Fonte: il manifesto
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Renzi ci informa che nel giorno del ringraziamento i tacchini sono felici. Gli crediamo sulla parola. E forse, per come sono andate le cose, possiamo accettare anche l’idea che i senatori in carica siano tacchini. Ma che fossero felici nel cancellare il senato, dubitiamo assai. Il lancio della campagna per il sì nel referendum costituzionale ci ha dato un discorso in puro stile renziano, fatto di omissioni, bugie, pubblicità ingannevole, battute.
È pubblicità ingannevole affermare di essere arrivato a Palazzo Chigi attraverso una grande esperienza di popolo. Sembra suggerire un’onda di irresistibile consenso elettorale. Più modestamente, c’è arrivato attraverso le primarie con cui ha messo in minoranza gli iscritti al PD con il voto dei non iscritti. Ha così creato le premesse per chiudere nell’angolo la minoranza interna, e per attuare la manovra di palazzo che ha politicamente ucciso il governo Letta.
È ancora pubblicità ingannevole che il paese esca dalla palude. Le cifre della crisi infinita rimangono incerte, come la deflazione o i balletti sui posti di lavoro ampiamente dimostrano. La qualità di servizi fondamentali come l’istruzione o la sanità cala. Le diseguaglianze territoriali aumentano, e a nulla valgono gli spot preelettorali di Renzi. La corruzione dilaga, e sul governo pesa la resistenza di chi proprio non vuole saperne di mandare i corrotti in galera e di tenerceli. Mentre l’arte del governare viene ricondotta – come negli anni della peggiore DC, e con poche eccezioni – alla sapiente scelta di sodali, amici, sostenitori, fiancheggiatori a vario titolo.
Tuttavia, anche i Renzi passano. Il problema vero è ridurre i danni che prima di andarsene avrà prodotto. Tra questi, la riforma costituzionale è tra i più gravi, e difficili da riparare. Renzi chiede un paese che dice sì, ma in realtà vuole un popolo di yes men, a partire dal referendum. Bisognerà dimostrargli col voto che la richiesta è irricevibile.