di Alfredo Morganti 22 aprile 2016
Al premier fa bene l’America. La volta scorsa (solo poche settimane fa, perché Renzi è uno che viaggia) andò a visitare la centrale Enel Green Power del Nevada (USA), e se ne vantò in mondovisione. L’ho visto in una foto con forbici verdi che tagliavano il nastro (verde anch’esso) delle inaugurazioni. Poi, tornato in Italia, si è riscoperto estrattore di energie fossili e si è lanciato nella sua battaglia astensionista protrivelle per il fallimento del referendum. Il tempo tuttavia di raccogliere una camicia di ricambio e due calzini, che decide di ripartire per l’America e si reca all’ONU per intervenire al meeting sullo sviluppo compatibile e sulle energie rinnovabili. Un via vai di idee, mi pare, non solo di aerei transcontinentali. Certo, non è che questa contraddizione possa essere vissuta così brutalmente, serve almeno una mediazione ideologica, un raccordo discorsivo, e così Renzi ieri dichiara che, dopo la vittoria sulle trivelle, ora si tratta finalmente di uscire “dal recinto dell’ambientalismo ideologico”. Traduzione: in America recito a soggetto, ma qui faccio sul serio, e dunque serve molta ma molta flessibilità, altro che green power. Non scherziamo, insomma. Infine la solita litania, quasi a suggello delle capriole ideologiche: “diamo un segnale agli italiani, finalmente sblocchiamo le cose che vanno sbloccate”. Il ‘fare’, quindi, ancora una volta, implacabile come l’angelo sterminatore, ispiratore dell’ennesimo ‘sblocca’ qualcosa, di listoni di opere entro le cui pieghe, magari potrebbe rispuntare qualche nuovo emendamento flessibile, uno ‘sbloccone’, uno svitol che certo avrebbe poco a che fare con l’ambientalismo, dice Renzi, “ideologico” nostrano. Ma molto a che fare con una democrazia sotto pressione, per certi aspetti caratterizzata dagli interessi delle lobby a livello generale, e dalla folla di individui soli e gaudenti a livello particolare.