MicroMega compie trent’anni

per Gabriella
Autore originale del testo: Paolo Flores d'Arcais
Fonte: micromega
Url fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/19862016-micromega-compie-30-anni/

di Paolo Flores d’Arcais  26 gennaio 2016

Per l’anno del trentennale abbiamo deciso di utilizzare per tutti i numeri uno stesso sottotitolo: per una sinistra illuminista. Una sinistra egualitaria e libertaria è illuminista, orgogliosa della tradizione del disincanto che nasce da eresia+scienza, altrimenti già non è”. Anticipiamo ai lettori l’editoriale di Paolo Flores d’Arcais che apre il nuovo numero di MicroMega (1/2016), in edicola dal 28 gennaio con testi di Badiou, Gauchet, Flores d’Arcais e Fraser e in allegato due reprint: Andrea Camilleri e Nanni Moretti.

MicroMega nel 2016 compie trent’anni. In primavera, esattamente. Nasce infatti nel marzo del 1986, grazie all’editore Carlo Caracciolo, che fa proprio un progetto di Giorgio Ruffolo e mio che sembrava «folle» (e che infatti editori di rango avevano rifiutato): una rivista filosofico-politica di sinistra eretica, di approfondimento teorico attraverso saggi anche molto lunghi, senza nessun accademismo, però. Caracciolo pose come obiettivo il raggiungimento di quattromila copie in tre anni (cifra per il pareggio), disponibile comunque a proseguire purché si fossero raggiunte almeno le tremila.

Rivista eretica, MicroMega, perché apertamente conflittuale, polemica, senza diplomatismi (anche nel dialogo) con la sinistra ufficiale dei partiti, sindacati, movimenti: Pci in primo luogo e poi Psi, Psiup eccetera, ma anche Cgil o Manifesto. «Folle», perché una rivista «mattone» sembrava non già una scommessa ma un harakiri (un’eminentissima personalità della sinistra, quando nel presentare il progetto in un teatro parlai provocatoriamente di «mattone», commentò al suo vicino di posto, che sarebbe anch’egli diventato molto noto: «E come un mattone andrà a fondo in tre numeri al massimo»). Eretica perché faceva appello alla società civile e a potenziali di energie e passioni che sembravano pura utopia (era l’epoca del «riflusso», del ripiegamento di massa sul privato, magnificato e teorizzato da media e intellettuali). Perché dava grande spazio al dissenso dei paesi dell’Est, Cina compresa, criticando il «socialismo reale» in modo frontale e radicale (come nuovo totalitarismo), ma da sinistra, in una prospettiva libertaria ed egualitaria, senza nessuna concessione ai «pannicelli caldi» (e spesso finti) dell’eurocomunismo di stampo Pci.

La bestia nera di questa rivista fu fin dagli esordi la partitocrazia, un sistema di governo in cui l’intreccio corruttivo politico-affaristico diventava sempre più sfacciato nell’improntitudine di una prevista impunità. La procura della Repubblica di Roma per decenni era stata chiamata «il porto delle nebbie» perché oliatissima macchina di insabbiamento, la carica era considerata più importante di un ministero e quasi mai sfuggiva al controllo di Andreotti, le inchieste dei «pretori d’assalto» e altri magistrati-magistrati venivano bloccate dal potere politico in ogni modo. Erano gli anni del Caf, Craxi-Andreotti-Forlani, della «Milano da bere» capitale morale del nuovo corso partitocratico immortalato nella vignetta di Altan (che MicroMega ha ripubblicato qualche tempo fa): «Porco è bello».

La critica alla partitocrazia (in cui il Pci allora era invischiato solo parzialmente, ma in evidente crescendo) andava alla radice del fenomeno e proponeva riforme istituzionali dettagliate che lo contrastassero (costituiscono l’appendice di «Il disincanto tradito» che, uscito sul numero 2 della rivista, ne rappresentò il manifesto teorico-politico di fondazione). Esplicitamente: departitizzazione e deprofessionalizzazione, perché il monopolio dei politici di professione e dei loro partiti-macchina aveva trasformato la rappresentanza in una vera e propria Gilda autoreferenziale. Ne scaturivano proposte di un limite costituzionale a due mandati, di un sistema ferreo e articolato di incompatibilità tra cariche elettive di grado diverso (parlamento europeo e nazionale, regioni, comuni eccetera), tra cariche elettive e incarichi pregressi (o post) di nomina politica in vertici aziendali, e molto altro ancora. Non ne parlò nessuno, il massimo dell’attenzione fu l’alzata di spalle. Vent’anni dopo, il sacrosanto disprezzo per la Casta (lo stesso significato della Gilda) sarebbe per fortuna diventato raz-de-marée, oltre che meritatissimo successo editoriale di due grandi giornalisti, e il limite dei due mandati un must di Beppe Grillo.

L’attenzione partecipe al dissenso dell’Est sembrava patetica ai «realisti» di ogni colore, la sinistra rispettosa Pci e l’establishment politico finanziario (Andreotti e Fiat in primis) erano all’inciucio permanente con i peggiori dittatori dell’Est, perché pecunia non olet, ai dissidenti naturalmente si rivolgeva qualche encomio «morale» d’ordinanza per il loro coraggio, ma il tono era quello che si usa con gli illusi. E invece il dissenso dell’Est, soprattutto in Polonia, con Kuroń, Modzelewski, Michnik, aveva la lucidità della strategia consapevole, puntava sulla «rivoluzione della legalità»: prendere alla lettera i diritti e le libertà costituzionali, a parole i più ampli (molti studiosi occidentali avevano già sottolineato come, sulla carta, la Costituzione staliniana del ’36 fosse la più democratica del mondo) e pretenderne l’applicazione, attraverso una rete di comitati (il kor), cui si aggiungeva la rete delle «università volanti» clandestine. Ma nell’86, quando MicroMega nasce, l’ipotesi che tre anni dopo crollasse l’intero impero sovietico non sarebbe venuta ai maestri di Realpolitik dei nostri establishment nemmeno sotto fungo allucinogeno. E il generale Jaruzelski, fresco di golpe contro Solidarność (e dissidenti internati a centinaia e centinaia) fu accolto a Roma in pompa magna dal governo e omaggiato da un ditirambica intervista di Sandro Viola su la Repubblica.

Con l’esplodere di Mani Pulite la rivista, che aveva venduto fin dall’inizio assai bene, sempre oltre le cinquemila copie, conosce un vero e proprio boom. Inizialmente tutta l’informazione sembra infatti favorevole all’inchiesta, ma non appena lo scoperchiamento di Tangentopoli non riguarda più i «mariuoli» ma gli avvisi di garanzia o il carcere colpiscono sempre più gli «eccellenti» della partitocrazia e dell’imprenditoria, il clima cambia di colpo, e MicroMega diventa una delle rare testate che intensifica l’attenzione verso le inchieste, approfondisce le ragioni «strutturali» della degenerazione di partiti, ospita saggi dei magistrati del pool: Colombo, Davigo e Di Pietro.

Il 1992 è anche l’anno delle stragi mafiose contro Falcone, Borsellino e le loro scorte, e la lotta contro le mafie, e il movimento popolare che attorno ad essa si crea, troveranno nella rivista una punta di diamante e un riferimento costante. Fu anzi a un’iniziativa di MicroMega, una manifestazione a Palermo il 5 giugno 1992 organizzata in pochi giorni dopo l’uccisione di Falcone, che Paolo Borsellino decise improvvisamente di partecipare (mentre il dibattito era in corso) e pronunciò un clamoroso «j’accuse» contro i magistrati corrivi e contro una classe politica omertosa, una sorta di testamento morale che MicroMega pubblicò nel numero 3/93, a un anno esatto dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, poiché l’isolamento aveva lasciato posto alla nuova strage (qui il video: https://goo.gl/cHNNj e qui il testo: http://goo.gl/Sfv2gS).

I magistrati del pool di Palermo con il nuovo procuratore Giancarlo Caselli, e quelli del pool di Milano, furono i protagonisti di due anteprime del film Un eroe borghese – la vicenda di Giorgio Ambrosoli, tratto dal libro di Corrado Stajano (altro collaboratore storico della rivista), per la regia di Michele Placido, protagonista Fabrizio Bentivoglio – che MicroMega organizzò con il produttore Piero Valsecchi nel 1995 all’uscita del film. La giustizia contro la corruzione e la giustizia contro le mafie hanno continuato ad essere fino ad oggi due temi portanti e irrinunciabili della rivista, e i magistrati impegnati su questi due fronti hanno contribuito con saggi rilevantissimi anche sotto il profilo storico-sociologico (per tutti: quelli di Roberto Scarpinato) alla comprensione dei fenomeni e ai mezzi con cui contrastarli.

Teoria e prassi, pensiero e azione: MicroMega ha sempre concepito il proprio impegno intellettuale come inestricabilmente legato all’impegno civile, dunque a tutte le forme di iniziative pubbliche in cui può manifestarsi. Ecco perché le presentazioni della rivista sono state pensate sempre come momenti di lotta politica, di cittadinanza attiva. Enumerarle tutte prenderebbe pagine, ma in alcuni anni, e in particolare nel 2002, l’aspetto «pratico» dell’impegno culturale di MicroMega ha avuto una vera e propria dimensione di massa.

La grandiosa manifestazione del Palavobis il 23 febbraio (oltre quarantamila persone, fuori assiepate al freddo in numero doppio che all’interno gremito) in origine nasce come presentazione del primo numero 2002 della rivista, dedicato al decennale di Mani Pulite e intitolato «Resistere, resistere, resistere», le parole con cui il procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli (presente nel numero in un dialogo straordinario con Antonio Tabucchi), aveva concluso il suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, scatenando le ire dell’establishment. Il numero della rivista fu ristampato settimana dopo settimana e arrivò a sfiorare le centomila copie.

Nel 2000, anno di Giubileo, MicroMega raggiunse il suo picco di vendite (centomila copie circa) con il numero su «Dio» e la presentazione che se ne fece al teatro Quirino a Roma il 21 settembre, con una pubblica controversia tra l’allora cardinal Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e il direttore della rivista, dialogo che richiamò una partecipazione notevolissima (teatro gremito, con oltre un migliaio di persone che lo seguì dalla strada, sotto la pioggia, attraverso un altoparlante di fortuna).

Il Palavobis fu il primo segnale di massa di un anno che si concluse a settembre a piazza San Giovanni con la gigantesca manifestazione dei «girotondi» aperta da Nanni Moretti, la più grande del dopoguerra in Italia, se si esclude quella sindacale con Sergio Cofferati al Circo Massimo di pochi mesi prima.

Il Palavobis resta irripetibile nella storia delle iniziative pubbliche di MicroMega, ma solo per le sue dimensioni: l’attività civico-politica della rivista non è infatti mai venuta meno, e i suoi alti e bassi costituiscono semmai un indicatore alquanto esatto dell’accendersi o spegnersi di passione civile nel paese.

Quello che stiamo vivendo è, sotto questo profilo, certamente uno dei più bassi, segnato da un dilagare di rassegnazione, di ritorno al privato, perfino di contrazione drastica dei «consumi culturali», di fronte alla marcia festosa e impudica, di becera arroganza che vira ormai al ripugnante, della mediocrità politica in forme che sembravano non raggiungibili (talché giustamente dopo l’ascesa di Renzi nessuno osa più utilizzare l’espressione «abbiamo toccato il fondo», che sembrava lecita con Berlusconi). Eppure MicroMega non intende rinunciare a raccogliere ogni segnale di ripresa di passione civile, ogni sintomo di ritorno possibile all’impegno pratico, e ha di recente invitato Roberto Saviano, fin qui ahimè senza risposta, a lanciare insieme una iniziativa pubblica sui tre temi cruciali della continuità berlusconiana di Renzi: legalità, informazione, lavoro. Va da sé che sull’altro tema della globale controriforma renziana, quella delle regole istituzional-elettorali, la rivista aderisce ai comitati che già stanno funzionando sotto l’egida di grandi costituzionalisti come Pace, Carlassare, Rodotà e Zagrebelsky, e sarà in prima linea nella mobilitazione attraverso il suo sito web.

Alla nascita il sottotitolo della rivista era «Le ragioni della sinistra», ragioni esplicitamente eretiche rispetto a quelle delle sinistre organizzate, abbiamo visto, ma polemiche anche contro quanti nel mondo intellettuale flirtavano sempre più intensamente con l’ideologia che destra/sinistra fossero categorie ormai obsolete, inservibili, buone per il robivecchi. Consolidata questa duplice caratteristica della rivista, il sottotitolo fisso venne abbandonato per sottotitoli che evidenziassero numero per numero le diverse caratteristiche. Per l’anno del trentennale abbiamo deciso di utilizzare per tutti i numeri uno stesso sottotitolo: per una sinistra illuminista. Crediamo infatti che riaffermare i valori della sinistra sia quanto mai necessario in questa temperie di deriva dell’indifferenza, e che anzi giustizia e libertà, eguaglianza e laicità, vadano ribaditi con sempre più intransigente radicalità, ma sia altrettanto indispensabile evitare ogni confusione con i cascami dell’ubriacatura postmoderna che ha fatto della scienza il suo obiettivo polemico, e del politically correct, fino alle mostruosità del multiculturalismo, una sua bandiera. Una sinistra egualitaria e libertaria è illuminista, orgogliosa della tradizione del disincanto che nasce da eresia+scienza, altrimenti già non è.

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