed. BOLLATI BORINGHIERI

In principio era la decrescita 

recensione di Claudio Gallo     21 giugno 2016 da La Stampa
La proposta politica della decrescita ha sofferto particolarmente l’imperativo mediatico della semplificazione: per arrivare alla gente (disinteressata e ignorante, è la premessa sottaciuta) si prende l’oggetto complesso e lo si mette su una specie di letto di Procuste, riducendolo a stereotipo. Alla fine sarà un’altra cosa, ma almeno sarà comprensibile. Nel suo ultimo libro La decrescita prima della decrescita (Bollati Boringhieri, pp. 220, € 16) il sociologo francese Serge Latouche, molto noto anche nel nostro Paese, arriva a dire che la parola ideale per definire la sua teoria sarebbe «a-crescita», sul calco di ateismo, una a privativa che significa: «non credere a…». Questo per sottrarre l’idea che si possa fare a meno della «crescita infinita» del capitalismo a quel senso cupo di regime quaresimale che decrescita ha involontariamente acquistato.
Uno strano libro questo di Latouche che si lancia alla ricerca di predecessori e compagni di strada risalendo la storia come un salmone fino a Diogene il cinico. L’operazione ha qualcosa di divertente e di utile, ma anche un’indeterminatezza e una discrezionalità che la rendono a tratti velleitaria. Infatti, cosa di cui Latouche è ben cosciente, il concetto di crescita criticato dai partigiani delle decrescita nasce con il capitalismo e dunque tra il XVII e il XVIII secolo, il resto è anacronismo poetico.
In realtà questa galleria di personaggi è forse tenuta insieme dal filo di un umanesimo comunitario opposto a quell’individualismo che, quando nel corso della storia incontrerà il mercato, creerà una società dove tutto diviene commercio, come scriveva Marx nella Miseria della filosofia.
La parte più interessante è certamente quella dedicata ai vari autori che hanno criticato la società dei consumi, come Günther Anders, Simone Weil, Raimon Panikkar, Murray Bookchin, Cornelius Castoriadis, Ivan Illich, Jean Baudrillard, Guy Debord e molti altri. Una strana compagnia, che alla fine è un pretesto per parlare della decrescita senza troppi distinguo accademici, come di un antica fedeltà dell’uomo al suo essere un animale sociale.

Risvolto

Gli sbandieratori del produttivismo e dello sviluppismo – anche nella versione contrabbandata per «verde» o sostenibile – vorrebbero accreditare un’immagine settaria e marginale degli obiettori di crescita: un manipolo di utopisti tardomoderni con l’ossessione recessiva di far cambiare rotta alla civiltà. Ma la logica trionfante del «cresci o muori» non può certo invocare maggior realismo, proprio quando si profila lo schianto del pianeta sotto il peso ecologicamente e socialmente funesto di iperproduzione, iperconsumo e iperscarto. Quell’insensatezza che oggi è diventata sinonimo di catastrofe viene da lontano, come chi in ogni tempo ne ha denunciato le storture che già si annunciavano mortifere. Si tratta di filosofi, poeti, economisti, romanzieri, politici, teologi, di cui Serge Latouche fa qui l’appello in quanto precursori, pionieri e compagni di strada. Tutt’altro che gracile, l’albero genealogico della decrescita vanta il fior fiore del pensiero critico e della sapienza di diversi continenti, configurando una storia delle idee alternativa. In felice promiscuità vi prendono posto cinici, epicurei e buddhisti zen, decrescenti di città e decrescenti di campagna, mistici e anarchici naturisti, oppositori dell’industrialismo agli albori e antiglobalisti attuali. Tra loro, anche qualche «infrequentabile» o inclassificabile. Da Diogene a Tagore a Orwell, da Fourier a Gandhi a Berlinguer, da Pound a Baudrillard a Terzani, si compone una schiera multiforme a cui Latouche ascrive a buon diritto la propria prospettiva di un’«abbondanza frugale, o prosperità senza crescita, in una società solidale». Con gli obiettori di crescita, Latouche parteggia per la «sobria ebbrezza della vita» invocata da Illich, e continua a metterci in guardia dall’abisso.

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