Fonte: L'Espresso
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di Alessandro Gilioli – 1 aprile 2016
Con l’arguta motivazione che lui «non recensisce libri di fantasy», il presidente del Pd Matteo Orfini ha liquidato il volume appena uscito di Ignazio Marino, che io invece ho appena finito di leggere pur avendo altrettanto scarso interesse per il genere letterario poco amato da Orfini.
D’altro canto se c’è una cosa che caratterizza “Un marziano a Roma” è lo sciorinamento di nomi, cognomi, date, dati, atti, documenti e colloqui: che sarebbero fantasy se fossero falsi, ma l’autore del libro invece ci propone per reali.
Quindi qui i casi sono due: o Marino su quei fatti scrive la verità (e allora Orfini e il Pd romano intero dovrebbero andare a nascondersi all’altro capo del mondo) oppure mente: nel qual caso andrebbe smentito e in molti casi pure querelato, affinché sia un tribunale a determinare come stanno le cose.
Allo stato invece dal Pd arrivano in prevalenza battute, come appunto quella di Orfini sulla fantasy, o attacchi personali sul “livore” e la “bile” del chirurgo: che tuttavia hanno poco a che vedere con la questione di base, se cioé i fatti raccontati sono reali o falsi.
Eppure – specie ora che ha detto di non ricandidarsi – forse non è più tanto interessante sapere se, come e quanto abbia fatto bene o male Marino da sindaco, bensì se, come e quanto sono vere le cose che lui scrive sui comportamenti del Pd romano e nazionale – Orfini compreso e, per non farci mancare nulla, anche quelli di Sel, che nel libro di Marino non sempre fanno una figura molto migliore.
Ecco: le domande politiche che cioè un lettore si pone, leggendo il libro, non sono sull’autore, ma sui fatti che lui racconta: è vero o non è vero che Orfini ha detto quella cosa lì? È vero o non è vero che Coratti ha fatto quella cosa là? È vero o non è vero che Renzi ha manovrato quell’altra e ricattato su quell’altra ancora?
E così via, per tutti o quasi i capataz del Pd romano e nazionale degli ultimi tre anni, inclusi quelli attuali.
E ripeto: queste sono domande che vengono spontanee al netto di qualsiasi giudizio su Marino e dei lunghi capitoli (un po’ pallosetti, con rispetto) in cui ci spiega come ha amministrato bene.
Perché se questo libro dice sul Pd cose vere, da esso fondamentalmente emergono due cose.
La prima è che almeno un colossale e imperdonabile errore Marino l’ha fatto: cioè fidarsi del suo partito e dei suoi alleati. Diventare sindaco di Roma in una compagnia di mezzi farabutti. Non essersi accorto abbastanza rapidamente di quanto tali fossero. Non averne denunciato la farabuttaggine apena avvedutosene rimandando la trasparenza a quando ormai l’avevano fatto fuori.
La seconda cosa che emerge, se i fatti raccontati sono veri, è la non riformabilità morale del Pd, romano e nazionale. Al confronto del quale la peggio banda di giostrai pare un cenacolo di illuminati.
Insomma o Marino ha scritto balle e allora ha ragione Orfini, questo è un libro di fantasy. Oppure ha scritto verità e allora sono Orfini e il suo partito a incarnare un genere letterario: quello dell’horror.